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Quanta Romania in Italia, quanta Italia in Romania

Viaggio ai confini dell'Europa. Uno sconosciuto alla porta è il titolo che, provocatoriamente, il VIS ha scelto quest'anno per la XXI Settimana di Educazione alla Mondialità. La popolazione rumena è la comunità più numerosa nel nostro Paese...


Quanta Romania in Italia, quanta Italia in Romania

da Quaderni Cannibali

del 17 dicembre 2010

 

Uno sconosciuto alla porta è il titolo di un noto thriller di Schlesinger, in cui le bravate di un inquilino fraudolento, uno straniero, arrecano danni economici e morali ad una coppia di giovani sposi che gli affittano parte della propria abitazione per fronteggiare gli eccessivi costi del mutuo. Viaggio ai confini dell’Europa. Uno sconosciuto alla porta è il titolo che, provocatoriamente, il VIS ha scelto quest’anno per la XXI Settimana di Educazione alla Mondialità: la terza che chiude il ciclo di conoscenza ed approfondimento dei Paesi dell’Europa dell’est e svoltasi dal 18 al 25 agosto in Romania e Moldavia.

 

Da sempre la settimana EaM affronta temi di forte attualità battendosi per la conoscenza approfondita dei Paesi, scardinando stereotipi e luoghi comuni, sviscerando la verità della storia a fronte della frequente falsità della notizia di cui i media ci bombardano. Quest’anno il VIS mi ha dato l’opportunità di dialogare con operatori, missionari, il ministro moldavo dell’Infanzia e quello rumeno della Famiglia, volontari, assistenti sociali e soprattutto con loro, i protagonisti assoluti: i bambini.  Alquanto difficoltoso e impegnativo il nostro viaggio, se si considera che dal 2007 la Romania è entrata a far parte dell’Unione Europea, ma si trova davanti ancora tanta strada in salita; è un Paese che cerca, con grossi sacrifici, di migliorarsi e apportare benefici al proprio territorio grazie anche ai contributi comunitari. Eppure i rumeni nel nostro Paese sono considerati extracomunitari. La Romania, inoltre, è terra di missione. I missionari italiani in Romania sono davvero numerosi: vi sono presenti i più noti ordini religiosi.  Il problema principale è sicuramente quello legato all’infanzia. Gli immigrati che approdano da noi come nel resto d’Europa, spesso per non tornare più, si lasciano alle spalle famiglie, e famiglia significa bambini. Infanzia abbandonata che finisce per essere custodita dai nonni, dagli zii o dai vicini che percepiscono un sussidio statale per mantenerla e, triste a dirlo, spesso lo fanno solo per questo. Molti, tantissimi, infatti, scappano di casa per finire, se va bene, sulla strada - a domandare e a rifugiarsi in quelle ormai tristemente note condutture sotterranee del riscaldamento cittadino, sommariamente passate alla cronaca come fogne, per avere un po’ di tepore durante l’inverno - se va male, nel circolo della prostituzione e dello sfruttamento minorile. I primi missionari italiani hanno dissodato il terreno per una seconda generazione di confratelli locali, come don Aloisio nativo di Costanza che quotidianamente si batte nel centro Don Bosco per la tutela ed il progresso dei bambini di strada oppure i Salesiani di Bacau e di Chisinau, don Vince in primo luogo, che si adoperano nelle case famiglia per procurare un clima di serenità e di crescita a tanti adolescenti ed un futuro attraverso gli innumerevoli corsi di formazione professionale, tra i tecnologicamente più avanzati del Paese.  Ma c’è ancora un italiano, l’erede di Miloud, quel Franco che è stato in grado di tenerci per ben due ore a bocca aperta in una piccola stanza con il caldo alle stelle parlandoci della faticosa e quotidiana attività dell’associazione Parada. Franco che ha lasciato il suo appartamento di Milano, dieci anni fa ha venduto tutto e si è trasferito a Bucarest mettendo su famiglia e scommettendo sul futuro dei giovani. Lavoro faticosissimo, spesso mal ricompensato. Per ogni passo avanti, quante delusioni e su dieci bambini, uno soltanto riesce a farcela. Ma gli operatori non si scoraggiano, sanno quanto di buono esiste in questa gente, anche in quella che emigra. La Moldavia, resasi autonoma dall'ex Unione Sovietica nel 1990, forse un giorno entrerà a far parte dell'Unione Europea, evento che l'aiuterà nella realizzazione di infrastrutture come strade e soprattutto nel collegamento della rete elettrica tra molteplici paesini che nottetempo ancora brancolano nel buio. Quella rumena invece è la comunità più numerosa nel nostro Paese: ben 400.000 persone se dobbiamo credere alle statistiche. E, sempre secondo le statistiche oltre 20.000 sono le imprese italiane che hanno spostato la loro produzione in Romania. In Italia le rumene reggono un intero settore economico-sociale, quello legato all’assistenza ad anziani e disabili. I rumeni maschi sono impiegati prevalentemente in campo edilizio, producendo l’1,2 del PIL del Paese. Settori che, se non fosse per la loro presenza, subirebbero una fortissima crisi per la scarsa disponibilità di manodopera. Lavori che gli italiani non vogliono più svolgere. In Romania le aziende italiane, le cui ammiraglie sono la Geox, la Fiat, la Parmalat, la Riso Scotti, la Stefanel, la Telecom, la Zoppas, l’Agip, ottengono il massimo profitto con un salario bassissimo: lo stipendio medio di un operaio in questo paese si aggira intorno ai 100, 150 euro.             La Romania è al primo posto per corruzione nell’Europa orientale: anche per partorire occorre la mazzetta all’infermiera. In Italia secondo la Corte dei conti, il momento è drammatico: nei primi undici mesi del 2009, nella penisola le denunce per corruzione sono salite del 229%. La Western Union e la Money Gram sono i vettori principali del “money transfer” attraverso i quali quotidianamente gli immigrati inviano denaro ai propri familiari rimasti in patria, a volte frutto di attività illecite e di riciclaggio, che andranno a confluire nei conti in banca dei rumeni. I grandi nomi delle banche italiane a Bucarest sono tutte presenti all’appello: Unicredit, Intesa San Paolo, BNL. Spesso, però i soldi che tornano in Romania, duplicati e quadruplicati, servono a migliorare la città, molti, moltissimi stanno investendo nei cosiddetti “cappotti”, operazione di isolamento dal caldo e dal freddo di cui le case si rivestono. “I rumeni sono tutti Rom!” dicono in molti. Pochi sanno che esistono Rom italiani – cittadini a pieno titolo del nostro Paese, nati da famiglie italiane e cresciuti in Italia. Pochi sanno o vogliono sapere che la popolazione Rom in Romania è una minoranza «etnico-linguistica»: gruppi che parlano la lingua romanés. La Francia deporta in massa i Rom suscitando l’ammirazione del governo italiano, accusando lo stato di Romania di non sapere “irreggimentare” questa frangia della popolazione. «I paladini della “Liberté, Egalité, Fraternité”, dovrebbero dare lezioni in materia anziché liquidare il problema con un lunghissimo treno» dice don Aloisio.  Molti dei cosiddetti “Zingari”, sanno lavorare il rame creando utensili e quant’altro questo antichissimo metallo può generare. Si dice che portino la delinquenza, ma questa non è prerogativa di un’etnia e tutti possiamo sbagliare, gli italiani in primis. La povertà è dilagante in Romania, i danni creati da una dittatura e da quel “comunismo” di Nicolae Ceauşescu (le virgolette non sono casuali) hanno portato gran parte della popolazione a credere poco in se stessa: nelle grandi catene alberghiere internazionali non è difficile trovare opuscoli stracolmi di inviti al sesso pagabile con carta di credito per una larghissima fetta di turismo compiacente, in gran parte italiano, dove lo sfruttamento minorile trova ampi consensi alla stregua dei gran casinò.  Davanti le file sterminate dei grigissimi e monotoni palazzi della periferia di Bucarest, sono ora alberi che ne coprono pietosamente le brutture, sullo sfondo il palazzo del governo, secondo per grandezza solo al Pentagono, per la cui costruzione vennero rasi al suolo 10.000 ettari della “vecchia” Bucarest, un tempo considerata la Parigi dell’Est e nella quale l’Orient Express sostava. Tra la fine dell’Ottocento e la prima guerra mondiale, 130.000 artigiani del legno del nord-Italia si trasferirono in Romania. Molte commesse relative alla costruzione della Transiberiana furono affidate a imprese ed ingegneri italiani.  Oggi, invece prende sempre più piede il cosiddetto “turismo sanitario”, frequenti sono i viaggi di tipo medico dai paesi europei, primo fra tutti l’Italia, verso questa terra dove, sicuramente, rifarsi fare i denti costa meno della metà.  Diceva il genio rumeno di Mircea Eliade: “La vita si vive prima ed io scrivo quello che ho vissuto”. Quest’anno il VIS mi ha regalato una speciale lente di ingrandimento da cui poter trarre le mie personali riflessioni, un privilegiato punto di osservazione che trascende ogni sommario giudizio giornalistico.  Grazie ad essa dei luoghi aristocratici della Transilvania, del florido turismo balneare di Costanza, della più grande cantina vinicola al mondo – quella di Milestii Mici –, degli immensi territori ricoperti di girasoli, delle silenziose chiese ortodosse dipinte, di due meravigliose terre che sperano nel futuro, al di là di ogni difficoltà, non avrei saputo scrivere senza sconfinare nel buonismo che spesso pervade i benpensanti, senza aver visto tutto ciò lo sconosciuto alla mia porta sarebbe per me rimasto tale.

 

Erminia Scaglia

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