Il writing vandalico provoca danni permanenti e costi che sottraggono risorse alle amministrazioni locali che potrebbero essere destinati ad altro.
Li promuovono insieme a Milano l’Unicef e l’Associazione nazionale antigraffiti: corsi per studenti tra i 10 e i 13 anni per prendere consapevolezza insieme di cosa significhi graffitismo “writing” vandalico e rispetto degli spazi pubblici. Aleteia ne ha parlato con Fabiola Minoletti, segretario nazionale dell’associazione.
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Di cosa si occupa un’associazione antigraffiti?
Per prima cosa di fare chiarezza: il concetto di “graffiti” è nebuloso e ingenera confusione. La distinzione che occorre fare è tra street art, arte di strada e writing vandalico, cioè le scritte che deturpano. La differenza fondamentale sta nell’autorizzazione: il vero artista di strada esprime la sua arte a partire da un’autorizzazione del Comune e la sua opera diventa un dono che offre alla collettività, condiviso in uno spazio aperto. Il writer vandalico, che riempie gli spazi con la sua tag, la firma, è in cerca di visibilità e afferma solo se stesso. Non gli interessa condividere, ma solo di essere visto.
A volte però i disegni sono belli anche se non autorizzati…
E’ proprio questo che ingenera la confusione. Intanto il proprietario del muro dove viene fatto il disegno potrebbe non ritenerlo bello, ma senza l’autorizzazione, il far rientrare la propria creatività in un discorso di comunità, siamo nel vandalismo.
Quanto è diffuso questo fenomeno?
Basta guardarsi intorno, anche se ormai nemmeno più li “vediamo” i cosiddetti graffiti. E’ diventato un fenomeno debordante che colpisce ogni superficie: muri, tram, metropolitana, treni. Anche perché si sono moltiplicate le tecniche per lasciare tag sempre più invasive, con rulli o estintori a spruzzo, che producono lettere più grandi o situate in posti più alti per essere ancora più visibili e sempre più difficili da rimuovere. Di recente, soprattutto sui tram e le carrozze della metropolitana, vengono usate vernici con acidi che corrodono i vetri e non c’è prodotto in grado di cancellarle: l’unica è rimuovere il finestrino. Lo stesso accade con la tecnica che usa punteruoli per graffiare il vetro o, quella recentissima usata a Milano, che impiega bitumi liquidi difficili da rimuovere perché si espandono comportando costi di pulitura ancora maggiori.
Quale soluzione proponete?
Noi organizziamo periodicamente dei cleaning, delle attività di pulitura di quartieri o spazi particolari. Non ci illudiamo di poter pulire tutta la città o tutte le città, ma pulire è l’unica soluzione perché l’esperienza ha dimostrato che con il tempo i writers vandalici vengono demotivati perché il loro obiettivo è restare per sempre con la loro tag su una superficie. E poi è necessario lavorare sulla formazione dei più giovani. Per questo abbiamo organizzato dei corsi nelle scuole insieme all’Unicef: in quinta elementare e nelle scuole medie, perché l’età dei writers si abbassa sempre di più e oggi ci sono dei graffitari di 12 anni.
Qual è il messaggio che veicolate ai ragazzi?
Vogliamo far capire ai ragazzi che ciò che viene vandalizzato è la loro città e il loro futuro. Ogni anno l’ente per la metropolitana di Milano spende 6 milioni di euro per pulire scritte e tag; per pulire Milano è stato calcolato che occorrerebbero 100 milioni di euro, più di 300 per tutta la Lombardia. Sono tutti soldi che le amministrazioni potrebbero impiegare per scuole o parchi o centri sportivi più belli. In più c’è il danno ambientale a cui nessuno pensa: per pulire i treni vengono impiegati degli agenti aggressivi che poi devono essere smaltiti come rifiuti speciali e servono 400 litri di acqua per ogni vagone ma l’acqua è un bene prezioso. Vogliamo far capire ai ragazzi che imbrattare i muri non è una “ragazzata”, ma qualcosa che provoca una ricaduta su tutta la comunità. E’ un percorso educativo e anche pratico perché alla fine anche con loro c’è un cleaning, vicino alla scuola o in un’area a loro scelta. Così possono capire cosa significa organizzarsi, comprare i solventi e anche spendere un sabato in questa occupazione invece di andare a giocare.
Chiara Santomiero
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