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Sempre meno e... sempre più nullafacenti

Giovani: una razza in estinzione. La società non offre molto e illude tanto, ma i giovani italiani sono poco propensi al rischio, mentre cercano certezze che non osano costruire con le loro mani. Possedere una laurea, naturalmente, con i tempi che corrono, non significa automaticamente trovarsi un lavoro...


Sempre meno e... sempre pi√π nullafacenti

da Quaderni Cannibali

del 07 ottobre 2011 (function(d, s, id) { var js, fjs = d.getElementsByTagName(s)[0]; if (d.getElementById(id)) {return;} js = d.createElement(s); js.id = id; js.src = '//connect.facebook.net/en_US/all.js#xfbml=1'; fjs.parentNode.insertBefore(js, fjs);}(document, 'script', 'facebook-jssdk')); 

           Giovani: una razza in estinzione. Nel nostro Paese le nuove generazioni sono numericamente diminuite in modo massiccio: della metà rispetto a vent’anni fa e rappresentano il 12,7% in meno rispetto alla fine degli anni Novanta del secolo scorso. Se nel 2000 se ne contavano 15. 807.776 di giovani tra i 15 e i 34 anni, nel 2010 sono calati a 13.793.850.

           Secondo il rapporto comunicato dal Censis in Italia più di due milioni di giovani tra i 15 e i 34 anni mancano pertanto all’appello. Quelli che ci sono, però, non farebbero una bella figura. Il loro identikit li inquadra come disoccupati, pigri, rassegnati, inoperosi, indolenti, sfaccendati.In confronto alla media europea, che ha una percentuale di laureati corrispondente al 33%, nella penisola i laureati costituiscono appena il 20,7%. Da notare che in Gran Bretagna la percentuale di giovani diplomati con laurea raggiunge il 40,7% e in Francia: quasi il 43%.

           Ma possedere una laurea, naturalmente, con i tempi che corrono, non significa automaticamente trovarsi un lavoro. Questa lacuna sociale di enormi proporzioni rende i giovani italiani disillusi e sfiduciati, se non avviliti e depressi. Una sensazione di sconfitta e di annientamento li caratterizza quasi tutti e in modo ben marcato e lampante.

Neet Generation

           Questo sconforto esistenziale generalizzato tra i giovani che si estende dal Nord al Sud della penisola si rispecchia in una percentuale di giovani, che non fanno niente, si dedicano al nulla assoluto, sono praticamente nulla facenti, pari a un 11,2% di «inattivi volontari», come li avrebbe definiti il Censis.I giovani che hanno un lavoro, anche se precario, termine contemporaneo ben noto e foriero di imprecazioni da parte delle nuove generazioni per l’insicurezza materiale e psicologica che genera a 360 gradi, sono il 40,1% fra le classi d’età compresa tra i 15 e i 24 anni, e l’11,5% fra i giovani di età compresa tra i 25 e i 39 anni. Percentuali piuttosto base se confrontate con le medie degli altri paesi europei.Anche i dati Istat non sono confortanti: i giovani disoccupati vivono quest’angoscia a livelli davvero disperanti. Nel Settentrione un giovane su due non lavora; nel Meridione non lavorano tre giovani su dieci. Solo un milione di giovani può contare su un lavoro temporaneo, ma che a stento diventa poi, forse, a tempo indeterminato.

           Più di 2 milioni di giovani italiani, invece, si escludono volontariamente dai serbatoi di studio e di lavoro, ossia non vanno a scuola, non escono a cercarsi un posto, ma rimangono a casa ad ascoltare musica, giochicchiare con il pc, vedere la tv a tutte le ore. Questi ultimi fanno parte della cosiddetta Neet Generation, tanto diffusa anche in Giappone e negli Usa (Not in Education, employment or training). Si tratta di giovani che vivono letteralmente dentro la loro camera e da lì hanno deciso di non uscirne più. È come se avessero tirato i remi in barca, questi giovani, si fossero rassegnati a vivere in modo quasi vegetale, non esponendosi più in prima persona nel mondo di fuori, già consapevoli di non cavarne un ragno dal buco. Questo il loro ragionamento: tanto vale restare murati in casa!Da questo punto di vista l’Europa non brilla nemmeno: la disoccupazione giovanile nel 2010 è salita in modo preoccupante da 16,6 milioni nel 2008 a 22,9 milioni nel 2010. I giovani, questo è il dato che non riguarda solo l’Italia, ma tutta Europa, hanno smesso di cercare lavoro. Perché sanno già che non lo troveranno mai o non lo troveranno più.             Il matrimonio aspetta

           Questa fotografia di una generazione smarrita e rassegnata e nulla facente è la conseguenza – ma ciò è risaputo e detto in tutte le salse – di una crisi economica attuale spaventosa, che ha colpito i giovani in maniera radicale, fino a sbriciolarne ogni minimo tentativo di reazione.Per l'istituto presieduto da Giuseppe De Rita, 'la società non avanza ma, credendo di avanzare, gira a vuoto e ricade sempre su sé stessa, perché appiattita sul presente'. Tra i segnali di questa nuova tendenza – che il Censis non circoscrive a un semplice cambiamento dei costumi ma a una mutazione antropologica – c’è l'aumento dell'età in cui ci si sposa e si diventa madri. Se nel 1990 era di 25,6 anni per le donne e di 28,5 per gli uomini, oggi e' di 30 anni per le donne e di 33,1 per gli uomini. La convivenza pertanto, prevale sul matrimonio e si rimanda l'assunzione delle responsabilità familiari. Anche l’età media delle madri al primo parto ha seguito la stessa logica, passando dai 27,1 anni del 1991 ai 30,8 attuali. Ma – sottolinea il Censis – è la realtà che spinge i giovani 'ad assumere atteggiamenti attendisti e in questo attendismo rielaborano il loro modo di vedere il mondo', colpiti dalle difficoltà di trovare lavoro e di staccarsi dalla famiglia.

Non si ama rischiare

           Gli italiani, dunque, sono incapaci di fare progetti futuri di sobbarcarsi sacrifici oggi per avere un vantaggio domani. La scuola e' tra gli investimenti di lungo termine di una società, ma il 50% dei giovani italiani non lo ritiene un investimento valido, contro il 90% della Germania. E la sfiducia sul futuro si riverbera anche nel desiderio di avviare un'attività in proprio. Solo il 27,1% dei nostri ragazzi ha questo desiderio: la media europea e' invece di oltre il 42%. 'Significativa – osserva il Censis – è la motivazione addotta: al 21,8% dei giovani appare un'impresa troppo complicata, contro una media continentale del 12,7%'. Ma 'il presentismo' è evidente anche nelle abitudini degli italiani. Il tempo di permanenza su una singola pagina web è diminuito, tra il 2010 e il 2011, da 33 a 29 secondi: si ha l'impressione di essere sempre aggiornati, ma 'in lealtà assistiamo a un moltiplicarsi di informazioni di breve durata, le notizie sono più veloci della storia e sfugge la comprensione dei processi di lunga durata', evidenzia la ricerca. Inoltre il boom del consumo low cost ha fatto leva sul 'soddisfacimento del gusto dell'acquisto che così può essere ripetuto senza più cercare prodotti che ci accompagneranno a lungo o che abbiamo desiderato a lungo'.

           In un contesto sociale in cui l’85% dei contratti di lavoro offerto ai giovani è atipico, precario, a tempo determinato, flessibile, la situazione a livello psicologico ed esistenziale è diventata drammatica: tra i giovani lo scoramento è marcatamente accentuato fino a ridurli all’inattività volontaria.In Italia, dunque, 13.793.850 giovani tra i 15 e i 34 anni (dati Ansa) non hanno obiettivi precisi su cui puntare e per cui lottare sul piano dello studio e del lavoro. Ma in fin dei conti, manca il lavoro, perché il lavoro non c’è, o perché i giovani non lo cercano più?

A questo interrogativo, un’alta percentuale di ragazzi e ragazze italiani sotto i trent’anni risponderebbe disincantata con un’altra domanda: «Che alternativa c’è?».

Nicola Di Mauro

http://www.dimensioni.org

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