Era il 3 giugno 1963. La sera prima, un violento temporale aveva flagellato Roma, ma in tanti si erano inginocchiati sui ruvidi sanpietrini del sagrato per vegliare l'agonia del Papa. Sotto il cielo plumbeo della capitale si attendeva l'ora, ma da lì a poco le edizioni straordinarie sarebbero state bagnate dalle lacrime dei fedeli.
Una colata di piombo sulle prime pagine dei quotidiani di mezzo mondo. «L'Eco» listato a lutto. L'annuncio della morte di Giovanni XXIII, la notizia più triste del giorno, deflagrava mezzo secolo fa con caratteri cubitali sui giornali e nelle immagini di una tv in bianco e nero, lastricate di dolore.
Era il 3 giugno 1963. La sera prima, un violento temporale aveva flagellato Roma, ma in tanti si erano inginocchiati sui ruvidi sanpietrini del sagrato per vegliare l'agonia del Papa. Sotto il cielo plumbeo della capitale si attendeva l'ora, ma da lì a poco le edizioni straordinarie sarebbero state bagnate dalle lacrime dei fedeli.
Cinquant'anni dopo, la stessa piazza cinta dalle colonne berniniane è un caleidoscopio di colori, un arcobaleno dopo la tempesta, e i fazzoletti giallo-bianchi dei fedeli - come la bandiera del Vaticano - accendono la giornata dell'anniversario.
«Questa non è morte», così «L'Eco» titolava il fondo del direttore Andrea Spada e a ben guardare negli occhi i bergamaschi giunti nella città eterna vien da ripeterlo: il ricordo del nostro pontefice resta vivo. Il pianto ha lasciato il posto alla gioia della gente di Bergamo e Sotto il Monte che torna dal suo Papa.
Un incontro dopo dieci lustri, di dirompente forza rievocativa. La morte del Vicario di Cristo, del resto, è satura di significati. Esce da sfera comune e diviene universale, esce dalle Mura leonine e si staglia sul mondo. C'è qualcosa di misterioso, sorprendente, potente che l'accompagna assieme al disorientamento dei fedeli.
Oscura le certezze di taluni, è il tramonto di un uomo di riferimento. Ma è una morte che porta in sé non solo mestizia, perché il ricordo consola, l'addio al pontefice è nell'ordine delle cose, è un trapasso naturale, non violento.
E anche da morto, il suo corpo suscita moniti e pietà, persino scandalo, perché anche il Papa muore. Giovanni XXIII si era preparato per tempo al momento del distacco. Il pensiero della fine aveva scandito quasi tutte le sue giornate.
Giovane, era rimasto impressionato, quasi terrorizzato, dalla morte del suo parroco don Francesco Rebuzzini che aveva visto a terra colto da malore. Cappellano militare aveva dato l'estrema unzione a giovani soldati. In Bulgaria aveva assistito impotente ai morti del terremoto, mentre da Sotto il Monte giungevano le ferali notizie della scomparsa dei genitori.
In Vaticano, sopra il comodino della camera da letto, teneva le foto dei suoi cari defunti e del cimitero del paese. Ma Roncalli non ha mai smesso di pensare nemmeno alla sua morte. «Dobbiamo sempre star prepararti tutti, giovani e vecchi. Quando la morte arriva di solito fa come i ladri di notte», scriveva alla famiglia da Istanbul il 26 dicembre 1937.
Qualche anno prima, nel corso degli Esercizi spirituali (giugno 1931), annotava nel suo Diario: «Sono nel cinquantesimo anno della mia vita. Dunque, uomo maturo che si avvia alla vecchiaia: forse la morte è vicina». In occasione del funerale di un sacerdote di Udine nel dicembre 1955 diceva: «La mia morte, la vostra quando verrà ? Non è poi così triste il pensarci: diventa soave la vita con il familiarizzarci al pensiero della morte».
Patriarca di Venezia si era persino spinto a provare il sarcofago dove avrebbe voluto essere sepolto. Nottetempo si fece aprire dai custodi della Basilica di San Marco la cripta e chiese che venisse aperta la tomba. Vi si sdraiò e al momento di uscire - dicono i ben informati - si lasciò sfuggire una battuta: «È un po' stretta, però».
Forse anche quello era un segno del destino. A Roma, nelle ultime settimane di vita, al volto preoccupato del suo medico personale, il prof. Gasbarrini, rispose con parole pacate: «Caro professore, io ho le valigie sempre pronte».
Spirò alle 19,45 del 3 giugno, mentre il card. Traglia pronunciava l'Ite missa est, il termine della liturgia coincideva con l'ultimo respiro del Papa. La finestra dell'appartamento pontificio si illuminò di colpo. Un bagliore. Tutti capirono: Giovanni XXIII era entrato nella luce eterna.
Emanuele Roncalli , L’Eco di Bergamo
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