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Carissimi fratelli,
Vi scrivo all’indomani della chiusura della Giornata Mondiale della Gioventù, svoltasi a Rio de Janeiro.
Ho avuto la grazia e il privilegio di parteciparvi, assieme ad altri membri del Consiglio Generale, don Adriano Bregolin, don Fabio Attard, don Natale Vitali, don Esteban Ortiz e don Maria Arokiam Kanaga.
Sono stato felicissimo di vedere numerosi confratelli, ispettori, vicari ispettoriali, delegati per la pastorale giovanile, giovani in formazione, accompagnando le differenti delegazioni dai cinque continenti.
Anche se le distanze geografiche e la crisi economica hanno condizionato non poco la venuta di tanti altri SDB e giovani che avrebbero voluto venire, sono stati più di 7.000 i giovani membri del MGS delle opere dei Salesiani, delle FMA, delle Figlie del Divino Salvatore e delle Suore della Carità di Gesù.
Penso di farmi voce di tutti i partecipanti per esprimere la grande gioia e l’entusiasmo con cui abbiamo vissuto questi giorni attorno alla figura carismatica di Papa Francesco. Egli con i suoi gesti, i suoi atteggiamenti e i suoi interventi ha illuminato la mente, riscaldato il cuore ed irrobustito la volontà di tutti per essere davvero “discepoli e missionari di Cristo”, inviati al mondo, senza paura, per servire e così trasformarlo.
In modo particolare ho apprezzato l’insieme di tre componenti – gesti, atteggiamenti e pensiero – che formano un tutt’uno atto a comprendere meglio la figura di Papa Francesco. Tutto ciò spiega la sua forza morale, la sua libertà di agire e parlare, il suo profetismo. Solo così si può dare il giusto valore a tutto quanto lui fa e dice nell’esercizio del suo ministero petrino. Solo così si coglie la visione di Chiesa che ha e che lui si sente chiamato a promuovere. Solo così si può vedere meglio la sua forma di governo: egli parte dalla realtà, cui è molto sensibile, per avviare processi di cambiamento, cercando l’unità più che l’esasperazione dei conflitti dei dinamismi sociali, attraverso una cultura del dialogo e attraverso un rispetto della diversità, ben consapevole del ruolo insostituibile della Chiesa nel collaborare per la riconciliazione di questo mondo fratturato.
Si tratta di una Chiesa, libera dalla mondanità spirituale, dalla tentazione a congelarsi nel suo quadro istituzionale, dalla tendenza all’imborghesimento, dalla chiusura su se stessa, dal clericalismo. Una Chiesa che sia veramente il corpo del Verbo fatto carne e, come Lui, incarnata in questo mondo, risplendente nei più poveri e sofferenti. Il suo servizio è offrire Cristo e i valori del Vangelo per la necessaria trasformazione della società. Una Chiesa che non può ridursi ad essere una piccola cappella, ma piuttosto una casa per tutta l’umanità. Nel suo cuore c’è il desiderio di una Chiesa connotata dall’apertura e dell’accoglienza verso tutti, pur nella diversità delle culture, delle razze, delle tradizioni, delle confessioni religiose. Tale apertura e tale accoglienza sono possibili attraverso una cultura del dialogo e dell’incontro che renda possibile l’unità nel rispetto alla diversità. Una Chiesa che esce sulle strade per evangelizzare e servire, raggiungendo le periferie geografiche, culturali ed esistenziali. Una Chiesa povera, che privilegia i poveri, diventando la loro voce e dando loro voce per superare l’indifferenza egoista di chi ha di più e la violenza disperata di chi si sente sempre più sfruttato e defraudato. Una Chiesa che dà una giusta attenzione e rilevanza alle donne, senza le quali, essa stessa, corre il rischio della sterilità.
Dai quasi 20 discorsi fatti, a mio avviso, i più importanti, appunto perché programmatici, sono stati quello fatto alla Conferenza Episcopale Brasiliana e quello ai dirigenti sociali, oltre ai messaggi rivolti ai giovani, protagonisti della GMG.
Ai vescovi brasiliani Papa Francesco ha cominciato il suo intervento presentando il documento di Aparecida come chiave di lettura per la missione della Chiesa. Essa infatti non ha la potenza dei transatlantici, perché è una semplice barca di pescatori. Dio si manifesta in essa attraverso mezzi poveri e il successo pastorale non poggia sull’efficienza umana, quanto sulla creatività di Dio. La Chiesa è dunque chiamata a trasformarsi volta per volta, ricordando che nella gente il mistero entra attraverso il cuore e non lo si può ridurre a una spiegazione razionale. Il Santo Padre ha quindi presentato ai Vescovi l’icona di Emmaus come chiave di lettura del presente e del futuro facendo una innovativa interpretazione ecclesiologica e non cristologica. Ha cercato di fare comprendere che l’abbandono dalla Chiesa è dovuto al fatto di essere stata ridotta a una reliquia del passato, incapace di dare risposta ai problemi e alle sfide dell’uomo di oggi. La Chiesa non può sfuggire alla notte che sta vivendo a causa della fuga dei credenti cui si era promesso qualcosa di più alto, di più forte e di più risolutivo e veloce.
Purtroppo la Chiesa sembra aver dimenticato che non c’è niente più alto di Gerusalemme, di più forte della debolezza della croce, di più convincente della bontà, dell’amore, della bellezza, di più veloce del ritmo dei pellegrini, al cui passo la Chiesa si deve affiancare, per ritrovare il tempo di “stare con” coloro che accompagna, coltivando la pazienza e la capacità dell’ascolto, e la comprensione di situazioni tanto diverse. Infine, il Papa ha individuato le grandi priorità che l’episcopato brasiliano deve tenere sotto attenzione.
Rivolgendo ai dirigenti della politica e della cultura ha cercato di renderli consapevoli dell’ora storica che stiamo vivendo, della loro responsabilità nella soluzione dei conflitti, dell’urgenza di redimire la politica. Ha più volte sottolineato l’importanza della cultura dell’incontro che si deve promuovere per vincere la dolorosa esclusione degli anziani, attraverso un’ eutanasia culturale che li mette nell’impossibilità di poter arricchire la società con la loro saggezza, con i loro valori. Una cultura dell’incontro che dovrebbe eliminare lo scarto sociale dei giovani, ai quali viene negata troppe volte la possibilità di lavoro e di futuro.
Nei suoi messaggi ai giovani, l’invito è stato quello di investire le proprie energie, la loro stessa vita, per cause positive per le quali vale la pena di spendere la vita. In particolare Cristo Gesù è la grande causa che vale tutta una vita. Li ha esortati dunque a non avere paura di fare scelte coraggiose. Servendosi di metafore ha detto che loro possono essere il campo di Dio, dove cresce e germina e fruttifica il buon seme; li ha invitati a frequentare il campo di allenamento con la squadra di Dio e ad essere atleti di Cristo; li ha esortati a lavorare nel campo della trasformazione, per rinnovare la Chiesa ed essere agenti trasformatori della società e del mondo. Li ha inviati infine, come Cristo e assieme a Cristo, a partire senza paura per servire il mondo ed arricchirlo con il dono di Cristo e del Vangelo, incominciando, in tutto questo, dal servizio ai propri amici e compagni, a tutti i giovani che possono contattare.
Insomma, a Rio de Janeiro, Papa Francesco ha fatto uscire la Chiesa sulla strada, l’ha portata alle periferie, ha fatto sentire la sua voce di Madre, le ha ridato dinamismo e, facendo così, con i suoi gesti e atteggiamenti, ci ha insegnato quale Chiesa egli vuole e quale rapporto deve avere con il mondo.
Ovviamente ho vissuto questo splendido evento ecclesiale con i miei fratelli e sorelle, con i giovani, da Salesiano, da Rettor Maggiore, cercando di capire meglio come questo nuovo momento ecclesiale deve essere accolto, tradotto e vissuto nella nostra Congregazione Salesiana.
E, senza eccessive pretese, devo dire che il cammino che stiamo facendo in preparazione al bicentenario della nascita del nostro amato Padre e Fondatore Don Bosco, e, in modo particolare, lo stesso CG27, con il suo pressante tema “Testimoni della radicalità evangelica”, si trovano in perfetta sintonia con questo appello a Cristo, al suo Vangelo, alla semplicità, alla povertà e all’umiltà.
Con questa mia lettera invito voi tutti, salesiani e giovani, a riprendere tutti gli interventi del Santo Padre, per assumere e portare alla vita i suoi orientamenti spirituali e pastorali come compito prioritario non solo della Pastorale Giovanile ma anche come parte del cammino verso il bicentenario.
Mentre continuiamo a pregare per Papa Francesco, come Lui stesso insistentemente e ovunque chiede, affidiamo a Maria Immacolata Ausiliatrice la Chiesa e la nostra cara Congregazione, perché possa stare all’altezza di quanto il Signore e i giovani si attendono di noi.
don Pascual Chavez Villanueva
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