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Quel viaggio in treno con un prete

Tanti anni fa, nel mio pendolarismo settimanale Padova-Roma, avevo trovato comodo viaggiare di notte. Una sera, salito di corsa all'ultimo momento, dopo molti scompartimenti troppo pieni, ne scopro uno decorato solo dalla presenza discreta di un prete col naso immerso nel suo breviario.


Quel viaggio in treno con un prete

da Quaderni Cannibali

del 14 luglio 2011

 

 

          Tanti anni fa, nel mio pendolarismo settimanale Padova-Roma, avevo trovato comodo viaggiare di notte. Il tempo del treno era quello di una bella nottata di sonno. Quando non trovavo posto nel WL, prendevo l'ultimo treno della sera, verso le 19. Arrivavo a Roma a mezzanotte.

In questa fascia oraria capitava spesso che il treno fosse mezzo vuoto.

          Mancavano allora (parlo degli anni Settanta e Ottanta) i fastidiosissimi telefonini cellulari e soprattutto la maleducazione arrogante degli attuali detentori dei medesimi. Insomma in  treno si leggeva, si studiava, si chiacchierava e ci si appisolava che era un gusto.

          Una sera, salito di corsa all'ultimo momento,  dopo molti scompartimenti troppo pieni, ne scopro uno decorato solo dalla presenza discreta di un prete col naso immerso nel suo breviario. Questo fa per me, dico. Mi sistemo, saluto discretamente e mi immergo nella lettura di qualcuno dei libri che sempre mi portavo al seguito. Il prete, dopo aver fatto un cenno di risposta al mio saluto, si era sprofondato nel suo breviario. Mi pregustavo un viaggio proficuo e dilettevole per le mie letture.

          Dopo una mezz'oretta circa, il mio dirimpettaio, abbassando un po' il suo breviario, fa a mezza bocca quelle osservazioni che si fanno di solito quando non sei troppo determinato a intavolare una discussione con chi ti sta di fronte e soprattutto non sai se lui gradisca effettivamente l'iniziativa. Osservazioni sul tempo, sui ritardi proverbiali dei treni e cose che non interessano minimamente chi le emette ma servono come esca per altro.

          Io, educatamente, rispondo sullo stesso registro. Non voglio sembrar maleducato ma non intendo rinunciare al mio piacere di leggere in santa pace. Bofonchio qualcosa che non deve comunicare nulla se non «gradirei continuare a star sulle mie». Ma il mio prete, nonostante l'aria campagnola, fa capire che non è sprovveduto. Riprende subito la sua lettura per farmi capire che ha capito, che io voglio star sulle mie, ma dopo pochi minuti non ricordo con che pretesto inizia una serie di intercalari sempre meno generici. Sono gli intercalari che non si fanno quando devi solo srotolare la tua lingua tenuta troppo a lunga inattiva.

          Sono quelli che mirano ai piedi dell'avversario, a farlo inciampare in qualcosa che per qualche motivo o lo possa coinvolgere o lo obblighi a scartare, ponendovi comunque una certa attenzione. L'osservazione sostanzialmente non consentiva all'interlocutore di scansare l'argomento con la solita bofonchiata. Era una chiamata di correità  su qualche questione di interesse. Oggi, a distanza di tanto tempo, non saprei dire che cosa fu che mi spinse ad accettare la discussione e dopo pochi minuti a catapultarmici con la mia solita foga. Fatto sta che iniziammo, sempre col nostro libro aperto sulle ginocchia tutti e due, a parlottare delle cose del nostro tempo.

          Ad un certo punto l'abile prete mi sfidò sulla questione della natalità in crisi nell'Occidente. Abboccai subito e partimmo in quarta. La discussione si fece così travolgente e stranamente, forse per tutti e due, sulla stessa lunghezza d'onda. Eravamo profondamente d'accordo nel denunciare che i governi avessero abbandonato le famiglie al loro destino e  che il solo pensiero di mettere al mondo un figlio era vissuto in Italia come una cosa da  scriteriati, incolti. Anzi, da egoisti: non si pensa al pianeta che deve già sopportare  questa massa di abitanti! Le persone sensibili al futuro del pianeta, non possono pensare a fare dei figli!

          Per darmi un'idea di quanto per lui fosse importante il figlio, la creatura, aggiunse che nel momento di impartire la benedizione lui usava scendere in mezzo alla gente, prendere un infante dal braccio della madre e alzarlo nel gesto benedicente. La cosa mi parve così bella e carica di significato che mi complimentai con lui e però gli dissi: con i tempi che corrono potrebbe risultare sempre più difficile trovare tra i fedeli qualche mamma col bimbo al seno. Nell'avvitamento crescente e perfino ridicolo di questi nostri ragionamenti, il prete ad un tratto si ferma, mi guarda e mi dice: ma perché non viene a predicare in chiesa con me? Io che credevo di aver capito male, mi schermisco e dico: forse non sono stato chiaro, reverendo, ma io sono laico...laico-laico. Non sono praticante, insomma. Ho capito perfettamente, mi fa lui. E le dirò che è proprio per questo che le ho fatto questo invito. A predicare in chiesa? Con lei? E'curioso, faccio io, un po' divertito. No, no e le spiego subito perché sarebbe una cosa molto bella. Vede, se in una delle nostre chiese a predicare sui temi che abbiamo toccato - lei avrà capito che è per me il tema dei temi: la famiglia, la natalità, la possibilità di dare un futuro alla nostra civiltà ecc - oltre che al solito prete che si sa già come parlerà, venissero anche delle persone come lei, laiche-laiche, non praticanti....vede caro signore io la mia piccola battaglia l'avrei già vinta. Se a pensarla su questi temi ci troviamo d'accordo laici e cattolici...Ma il fatto è che non tutti i laici la pensano come lei. Epperò è molto importante che qualche laico la pensi come lei. Ecco perché vorrei farla conoscere ai miei parrocchiani.

          Sempre più incuriosito dalla audace fantasia di questo prete gli chiedo in quale chiesetta egli eserciti la sua missione. Ho conosciuto tantissimi preti nella mia vita. Sono stato educato dai preti e li ho frequentati sempre, anche dopo che sospesi la pratica religiosa per cercare una mia strada ai problemi che non avevo risolto stando nella chiesa. Preti di campagna, preti di periferia, preti delle zone dure, nei quartieri del degrado, della marginalità. Figure belle, coraggiose, a volte immaginifiche, a volte velleitarie, ma sempre 'a tempo pieno' come dicevamo noi in 'azion cattolica'. Cercavo di immaginarmi in quale  chiesa fosse parroco questo strano prete. Con candida indifferenza mi disse che era uno dei sette monsignori che gestivano San Pietro.

          Non sapendo bene che cosa volesse dire 'uno dei sette', gli dissi scherzando: guardi che se il papa si accorge che lei porta a predicare in san Pietro un laico come me, potrebbe tirarle le orecchie. Sono certo che ne sarebbe felice, fa lui. Lasciò sospesa la frase e poi, quasi sottovoce, aggiunse con un'aria complice e divertita: sa, sono il confessore di papa Wojtyla. Rimasi senza parole. Riguardai quella figura di uomo semplice, diretto, comunicativo e pensai, ma chi potrebbe immaginare che una persona così è il confessore del papa? Arrivammo a Roma in un lampo. Scendemmo dal treno e risalimmo tutta la corsia chiacchierando fino ai taxi. Si tolse di tasca un bigliettino dove scrisse un numero di telefono. L'invito è sempre valido, mi disse. Per la predica? faccio io. Sì, sì. Vedrà che è una cosa meno insensata di quanto sembri. Mi tese la mano e se ne andò.

          Negli anni successivi mi capitò altre volte di incontrare preti che mi invitarono a predicare nelle loro chiese. Qualche volta ho pensato che forse avevo sbagliato mestiere, e che avrei dovuto fare il prete. Chissà.

          Un giorno, aprendo i giornali, leggo la notizia della morte di monsignor Scalzotto. Queste righe sono un omaggio postumo ad un prete coraggioso,fantasioso e dalla personalità affascinante.

 

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