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Saremo capaci di "boicottare" i Benetton?

Con quel po'di coraggio che ci rimane in corpo, imponiamoci di non entrare più in un negozio Benetton. Boicottiamo i loro maglioni, le loro divise casual, le strizzate d'occhio al buonismo imperante con quei visetti di bambini multicolor che si danno lamano, infagottati e felici. Ne saremmo capaci?


Saremo capaci di 'boicottare' i Benetton?

da Attualità

del 16 novembre 2011 (function(d, s, id) { var js, fjs = d.getElementsByTagName(s)[0]; if (d.getElementById(id)) {return;} js = d.createElement(s); js.id = id; js.src = '//connect.facebook.net/it_IT/all.js#xfbml=1'; fjs.parentNode.insertBefore(js, fjs);}(document, 'script', 'facebook-jssdk')); 

Massì, provocazioni, scandali, non bastano mai, e rendono sempre, che si tratti del Grande Fratello, dei giornali patinati dell’intellighenzia buona, della pubblicità. Metti una donna seminuda in pagina o su un muro, e l’attenzione è assicurata. La United Colors of Benetton, che è più raffinata, e attenta alle pari opportunità e alle lobby giuste, non usa il corpo femminile, usa la Chiesa. Così, nella nuova campagna titolata universalmente “Unhate”, contro l’odio(e chi mai non può essere d’accordo? É così generico…) Benedetto XVI bacia sulla bocca l’Imam del Cairo. Dove il binomio terminologico “sulla bocca” indica il livello becero della provocazione: poteva bastare una stretta di mano, un sorriso, a significare l’idea auspicata di un rapporto, di un incontro di pace. Cose che già ci sono, dunque toccava sfondare il limite del rispetto e del buon gusto. É vero, anche Obama deve vedersela con HuJntao, e non è un bel vedere. Ma lo sfregio al Papa è altra cosa. E all’Imam, certo: solo che la campagna Benetton è indirizzata all’Occidente, non ai paesi arabi, cui dello sberleffo al Papa importa ben poco. 

Probabilmente ci aspetta un bacio saffico tra Carlà e la Merkel, una limonata tra Berlusconi e Di Pietro, perché no. Ma almeno saremmo nel campo della satira, cruda, pesante, ma satira. Che si rivolge a contendenti in armi, schiera cui il Papa non appartiene, avendo sempre e da sempre cercato il dialogo e l’accoglienza, nella doverosa coscienza di una responsabilità, di un’identità da non sottomettere ai giochi di potere e alle convenienze.

Sembrano osservazioni ovvie, e anche un po’ inutili. Non interessano ai promoter della campagna pubblicitaria, e siamo certi che susciteranno consensi, o almeno dibattiti  dotti sull’uso dei media nella comunicazione globale, sui paradigmi educativi del terzo millennio, sui riferimenti etici e quant’altro, è stupido unirsi ai cori. Perchè queste trovate nascono in un pensiero comune, per cui tutto è uguale, tutto è livellabile, tutto è relativo. Il limite, che è la grandezza dell’esperienza umana, può essere sfondato all’estremo, qualunque limite: della libertà e della decenza, come della vita e della morte, della natura. Anni e anni di lavoro culturale nelle università, nelle scuole, nelle lobby culturali che contano ( e quanto contano, basterebbe dare un’occhiata agli andamenti dell’economia mondiale  edel nostro governo) ci hanno convinto che fare quel che ci piace e ci va, in qualunque momento, è il vertice dell’autonomia, dell’indipendenza di giudizio, della libertà, appunto.  Possiamo irridere Dio, e ci sentiamo dei. Possiamo irridere il Papa, e ci sentiamo capaci di scardinare le strutture retrive di un’istituzione che piega le volontà e opprime i popoli. Lo diceva già Marx, ma i comunisti, da lui in poi, hanno sempre avuto un maggior rispetto.

I cristiani veri li mettevano in galera, ma perchè nemici, senza usare indifferenza e senza ridere. A casa nostra poi, nell’Europa dei diritti della persona, tra cui quelli religiosi (che includono il rispetto per la religione e i suoi maestri), anche gli atei più convinti hanno saputo riconoscere la statura umana e morale e intellettuale di pontefici o di semplici sacerdoti, trattandoli col rispetto e il timore dovuto a chi , volente o nolente, riceve l’affetto e la stima  e la devozione di milioni di persone. Dunque, mentre attendiamo i commenti dei nostri folletti della cultura alla Benetton, mentre attenderemo invano un intervento alto da parte di authority di vario livello, abbiamo una sola arma, pacifica e potente, da impiegare a difesa della nostra ragione. Con quel po’di coraggio che ci rimane in corpo, imponiamoci di non entrare più in un negozio Benetton. Boicottiamo i loro maglioni, le loro divise casual, le strizzate d’occhio al buonismo imperante con quei visetti di bambini multicolor che si danno lamano, infagottati e felici. Ne saremmo capaci?

Monica Mondo

http://www.ilsussidiario.net

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