Nel giorno che ricorda, cinquant'anni dopo, l'inizio del Concilio si apre l'Anno della fede. Le due aperture vogliono essere comprese in sintonia e sostenersi a vicenda. Fede. È una parola forte, se ci pensate, che riassume una transizione e porta in campo l'autentica svolta che ne doveva maturare.
Nel giorno che ricorda, cinquant’anni dopo, l’inizio del Concilio si apre l’Anno della fede. Le due aperture vogliono essere comprese in sintonia e sostenersi a vicenda. Il Papa ha indicato il legame, il Sinodo dei Vescovi ne sta tracciando il passaggio. Se qualcuno si era immaginato un Sinodo preparato per chiudere quello che il Concilio aveva aperto, si è semplicemente sbagliato. Nell’aula del grande raduno sta prendendo ritmo e forma, piuttosto, una passione dominante: dobbiamo noi stessi aprirci alla fede; e riaprire di nuovo, per tutti, la porta della fede. Niente altro, prima di questo.
È una parola forte, se ci pensate, che riassume una transizione e porta in campo l’autentica svolta che ne doveva maturare. Certo, per quanto appaia tutta l’enormità dell’impresa, ricondotta alla questione della fede, essa sembra persino più semplice, adesso. La fede, proprio lei, è il nostro tesoro più prezioso. Lo è per noi, lo è per tutti. Non possiamo perderla, non vogliamo corromperla, non intendiamo affogarla in un gergo per iniziati, né dissiparla a poco prezzo pur di trarne vantaggio per noi. Non è solo il tema del nostro impegno, è la sua forza migliore.
La fede è una forza bella. Ricominciamo a guardarla con occhio più limpido e scopriamo che la potenza della fede e l’inizio dell’evangelizzazione coincidono fin dal primo momento. Infatti si comunica la fede che si ha, e la fede che si dona è proprio quella più allegra, che non cede mai.
La fede del resto, anche per tutto questo tempo, non è mai stata abbandonata a se stessa: nemmeno nei momenti più difficili. Ha sempre accantonato grano buono, per i momenti di carestia. Ha persino trasformato l’acqua in vino migliore, quando si doveva fare un miracolo per non mortificare gli ospiti. Il Signore e lo Spirito ci hanno colmato di santi e di saggi, quanti ne servivano: pochi noti, moltissimi quasi invisibili. Abbiamo fatto tesoro dell’insegnamento del Signore, parola per parola: la dottrina e la catechesi della tradizione cattolica non sono arrivate per caso, raccolgono l’eredità migliore dei Padri della fede: non improvvisazioni, magistero autentico, affinato nel fuoco dello Spirito.
Insomma, ecco la scoperta: la fede stessa è la nostra vera ricchezza, il nostro lato migliore, la nostra bellezza realmente guardabile. Una volta che puntiamo a essa, non abbiamo bisogno di orpelli per restituire credibilità alla potenza della sua Parola, e commozione alla sua capacità di riconciliare l’uomo con Dio.
Questa buona coscienza deve riprendere respiro, scioglierci dalla nevrosi del tempo, restituirci uno sguardo lieto e non corrucciato. In mezzo a tutti gli espedienti che ci siamo inventati, e a tutti i puntigli che ci hanno stremati, si riapre dunque la porta della fede. E scopriamo – un po’ con emozione e un po’ con vergogna – che ci siamo immaginati di passare dovunque, eccetto che di lì. Intanto, sono passati anni. Ma adesso, molti segni fanno veramente pensare che ci stiamo tutti riconciliando con la bellezza di quella apertura che la fede stessa è.
Me lo sento, vi dico. Quando ci vedrete tutti su quella soglia, saprete che è un gran giorno. La storia si riaprirà, scoprendo quello che ci siamo persi in questi decenni. E vi verrà voglia di riaprire la porta della vostra casa, per la sorpresa di quello che vi verrà incontro.
Pierangelo Sequeri
Versione app: 3.25.3 (26fb019)