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Se le montagne non si spostano

"Se avrete fede pari a un granellino di senapa, potrete dire a questo monte: spostati da qui a là, ed esso si sposterà"


Se le montagne non si spostano

da Teologo Borèl

del 23 novembre 2010

           Credere è rimettere la propria vita nelle mani di un Altro. Crede chi accetta di crocifiggere le proprie attese sulla croce di Cristo e non il Cristo sulla croce delle proprie attese.            «Gli apostoli dissero al Signore: “Aumenta la nostra fede!”. Il Signore rispose: “Se aveste fede quanto un granellino di senapa, potreste dire a questo gelso: Sii sradicato e trapiantato nel mare, ed esso vi ascolterebbe”» (Lc 17, 5s).            «In verità vi dico: se avrete fede pari a un granellino di senapa, potrete dire a questo monte: spostati da qui a là, ed esso si sposterà, e niente vi sarà impossibile» (Mt 17, 20) Nessun gelso ci ha ascoltati.Nessuna montagna si è spostata.Dov’è la fede sulla terra?           È forse nel dolore straziante degli indifesi che muoiono invocando Dio, sconfitti nella dura lotta contro il male che ha devastato le loro membra? O è nel grido inarticolato di chi resta schiacciato dall’ingiustizia e dalla crudeltà dei suoi simili?Perché il silenzio di Dio davanti al dolore del mondo? Debolezza della fede o indifferenza divina?Durezza del cuore umano o durezza del cuore di Dio?Perché questa intollerabile assenza di “segni”?Perché questa dolorosa parsimonia di miracoli?           Le domande potrebbero continuare, facendosi eco della fatica di credere che pesa su tanti cuori, sfidati e sfibrati dalle tante repliche della storia del mondo all’audacia della fede.Sono queste domande, però, a consentirci di dire che cosa la fede è e che cosa non è.           Credere non è anzitutto assentire a una dimostrazione chiara ed evidente o a un progetto privo di incognite e di conflitti: non si crede a qualcosa che si possa possedere e gestire a propria sicurezza e a proprio piacimento.           Credere è fidarsi di Qualcuno, assentire alla chiamata dello Straniero che invita, rimettere la propria vita nelle mani di un Altro perché sia lui a esserne l’unico vero Signore.Secondo una suggestiva etimologia medievale credere significherebbe “cor dare”, dare il cuore, rimetterlo incondizionatamente nelle mani di un Altro: crede chi si lascia far prigioniero dell’invisibile Dio, chi accetta di essere posseduto da lui nell’ascolto obbediente e nella docilità dal più profondo del cuore.Fede è resa, consegna, abbandono, non-possesso.           «Credere significa stare sull’orlo dell’abisso oscuro, e udire una Voce che grida: gettati, ti prenderò fra le mie braccia!» (S. Kierkegaard). Ed è sull’orlo di quell’abisso che si affacciano le domande inquietanti: se invece di braccia accoglienti ci fossero soltanto rocce laceranti?E se oltre il buio ci fosse ancora nient’altro che il buio del nulla?Credere è resistere e sopportare il peso di queste domande: non pretendere segni, ma offrire segni d’amore all’invisibile Amante che chiama.           Credere è abbracciare la croce della sequela, non quella comoda e gratificante che avremmo voluto, ma quella umile e oscura che ci viene donata, per completare in noi «ciò che manca alla passione di Cristo, a vantaggio del suo corpo, la Chiesa» (Col 1,24).Crede chi confessa l’amore di Dio nonostante l’inevidenza dell’amore; crede chi spera contro ogni speranza; crede chi accetta di crocefiggere le proprie attese sulla croce di Cristo, e non il Cristo sulla croce delle proprie attese.Alla fede ci si avvicina con timore e tremore, togliendosi i calzari, disposti a riconoscere un Dio che non parla nel vento, nel fuoco o nel terremoto, ma nell’umile brezza leggera, come fu per Elia sulla santa montagna ed è stato, è e sarà per tutti i santi e i profeti.           E allora credere è un perdere tempo?È non avere più sicurezza, né discendenza, né patria? È un rinunciare a ogni segno e a ogni sogno di miracolo?A tal punto è geloso il Dio dei credenti?Così divorante è il suo fuoco? Così buia la sua notte? Così assoluto il suo silenzio?           Dire di sì a queste domande sarebbe cadere nella seduzione opposta a quella di chi cerca segni ad ogni costo; sarebbe un dimenticare la tenerezza e la misericordia di Dio.C’è sempre un Tabor per rischiare il cammino: un grande segno ci è stato dato, il Cristo risorto, che vive nei segni della grazia e dell’amore confidati nella sua Chiesa.In essi è offerto un viatico ai pellegrini per sostenerne il cammino, un conforto agli incerti, una strada agli smarriti.

 

Bruno Forte

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