Anche in vista dell'imminente Sinodo dei giovani, Mr. Wany ritiene che siano ancora molte le barriere da abbattere. «Ci sono reciproci pregiudizi. Però, volendo, una chiave di dialogo si trova»...
del 08 ottobre 2018
Anche in vista dell’imminente Sinodo dei giovani, Mr. Wany ritiene che siano ancora molte le barriere da abbattere. «Ci sono reciproci pregiudizi. Però, volendo, una chiave di dialogo si trova»...
«Io li dipingo, alla Chiesa chiedo di abbatterli». Parla di muri, sia di quelli fisici, sia di quelli invisibili fatti di pregiudizi, di incomprensioni, di diffidenze e d’incomunicabilità, Andrea Sergio, in arte Mr. Wany, brindisino, classe 1978, writer (in italiano “graffitista”, ma il termine è riduttivo) di fama internazionale. Con i suoi colori, porta la bellezza anche dove non ci si aspetterebbe di trovarla, negli angoli urbani più anonimi e dimenticati.
A Torino, su una parete esterna della casa madre salesiana di Valdocco, a due passi dalla basilica di Maria Ausiliatrice, ha appena terminato un murale di grandi dimensioni, dedicato alla figura di don Bosco. Un’opera venata di rimandi e simbolismi, che ripercorre, come un nastro, l’intera esperienza umana del Santo dei giovani. È un’occasione per incontrare questo particolarissimo artista, il cui linguaggio sa parlare alle nuove generazioni di più e meglio di tante parole.
«In famiglia sono stato educato ai valori cristiani. Ricordo i campi estivi della parrocchia e un periodo negli scout: esperienze che mi hanno fatto crescere». Poi, a 17 anni, il grande salto. Andrea si trasferisce a Roma, per dare una forma più compiuta al suo precoce talento.
Andrea Sergio ha elaborato un personale percorso spirituale: «Non riesco a “pregare a comando”, lo faccio quando ne sento l’esigenza. Ma i valori cristiani sono un costante orientamento: amare la vita, fare con amore ciò che si fa, aiutare chi ha bisogno. Questo vorrei insegnare a mio figlio di 8 anni e mezzo». Ideali che sembrano affiorare anche dalle sue opere, inni alla vita, di puro colore.
Quanto ai rapporti tra Chiesa cattolica e chi s’affaccia alla vita, anche in vista dell’imminente Sinodo dei giovani, Mr. Wany ritiene che siano ancora molte le barriere da abbattere. «Ci sono reciproci pregiudizi. Un ragazzo tatuato o pieno di piercing magari viene guardato con un po’ di diffidenza. Però, volendo, una chiave di dialogo si trova».
E in tutto questo, don Bosco? «Ha aperto una porta. Ha trovato una strada per parlare ai ragazzi, valorizzando anche i momenti di gioco. E ha dato voce a chi, nella società del suo tempo, non aveva alcuna possibilità di essere ascoltato: i giovani, appunto».
Oggi Mr. Wany è un artista a tutto tondo, in viaggio tra l’Italia e l’Europa, con qualche puntata oltre oceano. Incontra tanta gente, «sacerdoti, tatuatori, insegnanti di arti marziali: da tutti ricevo qualcosa, perché ciò che conta non sono le strutture, ma le persone».
Pensando ai giovani e alle loro fatiche, l’artista si riallaccia all’esperienza personale. «Sono cresciuto in un quartiere difficile. C’era delinquenza. Ero timido e chiuso in me stesso. Gli altri giocavano a calcio, io ascoltavo musica o disegnavo. Ma dentro sentivo un urlo». E in effetti il nome Wany nasce dall’incontro tra le parole inglesi corrispondenti a “urlo pallido”. «La pittura mi ha dato una strada, mi ha permesso di esprimermi, distogliendomi dal perdere tempo in cose poco costruttive. Per questo dico ai ragazzi: seguite le vostre passioni; tutti abbiamo dentro un talento».
Lorenzo Montanaro
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