Reti Sociali: porte di verità e di fede; nuovi spazi di evangelizzazione.

La 47a Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali 2013. Ogni anno la Chiesa, la domenica dell'Ascensione, celebra la Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali, l'unica voluta dal Concilio Vaticano II. Il suo scopo è quello di «incrementare e rendere più efficace il multiforme apostolato della Chiesa» (Inter mirifica, n. 18) nel campo comunicativo.

Reti Sociali: porte di verità e di fede; nuovi spazi di evangelizzazione.

 

Riflessione di Antonio Spadaro sul Messaggio di Benedetto XVI per la 47a Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali apparsa su La Civiltà Cattolica il 2 febbraio 2013.

Ogni anno la Chiesa, la domenica dell’Ascensione, celebra la Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali, l’unica voluta dal Concilio Vaticano II. Il suo scopo è quello di «incrementare e rendere più efficace il multiforme apostolato della Chiesa» (Inter mirifica, n. 18) nel campo comunicativo. Com’è tradizione, il 24 gennaio scorso Benedetto XVI ha inviato il suo messaggio per la Giornata di quest’anno, la 47a, dedicata al tema: «Reti Sociali: porte di verità e di fede; nuovi spazi di evangelizzazione». L’annuncio del tema è avvenuto, come ogni anno, il 29 settembre, festa degli arcangeli Michele, Raffaele e Gabriele, patrono, quest’ultimo, di quanti lavorano nella radio.

Cercheremo di seguito di comprende il significato e la portata di questo Messaggio innanzitutto collocandolo nel suo contesto temporale legato all’Anno della Fede e al Sinodo sulla Nuova Evangelizzazione. Quindi individueremo tre «pilastri» di questo testo, cioè i temi che lo hanno generato. E quindi, proprio alla luce del Messaggio, ci interrogheremo sul motivo per cui il Papa ha deciso di unirsi alla conversazione aperta su Twitter, una delle reti sociali più diffuse, che ormai 6 mesi fa ha superato i 500 milioni di utenti.

 

Il contesto del Messaggio

Per comprendere la portata di questo Messaggio occorre indicare alcuni elementi legati al contesto. Il primo elemento è dato dal fatto che esso si inserisce all’interno dell’Anno della fede e giunge a conclusione del Sinodo sulla Nuova Evangelizzazione. Il Papa dunque ci invita a riflettere sui social networks, collegando ad essi non solamente la «verità», come aveva fatto già nel Messaggio del 2011, ma anche la «fede» e l’«evangelizzazione».

Ricordiamo innanzitutto che l’Anno della fede è stato inaugurato da una Lettera apostolica in forma di motuproprio dal titolo Porta Fidei da cui il Messaggio per la Giornata delle Comunicazioni riprende direttamente la metafora della porta (cfr At 14,27), che identifica la fede e che «introduce alla vita di comunione con Dio e permette l’ingresso nella sua Chiesa». Dunque il Pontefice riconosce che nel mondo digitale si può discernere una «porta di fede». Si tratta di un riconoscimento significativo, che farà molto riflettere non solo chi opera nel mondo della comunicazione, ma ogni cristiano che ha un profilo in un social network quali Facebook o Twitter, per citare i più noti.

Il Sinodo sulla Nuova Evangelizzazione aveva riconosciuto nelle sfide della comunicazione uno dei sei «scenari» fondamentali che i cristiani oggi sono chiamati a comprendere perché – si legge nei Lineamenta – ormai «non c’è luogo al mondo che oggi non possa essere raggiunto e quindi non essere soggetto all’influsso della cultura mediatica e digitale che si struttura sempre più come il “luogo” della vita pubblica e della esperienza sociale» (n. 6). Tra i frutti migliori venivano riconosciuti almeno i seguenti: «maggiore accesso alle informazioni, maggiore possibilità di conoscenza, di scambio, di forme nuove di solidarietà, di capacità di costruire una cultura sempre più a dimensione mondiale, rendendo i valori e i migliori sviluppi del pensiero e dell’espressione umana patrimonio di tutti» (ivi). L’Instrumentum Laboris ha ripreso quell’osservazione aggiungendo che «le nuove tecnologie digitali hanno dato origine ad un vero e proprio nuovo spazio sociale, i cui legami sono in grado di influire sulla società e sulla cultura. Agendo sulla vita delle persone, i processi mediatici resi possibili da queste tecnologie arrivano a trasformare la realtà stessa. Intervengono in modo incisivo nell’esperienza delle persone e permettono un ampliamento delle potenzialità umane. Dall’influsso che esercitano dipende la percezione di noi stessi, degli altri e del mondo.Queste tecnologie e lo spazio comunicativo da esse generato vanno perciò considerati positivamente, senza pregiudizi, come delle risorse, anche se con uno sguardo critico e un uso sapiente e responsabile» (n. 60).

Vari Padri sinodali nelle loro relazioni hanno ripreso il tema della comunicazione e dei linguaggi. Tra questi ricordiamo l’arcivescovo Claudio Maria Celli, presidente del Pontificio Consiglio per le Comunicazioni Sociali, che, parlando del mondo digitale, ha affermato che se «la Buona Novella non è proclamata anche “digitalmente”, corriamo il rischio di abbandonare molte persone, per le quali questo è il mondo in cui “vivono”». Riconoscendo la peculiarità di questo spazio, che non privilegia automaticamente i contributi di autorità e istituzioni stabilite, mons. Celli ha affermato anche la necessità «di valorizzare le “voci” dei molti cattolici presenti nei blogs, nei social networks e in altri forum digitali». Il card. Gianfranco Ravasi, presidente del Pontificio Consiglio della Cultura, nel suo intervento ha a sua volta riconosciuto che oggi «è necessario saper adottare anche i nuovi canoni della comunicazione telematica e digitale con la loro incisività ed essenzialità». Come si comprende bene, dunque, il titolo del Messaggio della Giornata Mondiale delle Comunicazioni del 2013 costituisce uno dei frutti di un’ampia riflessione che la Chiesa sta vivendo in questo tempo su fede e comunicazione.

 

La rete digitale come spazio di esperienza reale

Alla luce delle riflessioni del Sinodo risulta chiara la sintesi che troviamo nel Messaggio del Papa: «I social networks inoltre non devono essere visti dai credenti semplicemente come uno strumento di evangelizzazione» . La Rete è da abitare perché «la vita dell’uomo di oggi si esprime anche nell’ambiente digitale».

Ma internet non è anche un luogo di pericoli e rischi? Sappiamo bene come più volte nei testi del Papa e in molti documenti del Magistero si sia fatto riferimento ai rischi che si corrono nell’ambiente digitale: un’esaltazione emotiva delle relazioni e dei legami sociali, l’indebolimento e la perdita di valore oggettivo di esperienze quali la riflessione e il silenzio; la riduzione della politica a strumento di spettacolo. Il Messaggio di Benedetto XVI ha tra i suoi meriti quello di aiutarci a chiarire che questi rischi non sono parte della cultura digitale, ma parte della vita ordinaria delle persone che l’ambiente digitale poi replica con le sue caratteristiche tipiche di velocità e accessibilità.

È improprio attribuire alla rete ciò che invece dipende dai nostri limiti relazionali e umani o dal nostro peccato, e che trasferiamo sul web esattamente come negli altri ambienti che frequentiamo off line. Attribuire sic et simpliciter le colpe all’ambiente digitale è sostanzialmente una forma comoda ed efficace di deresponsabilizzazione, di determinismo tecnologico. Nella rete portiamo ciò che siamo. Cerchiamo di essere migliori, e anche il web lo sarà.

«L’ambiente digitale – scrive il Papa – non è un mondo parallelo o puramente virtuale, ma è parte della realtà quotidiana di molte persone, specialmente dei più giovani». Lo spazio digitale non è inautentico, alienato, falso o apparente, ma è un’estensione del nostro spazio vitale quotidiano, che richiede «responsabilità e dedizione alla verità». Abitare significa inscrivere i propri significati nello spazio. Ed è proprio questa la sfida: inscrivere i significati e i valori della nostra vita nell’ambiente digitale, e anche capire come l’impatto che ha la Rete sul modo di pensare e di vivere, riguarda, in qualche modo, anche il mondo della fede, la sua intelligenza e la sua espressione. Ovviamente però abitare il mondo digitale non può prescindere dalla saggezza di un adattamento non sempre facile. Questo «addomesticamento» dello spazio richiede la consapevolezza necessaria per abitare quello che i vescovi italiani hanno definito come un «nuovo contesto esistenziale».

 

Il Papa offre un esempio della fluidità tra ambiente fisico e digitale notando che le «reti possono anche aprire le porte ad altre dimensioni della fede. Molte persone, infatti, stanno scoprendo, proprio grazie a un contatto avvenuto inizialmenteon line, l’importanza dell’incontro diretto, di esperienze di comunità o anche di pellegrinaggio, elementi sempre importanti nel cammino di fede. Cercando di rendere il Vangelo presente nell’ambiente digitale, noi possiamo invitare le persone a vivere incontri di preghiera o celebrazioni liturgiche in luoghi concreti quali chiese o cappelle».

Si può dunque identificare in questo uno dei pilastri del Messaggio del Papa per la 47a Giornata Mondiale delle Comunicazioni: l’ambiente digitale non è uno spazio puramente ludico in cui si mette in gioco un secondo sé, un’identità doppia che vive di banalità effimere, come in una bolla priva di realismo fisico, di contatto reale con il mondo e con gli altri. E la sfida è chiara: vedere nella Rete uno spazio antropologico interconnesso radicalmente con gli altri della nostra vita. Siamo chiamati, dunque, a vivere bene sapendo che in Rete si sviluppa una parte della nostra capacità di fare esperienza.

 

Le Rete, luogo di condivisione di conoscenza, valori e significati

Nel suo Messaggio il Papa non parla in generale di internet nel suo complesso, cioè del mondo digitale, ma si sofferma su una sua dimensione: quella dei social networks. Ne parla perché lo sviluppo di queste reti — scrive — «sta contribuendo a far emergere una nuova “agorà”, una piazza pubblica e aperta in cui le persone condividono idee, informazioni, opinioni, e dove inoltre possono prendere vita nuove relazioni e forme di comunità». Ciò che interessa al Papa in ultima analisi è sempre e comunque la comunicazione come dimensione fondamentale della vita umana. Parla dei networks sociali perché stanno plasmando il modo in cui l’uomo comunica, perché «danno forme nuove alle dinamiche della comunicazione».

Benedetto XVI aveva già fatto un’ampia e profonda riflessione sui social networks nel Messaggio del 2009 e l’aveva ripresa in quello del 2011. Aveva notato che fare informazione oggi non significa semplicemente trasmetterla (broadcasting) ma condividerla (sharing): le dinamiche proprie dei social networks mostrano che una persona è sempre coinvolta in ciò che comunica. «In questi spazi — scrive adesso il Papa — non si condividono solamente idee e informazioni, ma in ultima istanza si comunica se stessi». È in gioco qui la differenza tra «propaganda» e «testimonianza». In questo senso, dunque, la Chiesa è chiamata non a una emittenza di contenuti religiosi, ma soprattutto a una testimonianza nella «realtà in cui siamo chiamati a vivere, sia essa fisica, sia essa digitale», senza fratture o cesure tra le due «realtà», senza schizofrenie: «Quando siamo presenti agli altri, in qualunque modo, noi siamo chiamati a far conoscere l’amore di Dio sino agli estremi confini della terra».

L’attitudine alla condivisione plasma anche il modo in cui l’uomo pensa e cerca sinceramente la verità. Nelle reti sociali gli uomini sono coinvolti – si legge nel Messaggio – «nel cercare risposte alle loro domande», «nell’essere stimolati intellettualmente e nel condividere competenze e conoscenze». Internet comporta la connessione e la condivisione di contenuti e idee. Già nel Messaggio del 2011 il Papa notava che il web sta contribuendo allo sviluppo di «nuove e più complesse forme di coscienza intel- lettuale e spirituale, di consapevolezza condivisa». Oggi si pensa e si conosce il mondo non solamente nella maniera tradizionale della lettura o dello scambio in un contesto ristretto di relazioni (insegnamento, gruppi di studio…), ma realizzando una vasta connessione tra intelligenze che lavorano in rete. Il cablaggio delle reti sta dando vita a una forza emergente e vitale, in grado di raccogliere le persone e di farle pensare insieme al di là del tempo e dello spazio. I networks sociali dunque non solamente aiutano ad esprimere agli altri il proprio pensiero, ma aiutano anche a pensare insieme agli altri, elaborando riflessioni, idee, visioni della realtà. La comunicazione oggi aiuta il comunicatore a pensare insieme alle persone alle quali si rivolge grazie alla possibilità di ricevere continuamente feedback e commenti. La comunicazione è sempre un gesto che connette le persone tra di loro.

La rete di queste conoscenze dà vita a una forma di «intelligenza connettiva». Mons. Gerhard Ludwig Müller, oggi prefetto per la Congregazione della Dottrina della Fede, nel novembre 2012 aveva colto lucidamente la sfida, cioè la «responsabilità della Chiesa nella formazione di una cultura umana collettiva, per la quale la società odierna, con la sua rete di connessioni internazionali – globali – fornisce del resto degli ottimi presupposti».

Ecco dunque un altro pilastro portante del Messaggio per la Giornata Mondiale delle Comunicazioni: la conferma che la Rete come network sociale è luogo in cui si condividono conoscenza, valori e significati dentro una rete di intelligenze tra loro in relazione aperta. La Rete dunque è un luogo in cui si esprime la ricerca dell’uomo, il suo desiderio di verità e i suoi interrogativi di senso. A questa ricerca, che avviene nel mondo digitale, il Papa aveva dato una interpretazione teologica già nel Messaggio del 2011: «La verità che è Cristo, in ultima analisi, è la risposta piena e autentica a quel desiderio umano di relazione, di comunione e di senso che emerge anche nella partecipazione massiccia ai vari social network».

 

Coinvolgimento interattivo con le domande e i dubbi degli uomini

Il Pontefice indica i rischi già ben noti che accompagnano la ricerca dell’uomo nell’ambiente digitale: la popolarità che supera la validità; l’efficacia persuasiva che vince la logica dell’argomentazione; il rumore delle eccessive informazioni che disperde l’attenzione. E tuttavia aggiunge un rischio ulteriore, che possiamo considerare quello attualmente più insidioso: quello di conversare soltanto con coloro che già condividono le nostre visioni. E invece «dialogo e dibattito possono fiorire e crescere anche quando si conversa e si prendono sul serio coloro che hanno idee diverse dalle nostre». Sappiamo bene infatti che sia i social networks come Facebook, i motori di ricerca come Google o i negozi on line comeAmazon, conservano le informazioni delle persone che li frequentano, e questi dati sono utilizzati per dirigere le risposte o gli aggiornamenti circa i contatti personali. Le nostre ricerche dunque non sono mai basate su criteri esclusivamente oggettivi, ma sui nostri interessi specifici. Sono orientate sul soggetto, e dunque soggetti diversi ottengono risultati differenti. Il vantaggio è immediato: arrivo subito a ciò che presumibilmente mi interessa di più perché le piattaforme digitali mi «conoscono» e mi suggeriscono che cosa possa attirarmi maggiormente.

D’altra parte c’è un grande rischio: quello di rimanere chiusi in una sorta di «bolla» che fa da filtro a ciò che è diverso da me, per cui io non sono più in grado di accorgermi che ci sono persone, gruppi, libri, ricerche che non corrispondono alle mie idee o che esprimono un’opinione diversa dalla mia. Quindi, alla fine, io rischio di essere circondato da un mondo di informazioni che mi somigliano, e di rimanere chiuso alla provocazione intellettuale che proviene dall’alterità e dalla differenza. Il rischio è evidente: perdere di vista la diversità, aumentare l’intolleranza, chiudersi alla novità, all’imprevisto che fuoriesce dai miei schemi relazionali o mentali. L’altro diventa per me significativo, dunque, soltanto se mi è in qualche modo simile, altrimenti non esiste. Ecco dunque che il Papa ribadisce: «Constatata la diversità culturale, bisogna far sì che le persone non solo accettino l’esistenza della cultura dell’altro, ma aspirino anche a venire arricchite da essa e ad offrirle ciò che si possiede di bene, di vero e di bello».

Non si testimonia il Vangelo in Rete limitandosi a «inserire contenuti dichiaratamente religiosi sulle piattaforme dei diversi mezzi», chiudendosi alle domande vere e urgenti, ai dubbi e alle sfide degli uomini d’oggi. Al contrario il Papa ribadisce la necessità di essere disponibili «nel coinvolgersi pazientemente e con rispetto nelle loro domande e nei loro dubbi, nel cammino di ricerca della verità e del significato dell’esistenza umana». Sembrano risuonare qui le parole di Paolo VI, che nella enciclica Ecclesiam suam del 1964 si chiedeva retoricamente: «Al Concilio stesso non s’è voluto dare, e giustamente, uno scopo pastorale, tutto rivolto all’inserimento del messaggio cristiano nella circolazione di pensiero, di parole, di cultura, di costume, di tendenze dell’umanità, quale oggi vive e si agita sulla faccia della terra? Ancor prima di convertirlo, anzi per convertirlo, il mondo bisogna accostarlo e parlargli» (n. 70).

Occorre dunque superare la logica degli steccati, delle contrapposizioni, dei gruppi chiusi e autoreferenziali che alla fine paradossalmente la Rete rischia di fomentare. E «il coinvolgimento autentico e interattivo con le domande e i dubbi di coloro che sono lontani dalla fede ci deve far sentire — prosegue Benedetto XVI — la necessità di alimentare con la preghiera e la riflessione la nostra fede nella presenza di Dio, come pure la nostra carità operosa».

Ecco, dunque, il terzo pilastro fondante del Messaggio del Papa per la Giornata delle Comunicazioni: l’invito a non costruire isole o «ghetti», l’appello a essere coinvolti in maniera immersiva e interattiva nei dubbi e nelle domande degli uomini di oggi, a condividere la ricerca di ogni uomo. La Rete deve essere un luogo di dialogo aperto, di riconoscimento della diversità culturale e delle differenze. La disponibilità a interagire con le istanze della contemporaneità fa sentire all’uomo di fede la necessità di pregare di più e ad approfondire meglio la conoscenza della fede. A questo invito si unisce quello ad evitare che si levino «voci dai toni troppo accesi e conflittuali» che rispondono alle logiche di una comunicazione nella quale vince chi urla di più o chi è più seduttivo. Viene evocato invece il profeta Elia che «riconobbe la voce di Dio non nel vento impetuoso e gagliardo né nel terremoto o nel fuoco, ma nel sussurro di una brezza leggera (1Re 19, 11-12)».

 

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La riflessione sulla comunicazione che la Chiesa sta portando avanti in questi anni si interroga non su tecniche e modelli, ma sulla vita dell’uomo al tempo in cui l’esperienza nell’ambiente digitale ha impatto più generale sulla percezione della realtà, di noi stessi e della nostra vita di relazione. In particolare quest’anno il Pontefice nel suo Messaggio per la Giornata Mondiale delle Comunicazioni lancia l’invito a considerare come l’ambiente digitale non sia un mondo parallelo, ma sia parte della realtà quotidiana di molte persone, specialmente dei più giovani. Proprio in questo ambiente di relazioni aperte si condividono conoscenza, valori e significati che esprimono la ricerca dell’uomo e i suoi interrogativi di senso. Da qui l’invito chiaro e autorevole ai cristiani a coinvolgersi in maniera autentica e interattiva con le domande e i dubbi che gli uomini esprimono nel loro cammino di ricerca della verità, che il credente riconosce in Cristo. Se anche il Papa si è unito alla conversazione che avviene via Twitter è proprio per esprimere un segno di attiva partecipazione ai dibattiti, alle discussioni e ai dialoghi degli uomini del nostro tempo che oggi sono sempre più veicolati dai networks sociali.

 

Spadaro Antonio

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