Paradossalmente gli stessi strumenti che sono nati per migliorare i nostri rapporti interpersonali si stanno rilevando controproducenti e ci stanno allontanando dalla magia dell'esperienza sensibile.
Lo strumento conviviale, parafrasando il filosofo I. Illich, ha tre esigenze, genera efficienza senza degradare l’autonomia personale, non produce né schiavi né padroni, estende il raggio di azione personale.
Questi concetti mi sono tornati in mente quando in una pizzeria di Roma, per motivi di spazio, io e dei miei amici ci siamo seduti vicini ad una giovane coppia orientale, non ho potuto evitare di distogliere la mia attenzione dalle loro teste chinate davanti al loro smartphone, sembravano quelle di sudditi devoti. Le loro mani non si stringevano, non si esprimevano, mentre invece come chirurghi agitavano le loro dita in modo compulsivo sulla tastiera, i loro sguardi, in quasi due ore, non si sono mai incrociati, dalle loro labbra nessuna frase, l’unico suono era quello monotono e senza sfumature che si udiva dal loro dispositivo multimediale.
Paradossalmente gli stessi strumenti che sono nati per migliorare i nostri rapporti interpersonali si stanno rilevando controproducenti, ci stanno allontanando dalla magia dell’esperienza sensibile, questi sono momenti che non possiamo perdere o rimandare, ma se le scelte degli individui sono diventate funzione delle macchine che invece di permetterci una maggiore integrazione con la collettività ed aumentare il nostro senso di fraternità ci rende schiavi di un sistema totalmente alienante, allora mi convinco sempre di più, con grande amarezza, che la crisi che stiamo vivendo non è solo economica ma soprattutto esistenziale e non ha confini né limiti proprio perché è il senso del limite che è stato superato, è una crisi che implementa le nostre carenze empatiche, è un parassita intelligente quanto subdolo, perché pian piano volutamente prosciuga la grande esperienza dei sensi che è la nostra linfa vitale senza la quale la nostra maturità emotiva non potrà mai essere raggiunta e ci tramuta in bravi soldatini consumatori di merci fino a quando non diventiamo anche noi delle merci.
La soluzione secondo Ivan Illich è il raggiungimento dell’austerità intesa come virtù che non esclude tutti i piaceri ma solo quella che ostacola le nostre relazioni personali, è necessaria quindi la presa di coscienza che se l’utilizzo di uno strumento moderno supera una certa soglia dapprima si rivolge contro il proprio scopo poi distrugge il proprio corpo sociale. Personalmente la mia austerità sarà quella di vivere ogni tipo esperienza sensibile in modo pieno, esaustivo e senza compromessi, nessun tipo di macchina o apparato mi allontanerà da questo traguardo, nessun muto silenzio dominerà i miei rapporti affettivi se non quello assordante determinato dall’ascolto e dalla comprensione. “Sento dunque sono!” Gridiamolo insieme prendendoci le mani.
Francesco De Crescenzo
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