Biografia di Stefano Sandor, Salesiano coadiutore e martire della fede, proclamato beato a Budapest il 19 ottobre 2013.
Fanciullezza e giovinezza
L'anno 1914 fu tragico per l'Europa: il 28 luglio, dopo l'attentato di Sarajevo, l'Austria dichiarò guerra al regno di Serbia. Iniziava così il grande massacro della Prima Guerra Mondiale. Verso la fine dell'anno precedente, il 6 novembre 1913, erano arrivati in Ungheria, allora parte dell'impero Austro-Ungarico, i primi salesiani, un gruppo di giovani ungheresi che avevano svolto il loro percorso formativo in Italia.
In questo contesto, il 26 ottobre 1914 nasce Istvàn Sándor, nella cittadina di Szolnok, situata a un centinaio di chilometri a sud-est dalla capitale, Budapest, nella Grande Pianura Ungherese. La cittadina è attraversata dal fiume Tibisco, importante affluente del Danubio, che proprio a Szolnok comincia ad essere navigabile. La formazione dell'abitato risale ai primi tempi dell'occupazione del bacino dei Carpazi da parte delle tribù magiare. Il fiume e la fertile ed estesissima pianura, che inizia dai piedi dei monti Bukk, hanno sempre favorito scambi che hanno fatto della cittadina un vivace centro commerciale e culturale e, data la posizione geografica, un importante snodo di comunicazioni, in particolare del traffico ferroviario. La presenza di sorgenti termali e i lunghi periodi di esposizione solare hanno contribuito allo sviluppo turistico e agricolo, accanto alla presenza di cartiere e di officine ferroviarie.
Istvàn era il primogenito di tre fratelli. Tre giorni dopo la nascita fu battezzato nella parrocchia francescana, che avrebbe poi svolto un ruolo significativo nella formazione cristiana del ragazzo. Il papà, che per tradizione famigliare aveva dato lo stesso suo nome al figlio, era ferroviere. Tale impiego stabile (allora, come oggi, non scontato) permetteva alla famiglia uno stile di vita sobrio, ma sereno, in un momento così difficile per la nazione magiara. Data l'importanza strategica della circolazione ferroviaria nel contesto bellico, papà Istvàn non fu mandato al fronte; poté così seguire di persona la crescita dei figli, sui quali esercitò un influsso molto positivo, e fu in grado di provvedere in maniera dignitosa alla loro educazione.
Fin da piccolo, Istvàn era assiduo frequentatore della sua parrocchia, affidata ai Francescani. La comunità dei figli di S. Francesco costituiva il baluardo della vita cristiana nella cittadina. Entrato a formar parte del gruppo dei ministranti, svolgeva con gioia questo servizio. Più tardi riemergerà in lui questa passione per il culto, quando ormai da coadiutore salesiano si impegnerà, con molta serietà, a formare un gruppo esemplare di ministranti nella scuola e nell'oratorio. Per lui, già allora, non si trattava semplicemente di una attività esterna, ritualistica, cerimoniale, ma di una vera forma di servizio al Signore, espressione di autentico amore a Gesù Eucaristia.
Una vera e propria iniziazione all'associazionismo cattolico fu poi per lui l'appartenenza al “Szìvgàrda” (lett. Guardia del Cuore), che promuoveva gruppi di ragazzi/e con attività comunitarie ed educative ispirate dalla devozione al S. Cuore. Tale organizzazione fu attiva dal 1920 fino al 1948, quando il regime comunista eliminò tutte le associazioni cattoliche.
Ragazzo sempre allegro, di umore costante, amante dei giochi, sempre in movi-mento: così lo ricordavano i compagni. Benvoluto da tutti, aveva il temperamento del leader; radunava attorno a sé i ragazzi suoi coetanei e li sapeva guidare senza smania di predominio e senza bullismi. Gli piaceva recitare in teatro, esibirsi sul palcoscenico per far divertire i compagni. Fin da ragazzo preferiva fare da arbitro per far giocare i più piccoli.
Anche in casa badava ai fratelli minori ed era lui a dirigere le preghiere, ai pasti e alla sera. Era solito aiutare la mamma nelle faccende domestiche. Quando i fratellini si rendevano colpevoli di qualche marachella, era per lui naturale addossarsene la responsabilità.
Il nostro adolescente frequentava quindi assiduamente la comunità francescana locale, rendendosi amico dei Frati Minori, in modo particolare di uno di loro, il P. Casimiro Kollàr, che fu suo direttore spirituale. Per un ragazzo ciò non era una cosa comune; l'apertura con questo degno sacerdote l’accompagnò in una costante maturazione spirituale, anche in situazioni difficili. Infatti, negli anni del dopo-guerra, la disoccupazione si faceva sentire; erano, anche allora, tempi di grave crisi economica; risultava difficile trovare un lavoro stabile. Il giovane Istvàn, terminata la scuola dell'obbligo, dovette affrontare lavori fisici più duri, come portar sacchi di cemento nei cantieri o lavorare in una fonderia di rame. Tra i fratelli era quello di più bassa statura e di fisico più debole. Lavorava con dedizione e la mamma, alla sera, doveva curargli le piaghe sulle spalle, causate dai pesi trasportati; lo faceva con metodo casalingo, spalman-dovi sopra grasso di maiale.
Sulla scia di don Bosco
I Francescani, vedendo la serietà del suo impegno e il grande senso pratico che dimostrava, unitamente alla vita cristiana di qualità che conduceva, consigliarono la famiglia di mandare il giovane all'istituto salesiano “Clarisseum” di Ràkospalota (allora grosso sobborgo alla periferia di Budapest). I Salesiani avevano aperto da poco, in un locale ricevuto in uso da una nobile famiglia, una scuola professionale per ragazzi poveri (anche orfani, o ragazzi in difficoltà, mandati dal ministero di Grazia e Giustizia) dai 10 ai 17 anni, con arti grafiche e oratorio festivo. Si trattava di una novità per l'Ungheria di quel tempo. Vi si svolgevano molteplici attività: ministranti, cantori, sport, banda musicale. Nonostante il suo impegno nello studio, il nostro Istvàn non raggiunse mai un alto livello; tuttavia, nel giugno del 1928 completò il curricolo con voti sufficienti.
A questo punto, tornato in famiglia, il ragazzo quattordicenne fu avviato ad un apprendistato metallurgico (tornitore, fonditore di rame); non vi era altra possibilità data la difficoltà di avere un lavoro in quei tempi. Durante tutto questo periodo fu costantemente in contatto con i Francescani, in particolare col suo confessore stabile. Questa coerente cura della vita spirituale, unitamente alla traccia profonda che aveva lasciato in lui la permanenza nell'opera salesiana di Ràkospalota, lo portavano a riflettere su quel che Dio voleva da lui. E così riconobbe in se stesso, con l'aiuto della guida spirituale, i segni della chiamata di Dio alla vita religiosa salesiana. Come dirà più tardi, la lettura delle pubblicazioni salesiane lo aveva colpito e l’aveva fatto riflettere. Anche in questo tratto si intravede una motivazione della sua scelta: la sua sensibilità per il lavoro in tipografia e l'amore per la stampa a diffusione popolare. Da una lettera del padre francescano suo confessore e guida spirituale apprendiamo che nel 1932 (a 18 anni) aveva presentato una domanda che però non poté essere accolta, perché mancava il consenso dei genitori. Intanto aveva fatto diversi tipi di lavoro applicando le sue capacità, anche come semplice giornaliero nella manutenzione ferroviaria. Notevole era la sua capacità di adattamento a diverse forme di abilità manuali, come si constata anche nella gioventù di Giovanni Bosco. Continuò, in questo periodo, la sua corrispondenza con la direzione del “Clarisseum”; per non irritare i suoi genitori, le risposte arrivavano al convento dei francescani.
Giunto all'età di 21 anni, alla fine del 1935, Istvàn mandò la sua richiesta formale al Superiore dei Salesiani, don Jànos Antal. Tra l'altro scriveva: “Sento la chiamata a entrare nella Congregazione Salesiana. Di lavoro ce n'è bisogno ovunque; senza lavoro non si può giungere alla vita eterna. A me piace lavorare”. Vi si delinea un elemento fondamentale della sua vita: sentiva il mondo del lavoro come suo. Fu accettato come aspirante-candidato alla vita salesiana.
Il 12 febbraio 1936 faceva ritorno al “Clarisseum”, per trascorrervi un periodo di prova. Vivendo in quella comunità, lavorò con entusiasmo come aiuto-tipografo, sagrestano e nell'oratorio. Dopo tre mesi, chiese di entrare in Noviziato, ma i superiori considerarono che era meglio che completasse la sua formazione di aspirante e anche la preparazione tecnica come stampatore. Sereno, nonostante l'età che per quei tempi era parecchio superiore alla media dei novizi, continuò il suo lavoro fino al marzo 1938, quando, all'età di 24 anni, non più apprendista, ma già tipografo professionale, chiese ed ottenne di entrare nel Noviziato.
János SzöKe
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