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Scuola, portale d'ingresso

Per un bambino andare a scuola significa accedere in una situazione meno protettiva, in cui mettersi in gioco senza potersi mimetizzare nel proprio gruppo di appartenenza; accettare il rischio di confronti impegnativi, in cui potrebbe risultare perdente o comunque deve prendere atto che la propria realtà immediata non è universalizzabile


Scuola, portale d’ingresso

da Quaderni Cannibali

del 13 settembre 2010

         

         

          Della scuola si possono dire cose buone cose meno buone… Ma la scuola va sempre difesa. A prima vista, la frequenza di una scuola, di qualunque ordine e grado, significa che un bambino può imparare tante cose che gli serviranno per stare nel mondo e per poter vivere la propria vita in modo consapevole.

          Ma dobbiamo riconoscere che non è più questo l’unico ambiente nel quale si apprendono delle nozioni e forse non è neppure il più idoneo, se teniamo conto del fatto che spesso la progressione sempre più accelerata dei saperi incontra ambienti e protagonisti più dinamici e flessibili (penso alla tv e al computer, ma anche alle tante forme di capitale culturale tesaurizzate e messe in circolazione dalle stesse famiglie o nel mondo delle associazioni).

          Dunque la scuola è importante, ma non fondamentale per imparare (resta però il soggetto che seleziona e trasmette cultura in modo intenzionale, sistematico e competente); è invece insostituibile in una funzione a cui si pensa poco e che è trasversale dalla scuola materna in poi: l’ingresso di un minore nella società e la possibilità di non essere soltanto uno spettatore, ma un protagonista del contesto in cui vive la quotidianità.

          Una famiglia può offrire tante riflessioni ed esperienze ai propri ragazzi, ma non può forzare i limiti dello spazio e del tempo disegnati dalla casa; il mondo resterà inevitabilmente oltre le finestre e il cancello del condominio. Può comunicare il senso dell’intimità e della relazione faccia-a-faccia, ma non testimoniare il valore complesso dell’alterità, presente nella pluralità di una comunità sociale. Può creare forme interessanti di partecipazione e di responsabilizzazione, ma è inevitabile che queste vengano spese all’interno di un habitat che inevitabilmente facilita il proprio essere nella realtà. Anche quando il nucleo domestico si sforza di superare le barriere del privato, fa fatica a dimostrare fino in fondo la sua identità pubblica.

Almeno da noi in Italia, la cerniera fra individuale e comunitario, fra pubblico e privato, viene testimoniata con particolare forza e chiarezza proprio dalla scuola. Per questo essa rappresenta un rito di passaggio fondamentale, che crea attenzione e interesse, ma anche qualche ansia e disagio. Per un bambino andare a scuola significa accedere in una situazione meno protettiva, in cui mettersi in gioco senza potersi mimetizzare nel proprio gruppo di appartenenza; accettare il rischio di confronti impegnativi, in cui potrebbe risultare perdente o comunque deve prendere atto che la propria realtà immediata non è universalizzabile; imparare a tenere insieme le proprie esigenze con quelle degli altri, ricavando dalle differenze stimoli importanti per allargare i propri orizzonti; scoprire una dialettica fra diritti e doveri che non sta in equilibrio in modo automatico

          Per un adolescente, la scuola secondaria è la scoperta di un mondo esigente che gli chiede di essere protagonista e non destinatario del sapere; di relativizzare il proprio modo di pensare per accogliere una visione più ampia della vita; di riflettere, verbalizzare e interpretare i propri sentimenti e vissuto, se davvero vuole assumere il ruolo di cittadino e di membro di una comunità sociale; di assumere una posizione critica verso se stessi e gli altri, ma anche propositiva, perché si possa creare un rapporto virtuoso fra l’acquisizione di una tradizione culturale e la progettazione di un nuovo mondo. Per tutti i ragazzi, inoltre, la scuola rappresenta la prima volta in cui vene vissuta l’esperienza di essere valutati.

          Non è facile accettare che qualcuno in modo formale (e talvolta al di fuori di una relazione significativa dal punto di vista affettivo) debba stabilire quale rapporto intercorre fra le capacità individuali, l’impegno personale e i risultati conseguiti. E se sicuramente non è semplice tradurre le potenzialità in conoscenze, abilità, competenze, occorre però anche cominciare a misurarsi con una società che decide quanto vale ogni persona, a partire da quello che sa e che sa fare.

          A molte famiglie, oggi, tutto questo non fa molto piacere, perché i propri figli sono sempre intelligenti e bravi e, soprattutto, non è giusto che siano esposti a situazioni in cui venga meno il criterio dell’autoreferenzialità. Ma è proprio questo modo di ragionare che intrappola tanti giovani nelle loro fragilità e illusioni. Vivere in una società che assomiglia ad un mercato certamente non piace a nessuno, ma anche per cambiare le regole del gioco occorre apprenderle e rispettarle.

          Dunque, prima ancora dei ragazzi, sono i genitori a dover accettare la scuola come un impegnativo rito di passaggio, che porta gli adulti a ricordare che il mondo non finisce nei confini del proprio appartamento e, soprattutto, che i figli devono spiccare il volo, per mettersi generosamente al servizio di un mondo che non sarà sempre gratificante, ma che ha bisogno anche di loro per rigenerarsi.

Marianna Pacucci

http://www.biesseonline.sdb.org

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