Sul dolore: desiderio o nulla?

Quando il Signore gli chiederà che cosa desiderà di più, lui risponderà che vuole vedere sua mamma. E Gesù lo accontenta: la morte è così solo un'apparente ingiustizia, perché in realtà è la condizione normale perché si realizzi il suo desiderio.

Sul dolore: desiderio o nulla?

da Quaderni Cannibali

del 09 novembre 2009

 

 

Ci sono ferite che non guariscono e che nessun uomo può curare, perché il dolore appartiene a Dio, è una cosa tra noi e Lui. Chi non conosce il film “Marcellino pane e vino”? La ferita di Marcellino è la nostalgia della mamma.

 

 

 

Quando il Signore gli chiederà che cosa desiderà di più, lui risponderà che vuole vedere sua mamma. E Gesù lo accontenta: la morte è così solo un’apparente ingiustizia, perché in realtà è la condizione normale perché si realizzi il suo desiderio.

 

Questo film va alla radice di tutto, alla radice della tenerezza del vivere, là dove è la sorgente di ogni forma di pietà e di amore che possiamo avere verso gli altri e noi stessi: che me ne faccio  di un mondo migliore  se esso si realizza in un futuro indeterminato? Chi salva i bambini che oggi sono morti di fame in varie parti del mondo? Chi dà oggi un senso alla loro vita? Chi fa giustizia oggi delle loro pene?

 

Le statistiche demografiche dicono che nel nostro tempo, per la prima volta nella storia, il numero delle persone che soffre la fame ha superato il miliardo. Vivere per cambiare il mondo non basta: l’uomo che soffre è quello di adesso, quello che ho davanti e non posso aspettare che il mondo sia diverso per dirgli che la sua esistenza ha una dignità….Anche se bisogna cercare di cambiarlo questo mondo!!

 

La mia ferita, il mio dolore è che alla vostra età mi sentivo disperato, perché a queste domande non c’era risposta: non ci dormivo la notte. Per rispondere a queste domande c’è bisogno di Dio. Lui ha costruito la strada verso di noi, rivelandosi come amore: anche il dolore e la morte sono vinti dalla Sua passione per noi.

Marcellino ci fa vedere la vita e la morte in una prospettiva completamente nuova: vivere è essere Suoi amici, accettare la Sua amicizia, addormentarsi nelle Sue braccia, dove si compiono tutti i nostri desideri. Questa è la pace.

 

Il senso del dolore: questo manca nel giudizio di tanti ragazzi con cui parlo. A loro dico, citando M.C. Bateson: “Siamo tutti impegnati in un atto creativo che è la composizione delle nostre vite. Essa avviene usando materiali a volte conosciuti a volte sconosciuti o inattesi”. Chi vive con la curiosità di osservare in sé la costruzione di questa composizione? Chi vive attento a se stesso, impegnato con sé, amando sé? La perdita del desiderio fa scivolare il giovane nell’affermazione del nulla e nell’impoverimento dell’esperienza che ne consegue. Non il dolore, che rende più veri, meno aridi.

 

 

“Chiunque abbia una qualche esperienza del peccato, non ignora che la lussuria minaccia incessantemente di soffocare….tanto la virilità che l’intelligenza....La purezza non ci è prescritta come un castigo, è invece una delle condizioni misteriose ma evidenti - l’esperienza lo attesta- di quella conoscenza soprannaturale di se stessi, di se stessi in Dio, che si chiama la fede. L’impurità non distrugge questa conoscenza ma ne annulla il bisogno. Non si crede più perché non si desidera più credere. Non desiderate più conoscervi. Questa verità profonda, la vostra, non vi interessa più…Non si possiede veramente che ciò che si desidera; giacchè per l’uomo non c’è possesso reale, assoluto. Non vi desiderate più. Non desiderate più la vostra gioia. Non potevate amarvi che in Dio, non vi amerete più.... Non ero mai stato giovane, perché non avevo osato…. Non sono mai stato giovane perché nessuno ha voluto esserlo con me….Ho compreso che la giovinezza è benedetta  - che è un rischio da correre- ma che quel rischio è benedetto anch’esso.”

(G. BERNANOS, Diario di un curato di campagna).

 

 

Il dolore, anche quello lancinante, tocca presto o tardi ogni uomo. Voi mi chiedete: perché? Cosa vuole Dio attraverso il dolore? Che cosa significa per Lui? quello che noi non capiamo ha senso ai Suoi occhi.

 

Io penso che il dolore serva a purificare il nostro essere, a farlo riprendere nella sua purità: ecco il dolore ci rende più puri, più umili, più poveri, più veri anche nei sentimenti, ci rende più dignitosi anche agli occhi di noi stessi. Almeno siamo capaci di soffrire, c’è in noi qualcosa di buono, di autentico. Quello che noi non capiamo ha senso ai Suoi occhi.

 

Irene è morta: in un modo per me misterioso ha concluso la parabola della sua vita, in un tempo più breve rispetto alla norma, è arrivata alla meta in fretta, ha compiuto il suo destino: ora vede il Padre e tutte le cose nella loro verità e nella loro perfezione.

 

Noi, nel dolore e nella sofferenza per la sua scomparsa e per la sua mancanza, diventiamo un po’ più veri, più seri, meno distratti di fronte al dramma della vita, che non possediamo e che non ci è data per sbaglio o per caso. Così il dolore ci rinnova nella nostra creaturalità, ci purifica rendendoci un po’ più innocenti, un po’ meno presuntuosi, un po’ più disponibili a Dio.

 

D’altra parte ditemi l’alternativa: dove pensate di trovare risposta e pace alle domande e alla sete della vostra umanità? Lentamente ci si inquadra, ci si annulla nelle cose da fare, si dimentica la propria giovinezza e anzi la si rinnega. Allora quello che vi dico vuol semplicemente dire: “Ama chi dice all’amico: tu non puoi morire”. E’ un grido il mio: o diventiamo fratelli o saremo sempre estranei.

 

Matteo Lusso

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