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Se è possibile passi da me questo calice

Poiché doveva soffrire, si abbandonò alla sofferenza. Non era venuto per patire il meno possibile; non voltò le spalle alla sofferenza; l'affrontò, gli andò incontro scopertamente. Proprio perché la sua anima era perfettamente in suo potere, libera da ogni distrazione, totalmente orientata alla sofferenza, possiamo ben dire che Egli soffrì la Passione tutta intera in ogni singolo momento.


Se è possibile passi da me questo calice

da Teologo Borèl

del 22 giugno 2011

 

Le sofferenze della sua anima

          Ogni brano nella storia del Nostro Signore e Salvatore è di una profondità insondabile e offre materia inesauribile per la contemplazione. Tutto quello che lo riguarda è infinito; e quanto noi percepiamo di primo acchito non è che la superficie di ciò che comincia e finisce nell’eternità. [...]

          Voi sapete, fratelli, che il Nostro Signore e Salvatore, pur essendo Dio, era anche perfetto uomo; quindi ebbe non solo un corpo, ma anche un’anima, come la nostra, immune però da ogni macchia di peccato. Egli non prese un corpo senza anima, Dio ce ne guardi, poiché questo non sarebbe stato farsi uomo. Come avrebbe potuto santificare la nostra natura prendendo una natura che non era la nostra? [...]Durante questi giorni solenni [la settimana della Passione], saremo chiamati a riflettere in modo particolare sulle sofferenze corporali del Signore: l’arresto, i colpi e le ferite, la flagellazione, la corona di spine, i chiodi, la croce. Tutte queste cose sono riassunte davanti ai nostri occhi nel Crocifisso stesso; sono raffigurate tutte insieme nella sua carne benedetta che pende dalla croce davanti a noi; e la meditazione è resa facile da quanto vediamo.

          Non così per le sofferenze della sua anima; esse non possono essere dipinte per noi, né possono essere scandagliate con precisione. Non sono pienamente percepibili né dai nostri sensi né dal nostro pensiero, sebbene abbiano preceduto le sofferenze corporali. L’agonia, sofferenza dell’anima e non del corpo, fu il primo atto del suo tremendo Sacrificio. La mia anima è triste fino alla morte, Egli disse. Sì, se Gesù soffrì nel corpo, in realtà fu nella sua anima dove soffrì; il corpo non faceva che trasmettere la pena all’anima: questa in verità riceveva il dolore ed era la sede dell’angoscia. [...] l’anima, e non il corpo, era la sede delle sofferenze del Verbo eterno.

Egli soffrì la sua Passione pienamente

          Consideriamo perciò come non vi sia vero dolore, benché vi sia una sofferenza apparente, se non c’è alcuna sensibilità interiore, o uno spirito che ne sia la sede. [...]Gli esseri viventi sono più o meno sensibili secondo lo spirito che è in essi; gli animali sono molto meno sensibili degli uomini perché non possono riflettere su quello che sentono. Non hanno alcuna consapevolezza né coscienza diretta nelle loro sofferenze. E ciò che rende così duro il dolore è il fatto che non possiamo smettere di pensarci fintanto che lo sentiamo. Esso è dinanzi a noi, domina la nostra mente e tiene fissi i nostri pensieri su di sé.

          Tutto quello che distoglie la nostra mente da quel pensiero lo mitiga; per questo, quando soffriamo, i nostri amici cercano di farci divertire, perché il divertimento è una distrazione. Se la sofferenza è leggera, essi a volte raggiungono lo scopo, e noi ci troviamo in qualche modo senza dolore, anche se soffriamo. Per questo accade che durante un violento esercizio o una fatica pesante, gli uomini possono restar feriti con conseguenze così forti e durature, che rivelano quanto dovette essere grande la sofferenza nel momento del colpo; e tuttavia, di quella sofferenza non si ricordano più. Così nelle liti e nelle battaglie si ricevono ferite delle quali, per l’agitazione del momento, chi combatte non ha coscienza per il dolore che prova nel riceverle, ma per la perdita di sangue che ne segue.

          Vi mostrerò ora, fratelli, in quale maniera intendo applicare quello che ho detto alla considerazione delle sofferenze del Signore; ma prima farò un’altra riflessione.Un dolore di breve durata difficilmente è insopportabile; diviene insopportabile quando dura a lungo. Voi vi lamentate forse a gran voce di non poterlo più tollerare; il paziente vorrebbe poter fermare la mano del chirurgo soltanto perché continua a farlo soffrire; gli sembra di aver sopportato tutto quello che poteva sopportare: è la durata e non l’intensità a rendere intollerabile il dolore. Questo significa che il ricordo dei momenti del dolore precedente influisce sul dolore e, per così dire, acuisce il dolore che segue. [...] è la comprensione intellettuale del dolore come di un tutto ripartito in momenti successivi che gli conferisce forza e acutezza particolare; e soltanto l’anima (di cui gli animali sono privi) è capace di una tale comprensione.

          Applicate ora questo alle sofferenze del Signore. Vi ricordate che al momento della crocifissione gli offrirono vino mescolato con mirra? Egli però non volle berne; perché? Perché quella bevanda avrebbe stordito la sua mente, mentre Egli era deciso a sopportare la sofferenza in tutta la sua amarezza. Questo ci rivela, fratelli, il carattere dei suoi patimenti; Egli li avrebbe volentieri evitati, se questo fosse stato Volontà del Padre. Se è possibile, disse, passi da me questo calice. Ma poiché questo non era possibile, all’Apostolo che voleva sottrarlo alla sofferenza disse con tranquilla risoluzione: «Non berrò io il calice che il Padre mi ha dato?».

          Poiché doveva soffrire, si abbandonò alla sofferenza. Non era venuto per patire il meno possibile; non voltò le spalle alla sofferenza; l’affrontò, gli andò incontro scopertamente, se posso esprimermi così, in modo che ogni minima parte di essa potesse pienamente imprimersi in Lui.

          Come gli uomini sono superiori agli animali e sono colpiti maggiormente dal dolore a motivo dello spirito che è in loro e che dà al dolore consistenza (il che non avviene nel caso degli animali), similmente Gesù provò la pena nel suo corpo con una consapevolezza e una coscienza e, di conseguenza con un’acutezza e un’intensità, e con una unità di percezione che nessuno di noi sarebbe capace di sondare o di afferrare. Proprio perché la sua anima era perfettamente in suo potere, così completamente libera da ogni distrazione, così totalmente orientata al dolore, così pienamente abbandonata e sottomessa alla sofferenza, possiamo ben dire che Egli soffrì la Passione tutta intera in ogni singolo momento.

Ha sofferto ed è morto perché ha voluto

          Ricordiamo che Nostro Signore benedetto era diverso da noi in questo: benché fosse perfettamente uomo, aveva tuttavia un potere più grande della sua anima, che governava la sua anima, perché era Dio. L’anima dell’uomo è sottoposta ai suoi desideri, sentimenti, impulsi, passioni, turbamenti; mentre l’anima di Gesù non era sottomessa che alla sua eterna e divina Persona. Nulla accadde alla sua anima per caso o all’improvviso; Egli non fu mai colto di sorpresa; nulla ebbe alcun effetto su di Lui senza che Lui lo volesse. Mai si afflisse, o temette, o desiderò, o si rallegrò nello spirito senza che prima non avesse voluto affliggersi, temere, desiderare o gioire.

          Noi soffriamo perché cause esterne ed emozioni incontrollabili della nostra mente ci provocano sofferenza. Subiamo involontariamente la disciplina del dolore, soffriamo più o meno vivamente a seconda delle circostanze; la nostra pazienza è messa più o meno alla prova secondo lo stato del nostro spirito e noi facciamo del nostro meglio per alleviarlo o trovarvi rimedio. Non possiamo prevedere in che misura il dolore si abbatterà su di noi, né per quanto tempo saremo in grado di sopportarlo; e, quando è passato, non sapremmo dire con verità perché abbiamo provato quello che abbiamo provato, o perché non abbiamo sopportato meglio il dolore.

          Ben diversamente fu con il Signore. La sua divina Persona non era soggetta, né poteva essere abbandonata all’influsso dei suoi affetti e sentimenti umani, se non nella misura da Lui voluta. Lo ripeto: quando sceglieva di affliggersi si affliggeva. Non era esposto all’emozione, ma sceglieva volontariamente ciò che doveva commuoverlo. Di conseguenza, quando decise di soffrire la sua Passione in espiazione dei nostri peccati, tutto quello che fece, lo fece, secondo l’espressione del Saggio, instanter, prontamente, con tutta la forza della sua Volontà. Non si fermò a metà strada; non cercò, come noi, di allontanare il suo spirito dal patire (come avrebbe potuto, Lui che era venuto per patire, che non avrebbe patito se non l’avesse voluto?); non disse e disdisse; non fece e disfece; disse e fece. Disse: «Ecco, io vengo per fare la tua volontà, o Dio; tu non hai voluto né sacrificio, né offerta; un corpo, invece, mi hai preparato».

          Prese un corpo per poter soffrire, divenne uomo per poter soffrire; e quando venne la sua ora, l’ora di satana e delle tenebre, l’ora in cui il peccato doveva rovesciarsi su di Lui in tutta la sua malizia, allora Egli si offrì totalmente in olocausto, in sacrificio totale. E come tutto il suo corpo fu disteso sulla croce, così tutta la sua anima, tutta la sua attenzione, tutta la sua consapevolezza, una mente vigile, una intensa sensibilità, una viva cooperazione, un’intenzione attuale, assoluta, non un implicito consenso o una sottomissione senza cuore; tutto questo Egli offrì ai suoi carnefici. La sua Passione fu un’azione; la sua energia vitale era nel pieno delle sue funzioni mentre Egli languiva, sveniva, moriva. Se morì, fu perché lo volle; chinò la testa in segno di comando e di rassegnazione, e disse: «Padre nelle tue mani consegno il mio spirito»; emise la parola, rese l’anima, non la perdette.

          Vedete bene, fratelli, anche se il Signore avesse sofferto soltanto nel corpo, e in questo meno di altri uomini, tuttavia riguardo al dolore Egli avrebbe sofferto infinitamente di più, perché il dolore deve essere misurato dalla capacità di esserne consapevoli. Chi soffriva era Dio; Dio soffriva nella sua natura umana; le sofferenze appartenevano a Dio, e furono bevute fino in fondo, furono sorbite fino all’ultima goccia del calice, perché era Dio che beveva. Non furono assaggiate o sorseggiate, né aromatizzate o mascherate con medicamenti umani, come fa l’uomo con la coppa dell’angoscia. [...].

          Quello che soffrì, lo soffrì perché si sottopose volontariamente alla sofferenza; e sempre deliberatamente e con calma. Come disse al lebbroso: «Lo voglio, sii guarito»; e al paralitico: «Ti sono perdonati i tuoi peccati»; e al centurione: «Verrò e lo guarirò»; e di Lazzaro: «Vado a svegliarlo dal sonno»: così pure disse: “Ora comincerò a soffrire”; e in verità cominciò. La sua tranquillità è la prova del pieno dominio che Egli aveva sul suo spirito. Al momento giusto egli tolse i catenacci e le serrature, aprì le porte, e i flutti si abbatterono sulla sua anima con tutta la loro forza.

          Questo ci narra di Lui san Marco; e si dice che egli abbia scritto nel suo Vangelo quanto aveva ascoltato dalla viva bocca di san Pietro, uno dei tre testimoni presenti in quel momento: «Giunsero intanto – egli dice – a un podere chiamato Getsemani, ed egli disse ai suoi discepoli: “Sedetevi qui mentre io prego”. Prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni, e cominciò a sentire paura e angoscia». Osservate come Egli agisca deliberatamente.

          Si reca in un certo luogo; poi, dato l’ordine e sottratta la sua anima al sostegno della divinità, angoscia, terrore e disperazione lo invadono. Egli va incontro, allora, a un’agonia mentale con un’azione così ben definita, quasi fosse un tormento fisico, come il fuoco o la ruota.

          Stando così le cose, vedete subito, fratelli, che non è corretto dire che il Signore fu sostenuto nella sua prova dalla consapevolezza dell’innocenza e dalla certezza del trionfo futuro; perché la sua prova consistette nel rifiuto di quella consapevolezza e di quella preveggenza, come degli altri motivi di consolazione. Lo stesso atto di volontà che permetteva l’influsso di ogni possibile angoscia sulla sua anima ammetteva subito, insieme, tutte le angosce. Non fu una lotta tra impulsi o idee, provenienti dall’esterno, in conflitto tra di loro, ma l’effetto di una decisione interiore. Come gli uomini ben capaci di autocontrollo passano da un pensiero all’altro secondo il loro volere, così il Signore rifiutò a se stesso, deliberatamente, ogni conforto e si saziò di amarezza. In quel momento la sua anima non pensò al futuro; egli pensò solo al peso che gravava su di Lui in quell’ora, e che Egli era venuto a sostenere qui, in terra.

La sofferenza inaudita del Salvatore del mondo

          E che cosa dovette sopportare, fratelli, quando lasciò irrompere nell’anima il torrente di questo preordinato dolore? Ahimè, dovette sopportare ciò che a noi è ben noto, anzi familiare, ma che per Lui fu sofferenza inaudita. Egli dovette sopportare una cosa, facile per noi, tanto naturale, tanto gradita, che non sappiamo neppure concepirla come una grande pena; ma per Lui fu come il soffio e il veleno di morte. Egli dovette sopportare, fratelli, il peso del peccato; dovette portare i nostri peccati, i peccati di tutto il mondo. Il peccato è cosa semplice per noi; lo consideriamo di poco conto e non comprendiamo perché il Creatore vi annetta tanta importanza; non riusciamo a credere che esso meriti la punizione; e quando vediamo che anche in questo mondo ha come conseguenza il castigo, cerchiamo di trovarvi una qualche spiegazione e procuriamo di non pensarci.

          Consideriamo invece quello che il peccato è in se stesso; è rivolta contro Dio; è l’atto di un traditore che tende ad abbattere e uccidere il proprio sovrano; è, per usare una forte espressione – e ammesso che il Creatore del mondo possa cessare di esistere –, quanto sarebbe sufficiente perché questo avvenga. Il peccato è il nemico mortale del Tutto-Santo, cosicché l’uno e l’altro non possono stare insieme; e siccome il Dio Santo lo scaccia dalla sua presenza nelle tenebre esteriori, così, se Dio potesse essere meno che Dio, il peccato avrebbe il potere di diminuirlo.

          Osserviamo qui, fratelli, che non appena l’Amore onnipotente, incarnandosi, entrò in questo sistema creato, e si sottomise alle sue leggi, allora, immediatamente questo nemico del bene e della verità, traendo vantaggio da questa situazione favorevole, si affrettò in questa carne che Egli aveva assunto e si fissò in essa, e fu la sua morte. L’invidia dei farisei, il tradimento di Giuda e la follia del popolo non furono che lo strumento o l’espressione dell’inimicizia che il peccato sentiva per l’eterna Purezza, non appena Dio, nella sua infinita misericordia, si fece da lui raggiungibile. Il peccato non poteva toccare la sua divina maestà; ma lo poté assalire in quel modo nel quale Egli permise di essere assalito, cioè attraverso la sua umanità. Per concludere, la morte del Dio Incarnato, fratelli, ci insegna questo: che cosa sia il peccato in se stesso, e che cos’era quello che, nella sua ora e in tutta la sua forza, si abbatté sulla natura umana di Gesù, quando Egli permise che la sua natura ne restasse così ripiena di sgomento e di terrore al solo prevederlo.

Si è fatto peccato per noi

          In quell’ora terribile, dunque, il Salvatore del mondo si prostrò, rinunciando all’aiuto delle sue risorse divine, allontanando da sé gli angeli riluttanti che, a miriadi, erano pronti ad accorrere alla sua chiamata. L’Innocente aprì le braccia e denudò il petto davanti all’assalto del suo nemico mortale, un nemico il cui alito era pestifero e il cui abbraccio era un’agonia. Rimase prostrato, immobile e silenzioso, mentre il malefico, orribile nemico avvolgeva il suo spirito con un manto intriso di tutto quanto vi è di più odioso e infame nel crimine dell’uomo, sì che esso si avvinghiava strettamente intorno al suo Cuore e ne riempiva la coscienza; si faceva strada attraverso ogni senso e poro della sua mente, e spargeva su di Lui una lebbra mortale, finché Questi gli parve di essere quello che non avrebbe mai potuto essere, e che il suo nemico, invece, avrebbe voluto fare di Lui.

          Quale orrore, quando Egli guardò e riconobbe se stesso; e si sentì come un peccatore immondo e ripugnante, per la viva percezione di quella massa di corruzione che si rovesciava sulla sua testa e scorreva giù sino all’orlo del suo vestito! Quale turbamento nel vedere i propri occhi, le mani, i piedi, le labbra, il cuore, come fossero membra del maligno, e non di Dio. Sono forse queste le mani dell’immacolato Agnello di Dio, mani una volta innocenti, e ora rosse del sangue di migliaia di crudeli delitti? Sono queste le sue labbra, non più intente a proferire preghiere e lodi e sante benedizioni, ma quasi insozzate da imprecazioni, bestemmie e dottrine diaboliche? O i suoi occhi, ora profanati da tutte quelle visioni inique e dalle seduzioni idolatre, per amore delle quali gli uomini hanno abbandonato il loro adorabile Creatore? E le sue orecchie, ora, risuonano del tumulto di gozzoviglie e di litigi; e il suo Cuore è agghiacciato per l’avarizia, la crudeltà, l’incredulità; la sua memoria stessa è oppressa da ogni singolo peccato commesso, sin dalla caduta dell’uomo, in tutte le regioni della terra; dall’orgoglio degli antichi giganti, dalla lussuria delle cinque città, dall’ostinazione dell’Egitto, dall’ambizione di Babele, dall’ingratitudine e dal disprezzo di Israele.

          È la lunga storia di un mondo, e Dio solo può sopportarne il peso. Speranze deluse, voti infranti, luci spente, ammonimenti disprezzati, occasioni perdute; innocenti trafitti, giovani induriti, penitenti che ricadono nella colpa, giusti sopraffatti, vecchi che soccombono; i sofismi della miscredenza, la premeditazione della Passione, l’ostinazione dell’orgoglio, la tirannide dell’abitudine, il cancro del rimorso, la febbre di affanni che consuma, lo strazio della vergogna, lo struggersi per la delusione, l’angoscia della disperazione; spettacoli crudeli e pietosi, scene strazianti, rivoltanti, esecrande, folli; persino i volti lividi, le labbra convulse, le guance ardenti, le fronti cupe delle vittime volontarie del male sono davanti a Lui, sono sopra di Lui, sono dentro di Lui. Sono con Lui al posto di quella pace ineffabile che sempre aveva regnato nella sua anima, fin dall’istante del suo concepimento. Sono sopra di Lui, ma certo non gli appartengono; ed Egli grida al Padre suo come fosse il colpevole, non la vittima; la sua agonia assume le forme della colpa e della compunzione. Egli fa penitenza, si confessa colpevole. La sua contrizione è infinitamente più reale ed efficace di quella di tutti i santi e di tutti i penitenti insieme, poiché Egli è l’unica vittima per noi tutti, l’unica soddisfazione, il vero penitente; tutto, fuorché il vero peccatore.

          Egli si alza languidamente da terra e si volge a incontrare il traditore e la sua banda; si avvicina ora rapidamente la profonda oscurità. Si volge, ed ecco che la sua veste e le sue orme hanno tracce di sangue. Da dove vengono questi primi frutti della Passione dell’Agnello? Le verghe dei soldati non hanno ancora toccato le sue spalle, i chiodi dei carnefici non hanno ancora trafitto le sue mani e i suoi piedi. Fratelli, ha sanguinato prima del tempo, ha sparso sangue. Ed è proprio la sua anima straziata a rompere la sua struttura di carne e a fargli versare sangue. La sua Passione è cominciata dal suo intimo. Quel Cuore tormentato, fonte della tenerezza e dell’amore, incominciò infine a patire e a battere con una veemenza più forte della natura stessa. Le fondamenta di quel grande abisso si apersero; i rossi flutti di quel sangue sgorgarono con tanta abbondanza e violenza da traboccare dalle vene ed erompendo dai pori formarono come una densa rugiada sulla sua pelle; poi, trasformandosi in grosse e pesanti gocce, caddero e bagnarono il suolo.

          Ma non è ancora esaurito quel calice traboccante dinanzi al quale, sulle prime, la sua debolezza naturale aveva tremato. La cattura, le accuse, le percosse, la prigione, il processo, la derisione, l’andar dall’uno all’altro, la flagellazione, l’incoronazione di spine, la lenta salita al Calvario, la crocifissione: devono ancora tutte venire. Un’ora dopo l’altra, tutto un giorno e tutta una notte devono ancora passare, lentamente, prima che giunga la fine e che la Redenzione sia compiuta. E allora, quando giunse il momento stabilito ed Egli proferì l’ordine, come la sua Passione era cominciata nell’anima, così nell’anima si concluse. Egli non morì perché il corpo venne meno, non morì per le sofferenze corporali: quando lo volle, il suo Cuore tormentato si spezzò ed Egli consegnò lo spirito al Padre suo.

 

Beato John Henry Newman

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