Timore ed emozione nei giovani protagonisti del Sinodo dei Vescovi. Nei loro racconti la grandezza dell'evento. "Ero un teologo giovane, senza grande importanza invitato chissà perché. Ero in compagnia di tanti grandi", ha tenuto a sottolineare Ratzinger dando voce a una sensazione che mezzo secolo dopo sembra unire tutti i testimoni.
La consapevolezza del dono e della responsabilità riecheggia nelle parole di chi ha partecipato alla grande assise.
Papa Benedetto XVI
Benedetto XVI, che ha promosso l'Anno della Fede per ricordare i 50 anni del Concilio Vaticano II, è anche uno degli ultimi protagonisti viventi di quell'evento, al quale l'allora 38enne sacerdote tedesco contribuì in veste di perito. "Ero un teologo giovane, senza grande importanza invitato chissà perché", ha ricordato lo scorso 9 luglio in occasione della visita al Centro dei padri verbiti a Nemi, dove si erano riuniti vescovi ed esperti per mettere a punto il testo del decreto sulle missioni Ad Gentes. "Ero in compagnia di tanti grandi", ha tenuto a sottolineare Ratzinger dando voce a una sensazione che mezzo secolo dopo sembra unire tutti i testimoni.
Monsignor Salvatore Nicolosi
"Entrai nell'aula conciliare con timore, avvertendo la grandezza del dono e la responsabilità di essere tra i Padri conciliari", conferma monsignor Salvatore Nicolosi, vescovo emerito di Noto, oggi novantenne, che partecipò ai lavori a partire dal 29 settembre 1963, data di inizio della seconda sessione. Nella Basilica di San Pietro trasformata in aula conciliare lo colpirono l'immagine di una Chiesa capace di andare "al cuore della vita cristiana" e allo stesso tempo di "dialogare con l'umanità" ed il clima di apertura che si percepiva "grazie alla sinfonia di voci di un così grande numero di vescovi provenienti da tutti i continenti". Un clima, confida, nel quale "abbiamo potuto sperimentare una effettiva e ricca collegialità" con la presenza dei maggiori teologi che "spingevano al largo la riflessione" e "i primi contatti ecumenici". Secondo il presule siciliano, "la ricchezza del Concilio nasce dall'effettivo ascolto di tutti". Ancora oggi, osserva, "mi sembra che così dobbiamo attuare il Concilio: restando aperti allo Spirito attraverso uno studio intelligente e sereno della realtà, una grande lungimiranza e lucida diligenza".
Cardinale Roger Etchegaray
Un'esperienza per molti versi analoga è quella del cardinale Roger Etchegaray, 93enne sottodecano del Collegio cardinalizio e allora giovane perito: "Quello che mi colpì - racconta - fu il senso universale della Chiesa, grazie all'impressionante partecipazione di 2500 vescovi ma anche per la presenza, per la prima volta, di una ventina di osservatori delle cosiddette Chiese separate. Ancor oggi sconcertano le cifre di quell'evento: i dibattiti pubblici, ad esempio, hanno riempito 1500 ore di registrazione. Mi impressionò pure la maestria e l'abilità diplomatica del segretario generale, monsignor Pericle Felici, che fu in grado di tenere la rotta durante le quattro sessioni. E rammento come fosse ieri il discorso di papa Giovanni e la messa del cardinale Eugène Tisserant, con la sua leggendaria barba... Per me - riassume - il Concilio ha rappresentato un’esperienza spirituale straordinaria".
Cardinale George Cottier
Impressionato dalla grandezza e dall'umiltà dei suoi protagonisti fu pure il cardinale George Cottier, novantenne teologo emerito della Casa Pontificia, allora giovane frate domenicano, che partecipò ai lavori anche lui in qualità di perito. "Certamente - spiega - mi colpì la grande laboriosità di Yves-Marie Congar, ma anche la sua diversa visione teologica ed ecclesiologica rispetto a Jean Daniélou. Mi impressionò, ad esempio, la fatica redazionale che impegnò il sacerdote belga Gerard Philips per preparare le bozze e gli schemi della Lumen Gentium. E poi l'intelligenza e l'irruenza vulcanica di Karl Rahner di cui, a mio avviso, già allora erano in nuce certe critiche alla Chiesa che si concretizzeranno nel post Concilio. Conservo poi un bellissimo ricordo - continua il porporato svizzero - di don Giuseppe Dossetti: avvertii in lui un animo molto spirituale nel quale era molto marcata la sua esperienza alla Costituente italiana".
Cardinale Roberto Tucci
"Non posso negare - confessa da parte sua il cardinale Roberto Tucci, anche lui 90enne ed allora giovane direttore della Civiltà Cattolica - che mi aiutò molto aver studiato a Lovanio e aver respirato quella impostazione teologica così lontana, in quegli anni, da quella insegnata negli atenei pontifici romani come la Gregoriana, la Lateranense o l'Angelicum. Questa mia formazione francofona mi aiutò molto, nella mia veste di perito nominato da Giovanni XXIII, ad essere accettato dai vescovi belgi e francesi che mi sentivano uno di loro: per scherzo venivamo chiamati quelli del “Lovaniense secundum”, con un chiaro riferimento al Vaticano II". Tra i "grandi" del Concilio, il cardinale gesuita cita in particolare un suo confratello, padre Agostino Bea, biblista ed ex rettore del Biblico di Roma (che poco tempo dopo venne creato cardinale da Paolo VI): "un uomo eccezionale che non si turbava mai", lo descrive ricordando le levate di scudi che provocarono le sue proposte, che tuttavia "in gran parte poi furono accolte nella dichiarazione sulla libertà religiosa Nostra aetate e nel decreto De Oecumenismo".
Monsignor Luigi Bettazzi
Documenti che ancora oggi trovano grandi opposizioni ma che rappresentano per monsignor Luigi Bettazzi, il vescovo emerito di Ivrea che a 88 anni è uno dei più giovani padri conciliari oggi viventi, "una novità epocale, che peraltro - tiene a chiarire - era il riemergere delle visuali bibliche e patristiche, originarie e antecedenti alle sistemazioni teologiche realizzate nei secoli". Per monsignor Bettazzi, la più grande intuizione del Concilio è stata del resto "la riscoperta della centralità del valore della Parola di Dio come alimento di una fede viva, di un 'tu per tu' personale e comunitario con Dio". L'altro elemento da sottolineare, aggiunge, è "la visione della Chiesa nella sua dimensione di comunione e di corresponsabilità di tutti i cristiani con l’ultima parola alla Gerarchia". Una Chiesa, cioè, "aperta a essere lievito di tutta l’umanità verso un mondo di solidarietà e di pace, in cui si concretizza qui sulla terra il regno di Dio". "Arrivai alla seconda sessione - ricorda monsignor Bettazzi - e scoprii la Chiesa Cattolica, cioè universale, nella molteplicità e varietà dei vescovi e, in certo modo, di tutti i popoli e di tutte le culture che finalmente potevano esprimersi in un'assise conciliare. Era quello - conclude - che papa Giovanni aveva inteso aprendo un Concilio più 'pastorale' che 'dogmatico': partire dalle persone più che dalle verità in astratto".
Stefania Careddu
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