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Quaderni Cannibali - L'occhio che vede da Giovani per i Giovani

Mi è stato detto che i russi hanno dichiarato di non aver trovato Dio nello spazio cosmico. D'altra parte, molte persone, nelle epoche e nei Paesi più diversi, sostengono di aver trovato Dio, o di essere state trovate da Dio, qui sulla terra. La conclusione che alcuni vogliono che noi traiamo da queste esperienze è che Dio non esiste. Come corollario, coloro che pensano di averlo incontrato sulla terra erano succubi di una delusione. È proprio così?


Quaderni Cannibali - L'occhio che vede da Giovani per i Giovani

da GxG Magazine

del 18 dicembre 2007

Vorrei trarre delle altre conclusioni:

 

1. Non abbiamo ancora esplorato a sufficienza lo spazio. L'Atlantico è stato solcato da molte navi ben prima che venisse scoperta l'America.

2. Dio esiste, ma è confinato localmente su questo pianeta.

3. I russi hanno trovato Dio nello spazio senza rendersene conto, in quanto mancavano dei requisiti necessari per poterlo individuare.

4. Dio esiste, ma non è un oggetto collocato in un punto particolare dello spazio, né si diffonde in esso, come un tempo pensavamo fosse l'etere attraverso lo spazio.

Le prime due conclusioni non mi interessano. Il tipo di religione che presuppongono sarebbe una religione per selvaggi, che crede cioè in una divinità localizzata, che abita in un tempio particolare, in un'isola o in un boschetto. In realtà, sembra proprio il tipo di religione verso cui i russi (o alcuni russi ed una buona percentuale di occidentali) sono scettici. Non è affatto inquietante il fatto che nessun astronauta abbia trovato una divinità di quel tipo. Sarebbe davvero inquietante se l'avesse trovata.

 

 

Trovare Dio

 

La terza e quarta conclusione sono quelle che fanno al caso mio.

Cercare Dio (o il Cielo) esplorando lo spazio, sarebbe come leggere o assistere a tutte le tragedie di Shakespeare nella speranza di trovare Shakespeare stesso come uno dei personaggi o Stratford come uno dei luoghi. In un certo senso Shakespeare è sempre presente in tutte le tragedie. Ma non è mai presente allo stesso modo in Falstaff o in Lady Macbeth. Né si diffonde nelle sue tragedie, quasi fosse un gas.

Se qualche idiota pensasse che le tragedie hanno una loro esistenza indipendente, a prescindere dall'autore (per non menzionare gli attori, il regista, l'agente, gli operatori di scena e tutto il resto), il nostro concetto di Shakespeare non sarebbe molto influenzato dalla sua affermazione, abbastanza veritiera, che ha studiato tutte le tragedie senza mai trovare Shakespeare in esse.

Noi altri invece, in varia misura a seconda delle nostre diverse sensibilità, «abbiamo trovato Shakespeare» nelle tragedie. Ma è un «trovare» ben diverso da ciò che ha in mente il nostro povero amico.

Anche lui, in realtà, è stato influenzato in qualche modo da Shakespeare, senza però rendersene conto. Gli mancavano i requisiti necessari per identificarlo.

Ora naturalmente questa è solo un'analogia. Non sto certo suggerendo che l'esistenza di Dio possa essere dimostrata con la stessa facilità con cui si dimostra l'esistenza di Shakespeare. Ciò che voglio sottolineare è che, se Dio esiste, allora Egli si rapporta all'universo più similmente ad un autore rispetto alle sue tragedie, che non ad un oggetto nell'universo rispetto ad altri oggetti.

Se Dio ha creato l'universo, Egli ha creato lo spazio e il tempo, che è per l'universo come la metrica è per la poesia o le chiavi per la musica. Cercarlo come un elemento all'interno di una struttura che Lui ha inventato, non ha senso.

Se Dio (un Dio creduto da una religione adulta) esiste, il semplice movimento nello spazio non vi porterà né più vicino, né più lontano da Lui, di quanto non lo siate ora. Non potete né raggiungerlo né evitarlo dirigendovi verso l'Alfa Centauri o qualche altra galassia. Un pesce che ha nuotato per parecchi chilometri non è né più né meno immerso nel mare, di quanto lo fosse prima di partire.

 

 

Allora, ci si può chiedere, come raggiungere o evitare Dio?

 

L'evitarlo, in diverse epoche e luoghi, si è dimostrato così difficile, che gran parte della razza umana ha fallito in questo tentativo. Nella nostra epoca e nel nostro Paese, invece, è molto facile. Evitate il silenzio, la solitudine, ogni tipo di pensiero fuori dall'ordinario. Concentratevi sui soldi, il sesso, la condizione sociale, la salute e (soprattutto) sulle vostre pene. Tenete la radio accesa. Vivete tra la folla. Usate molti sedativi. Se proprio dovete leggere dei libri, sceglieteli con molta cura. Ma sarebbe meglio se vi limitaste ai giornali. Trovereste un aiuto nella pubblicità, specialmente quella con un richiamo sexy o snob.

Per raggiungerlo, sono una guida molto meno adatta. E questo è dovuto al fatto che non ho mai provato l'esperienza di cercare Dio. La realtà era proprio l'opposto: Egli era (o a me sembrava) il cacciatore, ed io il cervo. Come un pellerossa mi ha teso un agguato, ha puntato con precisione, e sparato. E sono molto grato che questa sia stata la modalità con cui è avvenuto il nostro primo incontro (consapevole). Premunisce dai timori che seguono sul fatto che l'intero incontro non sia stato altro che un desiderio soddisfatto. Non è possibile che sia così, visto che non lo desideravo.

Ma è significativo che questo incontro, rimandato da molto tempo, accadde in un momento in cui stavo cercando seriamente di obbedire alla mia coscienza. Senza dubbio fu molto meno serio di quanto mi aspettassi, però fu l'incontro più serio che avessi mai avuto da tanto tempo.

 

 

Raggiungere se stessi

 

Uno dei primi risultati di questo tentativo è quello di riportare la propria consapevolezza di sé in limiti più realistici. Inizi a chiederti se sei già, in qualche modo, una persona; se hai i titoli per poterti appellare con l'io (un nome sacro). In questo senso il processo assomiglia all'essere sottoposti a psicoanalisi, solo che è molto più conveniente (voglio dire in dollari); ma da altri punti di vista può costare anche molto di più. Trovate che ciò che chiamavate il vostro io è solo una sottile pellicola che galleggia in un mare pericoloso e imprevedibile. E non solo pericoloso. Realtà illuminanti, soddisfazioni e ispirazioni emergono in superficie alla stessa stregua dei rancori stizziti e della lascivia lamentosa.

L'io comunemente inteso è quindi una semplice facciata, dietro cui si nasconde un'immensa realtà. E poi, stando alla fisica, scopriamo che lo stesso vale per tutte le cose che ci circondano. Questi tavoli e sedie, questa rivista, gli alberi, le nuvole e le montagne sono facciate. Inseritevi (scientificamente) dentro queste realtà e troverete l'inimmaginabile struttura dell'atomo. E cioè, a lungo termine, troverete delle formule matematiche.

Ecco che tu (qualsiasi cosa il TU possa significare) sei seduto e leggi. Lì davanti a te (qualsiasi cosa il Lì possa significare) c'è un foglio bianco con dei segni neri. Ed entrambi sono delle facciate. Dietro di loro c'è, beh, qualsiasi cosa ci possa essere. Sia gli psicologi, sia i teologi, pur utilizzando simboli differenti, usano comunque dei simboli per cercare di esprimere le realtà nascoste dietro quella facciata che chiamiamo TU. E cioè, essi non possono proprio dire «è questo», quanto piuttosto «è in qualche modo come questo». E i fisici, quando cercano di dimostrare cosa c'è dietro la facciata, vi possono fornire solo della matematica. E la matematica può sì corrispondere alla realtà, ma non è di certo la realtà stessa, o non più di quanto il rilievo di una cartina equivalga ad un vero monte.

Non sto cercando certo di colpevolizzare questi esperti per la situazione. Fanno comunque dei progressi. Scoprono sempre nuove cose. Se i governi fanno cattivo uso delle scoperte fisiche, o se i romanzieri e i biografi fanno cattivo uso delle scoperte psicologiche, gli esperti non ne hanno colpa. Tuttavia è importante notare che ogni nuova scoperta, ben lungi dal dissipare, approfondisce ancor di più il mistero.

Ora, se sei una persona di un certo tipo, se sei uno che crede che tutte le cose esistenti debbano avere una loro unità, ti sembrerà probabile che ciò che soggiace dietro la facciata di una realtà, soggiaccia anche dietro le altre. E quindi (sempre, se sei quel tipo di persona) potresti convincerti che il tuo contatto con quel mistero in quella realtà che chiami io è molto più a portata di mano del contatto con ciò che chiami materia. Perché in questo caso l'io, il comune e consapevole io, è un continuo con quella profondità sconosciuta.

 

 

La voce della coscienza

 

Dopodiché, potresti arrivare a credere (alcuni lo credono) che quella voce (come sempre, devo esprimermi simbolicamente), quella voce che parla nella tua coscienza e in qualche tua gioia più intensa, che a volte è così insistentemente muta, a volte così facilmente azzittita, ed altre volte così chiara e netta, sia proprio il contatto più vicino che hai con il mistero; e quindi viene creduta, obbedita, temuta e desiderata, più di tutto il resto. Eppure, se tu sei un tipo diverso di persona, non arriverai a questa conclusione.

Spero che tutti capiscano come questo sia collegato alla questione degli astronauti da cui siamo partiti. Il processo a cui ho accennato può accadere, o non accadere, dovunque vi troviate. Non voglio dire che tutte le persone religiose o tutti gli atei abbiano, o meno, compiuto questo passo. Una volta che la religione e il suo contrario appaiono nel mondo (ed entrambi sono apparsi molto tempo fa), la maggioranza di entrambi gli schieramenti sarà costituita semplicemente da conformisti. Il loro credo o il loro scetticismo deriveranno dalla loro educazione e dalla mentalità prevalente negli ambienti che frequentano. Non avranno cercato, o non saranno fuggiti da Dio con le loro ali. Ma se non esistessero delle minoranze capaci di questo, presumo che non esisterebbero neanche le maggioranze di conformisti. Non desumetene che io disprezzi queste maggioranze: sono sicuro che le prime hanno dei cristiani molto migliori di me, e le seconde degli atei più sinceri di quanto lo fossi in passato.

 

 

Trovare Dio nello spazio?

 

Le esplorazioni nello spazio non hanno veramente nulla a che fare con questo argomento. Per alcuni, Dio si può trovare dappertutto, per altri in nessun luogo. Coloro che non lo trovano sulla terra, difficilmente lo troveranno nello spazio. A parte che siamo già nello spazio: ogni anno compiamo un enorme giro circolare nello spazio. Ma se mandate un santo in un'astronave, troverà Dio nello spazio, così come l'ha trovato sulla terra. Dipende tutto dall'occhio che vede.

Tutto questo è confermato particolarmente dalla mia religione, il cristianesimo. Quando poco fa ho detto che non aveva senso cercare Dio come un oggetto all'interno del suo capolavoro, l'universo, alcuni lettori forse non si sono trovati d'accordo. Avrebbero obiettato: «Eppure, per il cristianesimo, accadde proprio questo. Infatti, secondo la dottrina principale, Dio diventò uomo e camminò tra gli altri uomini in Palestina. Se questa non è la comparsa di un oggetto nell'ambito del suo capolavoro, cos'è?».

L'obiezione è fondata. Per rispondere, devo riadattare la mia vecchia analogia con la tragedia. Si può immaginare una tragedia in cui un autore s'introduce come personaggio nella sua tragedia, e che poi viene scacciato dal palco come un impostore avventato dagli altri personaggi. Potrebbe essere una tragedia ben riuscita; se solo avessi una qualche disposizione per il teatro, cercherei di scriverla. Ma visto che (per quanto ne so) una tragedia di quel tipo non esiste, sarebbe meglio trasformarla in un'opera di narrativa; una storia in cui l'autore s'inserisce come uno dei personaggi.

Abbiamo un esempio concreto di questo nella Divina Commedia di Dante. Dante è (1) la musa fuori dal poema che inventa tutto, e (2) un personaggio del poema, che incontra altri personaggi e con cui s'intrattiene in conversazione. Ma 1, analogia non regge, se si considera che i contenuti del poema sono puramente immaginari, e in questo senso i personaggi non sono dotati di libero arbitrio. Essi (i personaggi) possono dire a Dante solo ciò che Dante (il poeta) ha deciso che dicessero. Non penso che il nostro rapporto con Dio sia lo stesso. Penso che Dio crei delle realtà che non solo sembrano possedere una vita parzialmente indipendente (come i personaggi di un poema o di un romanzo), ma lo sono veramente.

Tuttavia l'analogia ci fornisce un vago paragone con l'Incarnazione in due modi: (1) Dante poeta e Dante personaggio sono, in un certo senso, la stessa persona, ma, in un altro senso, due persone diverse. Il che suggerisce, seppure lontanamente e in modo inappropriato, un'analogia con quella che i teologi chiamano «l'unione delle due nature» (divina e umana) in Cristo. (2) Gli altri personaggi dell'opera incontrano, vedono e ascoltano Dante; ma non sospettano assolutamente che egli sta creando quel mondo in cui loro si muovono, e che ha una sua vita autonoma, esterna, indipendente da questo.

E questo secondo punto è il più rilevante, in quanto il racconto cristiano ci dice che Cristo venne accolto come Dio da pochissime persone; forse, ad un certo momento, solo da san Pietro, che avrebbe anch'egli, per la stessa ragione, trovato Dio nello spazio. Cristo disse infatti a Pietro: «Né la carne né il sangue te l'han rivelato» (Mt 16,17). Non sono i metodi scientifici a scoprire quelle realtà.

Certo è che l'aspettativa di trovare Dio con le astronavi equivarrebbe ad affermare o negare la divinità di Cristo esaminando il suo sangue o sezionando il suo cadavere. E a modo loro fecero entrambe le cose. Ma non diventarono più saggi. Ciò che si richiede è una certa capacità di riconoscere.

 

Se non conosci affatto Dio, certamente non lo riconoscerai né in Gesù, né nello spazio cosmico.

 

Il fatto che non abbiamo trovato Dio nello spazio, quindi, non mi disturba affatto. Né m'interessa molto la «corsa nello spazio» tra l'America e la Russia. Più spendono soldi, tempo, competenze e sforzi in quella competizione, meno ne spenderanno, si spera, negli armamenti. Le grandi potenze forse sono più utili, e certamente meno pericolose, quando fabbricano questi macchinari costosi e li proiettano, si potrebbe dire, nello spazio. Buona fortuna! E un ottimo sistema per sfogarsi.

 

Trattato da C. S. Lewis, Riflessioni cristiane, Gribaudi, Milano 1997

 

 

Clive Staples Lewis (Belfast, 29 novembre 1898 – Oxford, 22 novembre 1963) è stato uno scrittore e filologo irlandese. È l'autore del ciclo di romanzi Le cronache di Narnia. Spesso indicato semplicemente come C. S. Lewis, fu docente di lingua e letteratura inglese all'università di Oxford, dove divenne amico dello scrittore J. R. R. Tolkien col quale - insieme anche a Charles Williams ed altri - fondò il circolo informale letterario degli Inklings.

Redazione GxG

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