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«Quaresima, per riscoprire una vita meravigliosa»

Fabrice Hadjadj, filosofo francese convertitosi al cattolicesimo, descrive come vive la Quaresima. È un tempo di penitenza, ma spesso ci si inganna sul suo significato. La penitenza non ha come scopo la sofferenza, ma la gioia. La parola penitenza non viene da pena, ma dal latino “ritorno”. È un tempo in cui si ritorna all'essenziale, ci si sbarazza di tutto quello che ci appesantisce per scoprire la gioia di Gesù Cristo, morto e risorto per tutti.


«Quaresima, per riscoprire una vita meravigliosa»

da Quaderni Cannibali

del 09 marzo 2011

 

 

           «L’apologetica, il rendere ragione della fede, comincia dentro di noi. Prima di guardare la pagliuzza nell’occhio dell’“ateo”, proviamo a interrogarci sul nostro credo. Potremmo comprendere che la fede non è un semplice privilegio, ma un’esigenza d’amore.           E la Quaresima è il tempo che ci aiuta a riscoprire l’essenziale, la vera gioia, quel senso di meraviglia dinanzi a tutto ciò che ci circonda». Che lo sguardo di Fabrice Hadjadj sia quello di un innamorato, stupito dalla realtà, basta vedere con quali occhi osserva la moglie e i suoi cinque piccoli figli che gli saltellano intorno mentre parla. Ma svela tutta la sua fama di pensatore lucido, quando argomenta sulla fede con chiarezza disarmante e una schiettezza che spiazza facilmente l’interlocutore. Filosofo francese convertitosi al cattolicesimo, Hadjadj, quarantenne di origini tunisine, nei giorni scorsi è intervenuto all’Università Cattolica di Milano su invito del Centro culturale di Milano per parlare di “Modernità e modernismo. A proposito del senso religioso”.           I suoi libri continuano a far molto “rumore”. Solo in Italia nell’ultimo anno sono stati pubblicati quattro testi: Mistica della carne (Medusa), Farcela con la morte (Cittadella) La terra strada del cielo (Lindau) La fede dei demoni (Marietti). Si cimenta con argomenti spinosi come il Maligno e le seduzioni della carne. Troppo difficile, visto il periodo, non cedere alla tentazione di chiederle come vive lei la Quaresima…          È un tempo di penitenza, ma spesso ci si inganna sul suo significato. La penitenza non ha come scopo la sofferenza, ma la gioia. D’altra parte la parola penitenza non viene da pena, ma da una parola latina che significa “ritorno”. È un tempo in cui si ritorna all’essenziale, ci si sbarazza di tutto quello che ci appesantisce per scoprire la gioia di Gesù Cristo, morto e risorto per tutti. Ogni persona è chiamata a vivere eternamente. Per questo si deve ricercare non la gioia per se stessi, ma quella che deriva dalla comunione con gli altri.           Personalmente vivo già senza televisione, ma in questo periodo l’unico film che con mia moglie vediamo è Shoah di Claude Lanzmann su Auschwitz e i campi di concentramento: dura 9 ore, ma è un’opera grandiosa. Per il resto cerco di stare più con la famiglia e di pregare più intensamente, specie attraverso l’adorazione eucaristica.          La Chiesa raccomanda tre armi spirituali per riscoprire l’essenziale: digiuno, preghiera, carità.          Certo. Anche se il pericolo è di intendere queste pratiche in maniera farisaica: si potrebbero praticare tutte e non cogliere il senso della Quaresima. Se infatti si digiuna non è per privarsi. Ma per essere ancora più affamati di Cristo.            Se si prega non è semplicemente per domandare delle cose, ma per entrare nella comunione con Colui che è la sorgente di ogni cosa. Sant’Agostino diceva che la preghiera non ha altro scopo che di far crescere in noi il desiderio della beatitudine.            E quanto alla carità, non si tratta di dare soldi per sbarazzarsi del povero: ma di condividere e andare incontro a chi abitualmente non incontriamo. Essere vivi è essere aperti a quello che viene a sorprenderci. Se tutta la nostra vita si svolge dentro un programma, all’interno di una pianificazione, si diventa macchine. Da quale tentazione devono guardarsi di più i credenti oggi?           Se guardiamo alle tre tentazioni di Gesù nel deserto vediamo che sono tutte legate tra di loro: c’è sempre il rischio di passare da una fede solo materiale a una disincarnata (lo spiritualismo), o a una fede che confonde carne e spirito. Mi guarderei bene dalla tentazione diabolica di inseguire la gloria umana piuttosto che quella divina. Un esempio è credere di servire la Chiesa facendo una propaganda in stile pubblicitario, dimenticando che il fine non è farsi dei clienti, ma incontrare delle persone. Non condivido la nuova evangelizzazione preoccupata soltanto delle tecnologie digitali: queste possono servirci, ma non sono essenziali. Il cristianesimo non è una tecnica di comunicazione ma una vita di comunione basata sull’incontro con una Persona, Cristo. E dunque la migliore “tecnica” sarà sempre di andare due a due e incontrare le persone fisicamente: non a caso tutti i sacramenti suppongono la prossimità fisica. Dal momento in cui i preti sono focalizzati solo sulle preoccupazioni tecnologiche, abbiamo perso di vista l’essenzialità dei sacramenti.          Lei insiste molto sulla figura di Satana di cui si parla ancora poco anche nelle chiese...          Non sono io che insisto, ma è il Vangelo. Come nei telefilm ci sono i “profiler”, persone che cercano di dare un volto a chi ha commesso il crimine, anche per noi cristiani è molto importante conoscere il profilo del Maligno. Uno dei grandi errori è quello di pensare che il male radicale si trovi nell’ateismo o nel peccato della carne. Che cosa ci dice il Vangelo? Il Nemico per eccellenza non è né ateo, né ha carne. È un errore focalizzarsi solo sull’ateismo perché vuol dire dimenticarsi che il primo pericolo è una fede senza carità, una fede demoniaca. Se io non ho carità per tutti allora la mia fede diventerà una fede orgogliosa che è quella del demonio. Ripeto spesso che non è un caso se Gesù si rivolge a scribi e farisei: non erano atei, ma gli specialisti della fede, eppure furono quelli che lo crocifissero.Lei non ama parlare molto della sua conversione, perché?          Non mi piace essere aneddotico e retrospettivo. La conversione è un punto di partenza non di arrivo. È come una nascita. Però non si può chiedere ai convertiti solo quel che è successo al momento del parto. Mi sono interrogato spesso sul mio battesimo che è stato qualcosa di straordinario. Però mi si domanda meno del mio matrimonio che pure è il compimento del mio battesimo. Potrei scrivere mille pagine sulla mia conversione. Ma se le dicessi ciò che mi ha fatto diventare cristiano sarei prigioniero di qualcosa che è passato. Io devo sempre poter dire che se sono cristiano è anche grazie lei che mi sta di fronte. Ciò che fonda la fede è innanzitutto la meraviglia dinanzi a ciò che mi circonda.Che cosa l’affascina di più del cristianesimo rispetto ad altre religioni?          Sono persuaso dal mistero della Trinità: Dio è una comunione di tre persone e questo vuol dire che nel cristianesimo la sapienza non è una conoscenza, ma un incontro, con Gesù, che si completa in una comunione di persone. Non è una teoria o uno stato di serenità come in altre filosofie. Mi piace ripetere che nel cristianesimo i nomi propri sono più importanti dei nomi comuni e i volti sono più importanti delle idee. Il cristianesimo mi dice che ogni volto è sconvolgente e soprattutto non elimina nulla dell’esperienza concreta. Questo mi conduce all’altro grande mistero: l’Incarnazione. Il Verbo si è fatto carne significa che non si può più superare la carne dello spirito.Se dovesse raccontare ciò che sta vivendo a un “ateo” da che cosa partirebbe?          Penso che bisogna innanzitutto evitare le etichette. È molto difficile definirsi 'ateo'. Ma se qualcuno si definisse così, per essere coerente non dovrebbe divinizzare nulla al posto di Dio, nessun altro idolo: denaro, tecnica, comunismo… Oggi va di moda dire “sono ateo”, “sono omosessuale” e così via… Nessuno dice: “sono un uomo”. L’importante per il credente è comprendere che dinanzi a sé c’è sempre un uomo. Uno che come me è esposto al peccato e alla morte e che forse ha un po’ meno coscienza del mistero. Ma come me è uno circondato da un non-conosciuto. Prima di porre degli argomenti con un “ateo”, bisogna sentire e vivere questa fraternità umana: si è capaci di ridere insieme? E di cantare insieme? Solo a partire da questo momento potremmo dialogare. I cristiani dicono che non bisogna dormire con una ragazza prima di aver trascorso tutto il tempo del fidanzamento e nello stesso tempo però ci sono cristiani che dicono che bisognerebbe argomentare con l’ateo senza passare da un periodo di “fidanzamento”: è una contraddizione totale.Nel suo libro Mistica della carne (Medusa) affronta il tema della sessualità, un argomento su cui la Chiesa è spesso osteggiata…          È normale che ci sia opposizione. Il problema è che spesso l’insegnamento della Chiesa viene trasmesso male. Due sono gli errori principali. Da un lato si dice che la sessualità è “neutra” e va incanalata con il rispetto, con l’amore, ecc., … Così si fa passare una morale che concepisce la sessualità come un impedimento. Mentre la Chiesa dice che la sessualità in se stessa è buona, però va colta in tutta la sua profondità. Oggi si parla tanto di liberazione sessuale, ma in realtà viviamo una mutilazione della sessualità. Anche un castrato può avere relazioni sessuali, ma è una sessualità che non è aperta alla vita.           E oggi viviamo nel regno dei castrati. L’altro errore è di cadere nell’ossessione sessuale. Cioè parlare ai giovani di “morale sessuale” e non dell’avventura eroica della vita cristiana. I giovani non accetteranno la morale sessuale se non si mostra loro lo scopo. Spesso si resta sul discorso del divieto, della regola: è un discorso farisaico. La morale è come la grammatica: è importante che ci sia per parlare, ma non si parla per fare grammatica. Se vogliamo interessare i ragazzi alla grammatica, dobbiamo innanzitutto mostrare loro la poesia della vita cristiana. È questa la vera sfida.

 

Antonio Giuliano

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