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Suor Marie: «Ecco come sono guarita»

Parla la religiosa miracolata per intercessione di Giovanni Paolo II. Malata di Parkinson come il Papa, la consacrata della Congregazione delle Piccole Suore delle Maternità Cattoliche non era in grado più di svolgere alcun servizio. «Posso dire che era una battaglia quotidiana, ma il mio solo desiderio era di viverla nel¬≠la fede e di aderire con amore alla volontà del Padre».


Suor Marie: «Ecco come sono guarita»

da Quaderni Cannibali

del 03 maggio 2011

 

 

          Quella notte fra il 2 e il 3 giu­gno 2005 resterà per sempre nei ricordi limpidi di suor Marie Simon-Pierre Normand, oggi cinquantenne, come la soglia fulgida fra una fase di prove che si chiude e un’autentica «rina­scita». Maturò nel volgere di poche ore, in modo scientificamente in­spiegabile, ciò che la religiosa fran­cese della Congregazione delle Pic­cole Suore delle Maternità Cattoli­che definisce pubblicamente solo come una «guarigione».

          Dell’inter­cessione di papa Wojtyla, suor Ma­rie è stata sempre pienamente cer­ta, ma non spettava a lei stabilire che si è trattato di un miracolo.  È passato un decennio da quel 2001 in cui le fu diagnosticato il morbo di Parkinson. L’evoluzione rapida dei sintomi della malattia, concentrati sul lato sinistro del corpo, la limi­terà presto anche nei gesti più ordi­nari. Mancina, la religiosa non può più scrivere chiaramente. Nono­stante tutto però continuerà a coor­dinare il lavoro delle proprie con­sorelle presso la clinica di Puyricard, in Provenza. A darle forza è il fatto di condividere le sofferenze di Gio­vanni Paolo II, al quale tutta la Con­gregazione comincia a rivolgere preghiere insistenti.

          «Posso dire che era una battaglia quotidiana, ma il mio solo desiderio era di viverla nel­la fede e di aderire con amore alla volontà del Padre», dichiara oggi. Nell’aprile 2005, suor Marie vive in diretta con le consorelle la morte del Pontefice. Sente di aver «perduto un amico». Seguono settimane estremamente difficili. La malattia acce­lera la propria progressione. Fin quando, nel pomeriggio del 2 giu­gno, la religiosa decide d’incontra­re la propria superiora per chieder­le di essere dispensata dal servizio.

          È un incontro toccante, nel corso del quale suor Marie mostra di non riuscire più a scrivere il nome del Pontefice. La superiora risponde co­sì: «Giovanni Paolo II non ha anco­ra detto la sua ultima parola». Quella stessa sera, suor Marie torna in camera e avverte un improvviso desiderio di scrivere. Ripete l’eser­cizio fallito poche ore prima e la penna scorre fluida sulla carta. Que­sta volta, il nome del Pontefice è per­fettamente leggibile. Suor Marie non cerca spiegazioni. Si corica e il sonno, per la prima volta da tempo, giunge in modo naturale.

          All’alba del 3, festa del Sacro Cuore di Gesù, la religiosa si sveglia perfettamente guarita. Scende a prostrarsi davan­ti al Santissimo Sacramento. Alle 6, ora della prima preghiera comune, la guarigione si manifesterà anche alle consorelle. Ancor oggi, il legame interiore con papa Wojtyla resta una costante nel­la vita della suora: «Non posso u­dirlo, ma lo prego. Mi capita di par­largli. Questa relazione spirituale continua a crescere».

          Quanto acca­duto – aggiunge – è una grazia mol­to grande per me, ma anche un se­gno per la nostra Congregazione, per la Chiesa e per il mondo intero, e certamente per la Francia: da qualche giorno, mi torna in mente di continuo la frase di Giovanni Pao­lo II: 'Francia cosa hai fatto del tuo Battesimo?'».

  

Ecco il racconto di suor Marie Simon-Pierre

           «La malattia è evoluta molto dolcemente ma mi ha portato all’impossibilità di compiere gli atti normali della mia professione d’infermiera. Sono mancina e il morbo aveva colpito proprio la parte sinistra del corpo; eppure, malgrado questi problemi, malgrado i tremiti, la rigidità, il dolore, cercavo di proseguire il mio servizio. Anche Giovanni Paolo II era malato di Parkinson. Lui era il Papa della mia generazione e io gli volevo un gran bene come tutti noi, soprattutto noi suore che lo consideravamo l’apostolo della vita e della famiglia. In quegli anni, cioè dal 2001 al 2005, lo seguivo in televisione e il suo esempio mi dava la forza di proseguire».

          «Sarei voluta andare in pellegrinaggio con il Papa a Lourdes nel 2004 – racconta ancora suor Marie -, ma la salute non me lo permise. Ero arrivata al punto che non riuscivo neppure a guardare la tv, dovevo prepararmi per ore. Mi ero preparata anche il giorno in cui è morto e lì ho avuto l’impressione che non ce l’avrei fatta. Invece, quando Benedetto XVI avviò la causa di beatificazione, la mia congregazione decise di iniziare a pregare per chiedere l’intercessione di Giovanni Paolo II per me». Una decisione, ci spiegano le consorelle, che Marie Simon-Pierre ha tentato di contrastare per quell’umiltà che la portava a trascinarsi per ore, in silenzio, pur di non far mancare il suo contributo alla maternità di Puyricard, a pochi chilometri da Aix.          Il 1° giugno 2005, tuttavia, la situazione si fa insostenibile e la scelta di abbandonare il lavoro improcrastinabile. Suor Marie rivive con queste parole l’incontro con la sua superiora: «Il 2 giugno capii che lavorare ancora significava danneggiare la Maternità e il lavoro delle mie consorelle, quindi andai da lei e le chiesi di esonerarmi. Lei mi rispose che Giovanni Paolo II doveva ancora dire l’ultima parola e mi esortò a scrivere il suo nome. Presi la stilo, scrivevo come se lo supplicassi. Alla fine, il nome del Papa era praticamente illeggibile. Ci guardammo e restammo entrambe in un lungo silenzio».          La guarigione in realtà era lontana solo poche ore. «La sera, sono andata in ufficio prima di tornare in camera – prosegue la religiosa – e lì ho avvertito una voce che mi diceva di scrivere di nuovo il nome di Giovanni Paolo II. Ci ho riprovato e, stranamente, questa volta era leggibile. Ancor più sorprendente: quella notte, i dolori non mi perseguitarono, riuscii a dormire bene e l’indomani mi alzai dal letto completamente trasformata. Sentivo che era una cosa grande, forte, misteriosa. Era il 3 giugno, festa del Sacro Cuore di Gesù. Ho raggiunto la cappella senza problemi, non tremavo più. Poco dopo l’incontro con l’Eucaristia, sentii chiaramente di essere guarita. Mi diressi verso una sorella e alzai la mano dicendo: “Giovanni Paolo II mi ha guarito”. Sono corsa a scrivere e la mia mano correva sulla carta. Quello stesso giorno, un impiegato dell’ospedale si è sentito male e io l’ho sostituito».          È una storia che mantiene la sua intensità anche per la superiora di allora, suor Marie Thomas: «Fu anche per me uno shock – ricorda -; ero inquieta, incredula, come l’apostolo Tommaso, di cui porto il nome. Ma visto con il senno di poi, c’erano davvero molti segni». Da quel giorno, suor Marie Simon – Pierre non assume più farmaci ed è guarita anche secondo i medici. L’unico «trattamento» che le rimane si basa su preghiera, lavoro e questa sua radiosità che avvince.

Daniele Zappalà

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