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Quando la piramide umana manda in tilt

Vivere quindi il corpo come strumento e non come dono, come parte integrante di sé ha portato come diretta conseguenza a disimparare ad ascoltare il nostro corpo. Imparare ad ascoltare il proprio corpo, ad interpretare i suoi segnali è anche una delle vie maestre per affrontare in modo critico le mode che vi vengono proposte/imposte sia sull'abbigliamento che sui comportamenti.


Quando la piramide umana manda in tilt

da Quaderni Cannibali

del 02 dicembre 2011 (function(d, s, id) { var js, fjs = d.getElementsByTagName(s)[0]; if (d.getElementById(id)) {return;} js = d.createElement(s); js.id = id; js.src = '//connect.facebook.net/it_IT/all.js#xfbml=1'; fjs.parentNode.insertBefore(js, fjs);}(document, 'script', 'facebook-jssdk')); 

 

          Abbiamo un appuntamento nell’ufficio del Preside delle Medie, scusate delle Secondarie di Primo grado del Collegio Astori. Abbiamo appena finito l’ultimo incontro di un percorso che ci ha visto incontrare tutte le classi dell’Istituto.           Il Preside ci accoglie e ci dice: “Mi raccomando per il prossimo anno cercate di pensare un’altra attività perché la piramide (si trattava di fare una piramide umana) sembra essere diventato un gioco troppo pericoloso: un certo numero di ragazzi e alcuni genitori si sono lamentati perché l’attività è troppo pesante e “addirittura” pericolosa. Ha lasciato infatti alcuni strascichi fisici …uno ha addirittura portato un certificato medico”. Ci guardiamo tutti e tre e sorridiamo anche se piuttosto amaramente, soprattutto se consideriamo che ci troviamo alla fine di percorso pensato ad hoc.All’inizio dell’anno scolastico avevamo infatti partecipato ad un bando indetto dall’Assessorato alle Relazioni internazionali, Cooperazione internazionale, Diritti umani e Pari Opportunità della Regione Veneto. Il nostro progetto si proponeva di approfondire il tema “Immagine e modelli: da cura del corpo a eccesso di cura. Il punto di vista delle giovani generazioni.”           Abbiamo scelto di suddividere il nostro intervento in ogni classe in tre momenti diversi. Nel primo veniva data alle ragazze e ai ragazzi l’occasione per riflettere ed esprimere la loro opinione sul valore e sul significato del corpo nella nostra società e sui modelli che ci vengono offerti. Nel secondo incontro maschi e femmine lavoravano separati in modo da poter confrontarsi e approfondire con maggiore libertà e serenità gli elementi che sono alla base del processo di costruzione della propria identità di genere.Infine nell’ultimo incontro era prevista un’occasione per lavorare concretamente con il corpo in modo da approfondire le specificità del linguaggio corporeo e per favorire l’acquisizione di un’attenzione equilibrata verso il proprio corpo.           Possiamo dire che sulla base della risposta e del livello di partecipazione dei ragazzi e delle ragazze l’intervento ha avuto un esito positivo, abbiamo scelto però di riportare l’episodio con cui abbiamo aperto questo articolo perché, oltre a sollevare alcune riflessioni da un punto di vista educativo, ripropone in maniera urgente alcune considerazioni sul valore e sul senso che il corpo sta assumendo nella nostra società.           Fare un gioco come quello della piramide umana è di solito un gioco che solleva entusiasmo in quanto richiede di attivarci fisicamente, di costruire qualcosa di grande e di farlo in gruppo; insomma uno di quelli che dà una svolta ad un pomeriggio in Oratorio o ad una giornata al camposcuola. Eppure proprio queste sue caratteristiche hanno sollevato blocchi e resistenze.           Viviamo in un’epoca in cui la cura del corpo ha assunto un livello importante: l’alimentazione di cui disponiamo, la crescente attenzione affinché sia sana ed equilibrata, la possibilità di accedere a cure mediche hanno raggiunto livelli inimmaginabili in altri periodi o in altre parti del mondo (è bene ricordarlo). Contemporaneamente assistiamo al diffondersi di un pensiero che vede il corpo al pari di uno strumento e come tale in diritto di utilizzarlo, di mostrarlo, di sfruttarlo e perché no di modificarlo a proprio piacimento. Il segno estremo di questa logica è l’aumento del consumo di steroidi e di ormoni della crescita da parte di adolescenti nelle palestre (quindi al di fuori di una logica di agonismo sportivo) o della forte richiesta sempre da parte di adolescenti di interventi di chirurgia estetica, non ricostruttiva, che ha spinto il Governo nel 2010 a vietare questo tipo di operazioni su minorenni.Vivere quindi il corpo come strumento e non come dono, come parte integrante di sé ha portato come diretta conseguenza a disimparare ad ascoltare il nostro corpo. Quando infatti ci succede qualcosa di piacevole come quando ci capita qualcosa di spiacevole il nostro corpo ci manda dei segnali che ci comunicano molto più in profondità il vissuto che ci risveglia quella determinata situazione. Imparare a vivere in contatto profondo con il nostro corpo ci aiuta a cogliere con maggiore intensità tutti i momenti della nostra vita, da quelli più quotidiani a quelli più alti e spirituali.           Nostalgie new age? Niente di tutto questo. Pensate ad esempio ai discepoli di Emmaus quando, dopo aver riconosciuto Gesù nello spezzare il pane “si dissero l’un l’altro «non ci ardeva forse il cuore nel petto mentre conversava con noi lungo il cammino quando ci spiegava le Scritture?»” (Lc 24,32) o pensate ancora al lungo dialogo tra i due amanti raccontato nel Cantico dei Cantici.Imparare ad ascoltare il proprio corpo, ad interpretare i suoi segnali è anche una delle vie maestre per affrontare in modo critico le mode che vi vengono proposte/imposte sia sull’abbigliamento che sui comportamenti: se infatti mi accorgo di provare un qualsiasi disagio e riesco a dare ad esso uno spazio adeguato a questo vissuto affinché mi parli avrò l’occasione per costruirmi delle motivazioni solide che mi aiuteranno nell’affrontare le pressioni esterne. E questo vale sia che si tratti di portare un certo tipo di magliette o di pantaloni, di farsi un tatuaggio o un piercing, essere disposti a vivere o meno alcuni gesti quando si è innamorati. Anche in questo ambito infatti la pressione esterna è molto forte: ci è capitato di incontrare una ragazza in una seconda superiore che non si trovava bene con le compagne della sua classe in quanto la prendevano in giro perché era “ancora vergine”. Ci raccontava che stava male nell’essere presa così di mira ma che non si sentiva di vivere un rapporto sessuale anche se stava bene con il suo ragazzo perché proprio a livello fisico sentiva anche solo l’idea di questa esperienza pesante e quindi contro il suo benessere.           Purtroppo oggi l’arte di ascoltare il proprio corpo è sempre meno praticata e ci si accontenta di seguire la massa o di nascondersi dietro all’elenco di tutte le cose che si devono fare, salvo poi bloccarsi quando il corpo inascoltato ci impone di fermarci. L’aumento delle malattie psicosomatiche è il segno più evidente di questo fenomeno.           Il corpo oltre parlare a noi stessi parla anche agli altri: il linguaggio non verbale (che fa riferimento ai movimenti del corpo o di parti di esso e al suo posizionarsi nello spazio) e paraverbale (che fa riferimento al tono, al volume, al ritmo della voce) esprimono assieme il 93% della comunicazione. Ad essi inoltre è associata l’espressione delle emozioni che rappresentano la parte più profonda di ciascuno di noi.Comunicare vis-à-vis, per non dire corpo a corpo diventa allora estremamente difficile perché richiede da una parte di essere abbastanza competenti nel leggere ed interpretare i segnali che mi interpellano in diverse maniere. Dall’altra ci mette maggiormente a nudo poiché è più difficile nascondere fino in fondo ciò che stiamo vivendo.           I Vangeli ci raccontano che Gesù non ha paura di condividere i propri stati d’animo (la gente riconosce nel suo pianto l’amore per Lazzaro Gv 11, 35-36), di abbracciare i bambini, di toccare i lebbrosi, di mangiare con i pubblicani, ma anche di farsi toccare ovviamente in situazioni definite e con un significato preciso: pensiamo all’incontro con la peccatrice raccontato da Luca (Lc 7, 36-50) o di quello con Tommaso dopo la Risurrezione (Gv 20, 26-29).           Oggi si fa sempre più fatica a comunicare in un modo così autentico (sicuramente i social network e i nuovi media non favoriscono l’acquisizione e lo sviluppo di questa competenza) impoverendo così le relazioni ed in particolare quelle di coppia.All’interno della coppia la comunicazione che passa attraverso il corpo assume senza dubbio un posto centrale e che la caratterizza fin dalle prime esperienze. Anche solo il buon senso, senza scomodare la teologia morale, suggerisce che si dovrebbe apprendere e vivere questo tipo di comunicazione così intima un po’ alla volta, procedendo per gradi man mano che cresce la maturità e l’intesa della coppia.Se però non si è abituati ad ascoltare il proprio corpo, a riflettere sulle sensazioni che viviamo ad impegnarci a comunicare a 360° gradi con l’altro è facile che di fronte al profondo coinvolgimento ed impegno che una relazione di coppia porta con sé si abdichi lasciando libero spazio alle pulsioni che seguono canali propri attraversi schemi automatici, istintivi inscritti nella parte primordiale di ciascuno di noi. Si proverà senza dubbio uno scossone a livello di piacere e di energia, ma passato questo momento, come dopo l’effetto di una droga aumenterà il senso di separatezza e di disagio, con la spinta propria di tutti i dipendenti di cercare di vivere nuovamente quella “botta di vita” indipendentemente dal corpo e dal volto su cui andrò a cercarla.            Concludendo, se a prima vista la reazione di fronte al gioco della piramide potrebbe sembrare un fallimento del nostro intervento, approfondendo appena un po’ il piano di lettura ci accorgiamo che abbiamo toccato un punto dolente, mettendo a nudo una delle povertà che i giovani e le giovani d’oggi vivono. Ed è proprio su questa che siamo chiamati a continuare a lavorare, riflettere e pregare affinché anche i giovani e le giovani che ci sono affidati possano vivere una vita bella, buona e felice.

Silvia Bardellotto, Mauro Tuono

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