Ricordando don Bosco. Casa per chi non ha casa. Famiglia per chi non ne ha.

L'imbroglio della nostra coscienza è credere che queste siano storie di ieri. E invece sono le storie di oggi, di casa nostra e di lontano. Celebrare davvero don Bosco è riproporlo vivo oggi, con l'impegno di chi sapendo di essere stato amato diventa capace di amare.

Ricordando don Bosco. Casa per chi non ha casa. Famiglia per chi non ne ha.

da Don Bosco

del 22 gennaio 2010

C’è poco da dire sulla difficoltà di educare, sull’emergenza educativa che sentiamo così preoccupante: dobbiamo tornare ad ascoltare, a mettere al centro del compito educativo il dialogo con i nostri ragazzi. Non si tratta di creare nuove scuole di pedagogia o di strutturare nuovi corsi: solo l’ascolto paziente e serio può fare spazio al dialogo educativo. Perché in realtà non è che manchino le domande, anzi la risposta alle domande dei ragazzi, forse arroganti e pretestuose, spesso inespresse ma esigenti, rimane l’unica possibilità di educare. Ascoltare la domanda di felicità, ma anche la domanda di proposte alte, di sfide esigenti. Quello che ci mette in difficoltà è che devono essere proposte sfide che vengono da adulti credibili. 

C’è bisogno di padri che accolgono e sanno con fiducia spingere a navigare il mare aperto, non di padri capaci solo di consolare. 

Don Bosco fu così: un padre amorevole, ma anche esigente, capace di tenerezza ma ricco di proposte entusiasmanti e coinvolgenti, al limite delle temerarietà. 

Ma per educare dobbiamo diventare casa e famiglia per chi non ne ha. O ne ha troppo poca, come tanti ragazzi anche oggi.

 

Una sera di maggio. Piove a catinelle. Don Bosco e sua madre hanno appena terminato la cena, quando qualcuno bussa al portone. È un ragazzo bagnato e intirizzito, sui 15 anni.

“Sono orfano. Vengo dalla Valsesia. Faccio il muratore, ma non ho ancora trovato lavoro. Ho freddo e non so dove andare”...

“Entra - gli dice don Bosco -. Mettiti vicino al fuoco, che così bagnato ti prenderai un accidente”.

Mamma Margherita gli prepara un po’ di cena. Poi gli domanda:

“E adesso, dove andrai?”.

“Non lo so. Avevo tre lire quando sono arrivato a Torino, ma le ho spese tutte”. Silenziosamente si mette a piangere . “Per favore, non mandatemi via” .

Margherita pensa alle coperte che hanno preso il volo.

“Potrei anche tenerti, ma chi mi garantisce che non mi porterai via le pentole?”.

“Oh no, signora. Sono povero, ma non ho mai rubato”.

Don Bosco è già uscito sotto la pioggia a raccogliere alcuni mattoni. Li porta dentro e fa quattro colonnine su cui distende alcune assi. Poi va a togliere dal suo letto il pagliericcio e lo mette lì sopra.

“Dormirai qui, caro. E rimarrai finché ne avrai bisogno. Don Bosco non ti manderà mai via”.

La sua buona madre lo invitò a recitare le preghiere.

“Non le so”, rispose. “Le reciterai con noi” gli disse. E così fu. Di poi gli fece un sermoncino sulla necessità del lavoro, della fedeltà e della religione.

Era il primo orfano che entrava nella casa di don Bosco. Alla fine dell’anno saranno sette. Diventeranno migliaia.

Il secondo fu un ragazzo dodicenne “di famiglia civile”. Don Bosco lo incontrò sul viale San Massimo (oggi corso Regina Margherita). Piangeva con la testa appoggiata a un olmo. Non aveva più padre. La madre gli era morta il giorno prima, e il padrone di casa l’aveva messo fuori, prendendosi le masserizie per rifarsi del fitto non pagato. Don Bosco lo condusse da mamma Margherita e gli trovò un posto presso un negozio come commesso. Riuscì a farsi una buona posizione, e rimase sempre amico del suo benefattore.

 

L’imbroglio della nostra coscienza è credere che queste siano storie di ieri. E invece sono le storie di oggi, di casa nostra e di lontano. 

Volere bene a don Bosco, celebrarne la memoria non è allora fare feste e scrivere libri, cose pur buone e necessarie. Celebrare davvero don Bosco è riproporlo vivo oggi, con l’impegno di chi sapendo di essere stato amato diventa capace di amare. 

A voi tutti cari amici che in ogni angolo del mondo siete capaci di ascoltare e consolare il pianto di tanti “piccoli”, a voi che avete il coraggio di entusiasmare alla vita chi pensava di averne perduto ogni motivo, a voi che in carcere date coraggio a chi si sta ricostruendo un significato, a voi che in comunità e in case famiglia fate sentire il calore rigenerante di avere un padre e una madre a voi che nei centri diurni insegnate la gioia del lavoro quotidiano e dello stare insieme, a voi che nel freddo di città sempre meno accoglienti insegnate la gioia di essere cittadini, a voi tutti: buona festa di don Bosco: nei vostri occhi ritroviamo il suo sguardo. Che è quello di Dio. 

Buona festa: la vostra!

 

don Enrico Peretti

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