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Testimonianza di Sabah

Posso dire che Dio mi ha salvato la vita in varie situazioni difficili come nel 1991. Svolgevo il mio servizio militare in un ambulatorio e dopo la prima guerra del Golfo vi è stata una ribellione contro di noi, militari irakeni. Il nostro ambulatorio era nel nord del paese, nella zona del Kurdestan...


Testimonianza di Sabah

da Feste dei Giovani

del 08 marzo 2006

Mi chiamo Sabah, vengo dall’Iraq, sono cristiano cattolico della chiesa caldea.

Ho vissuto 4 anni di servizio militare in tempo di guerra e con tanta paura; eppure anche in questa situazione drammatica ho toccato con mano l’amore di Dio per me. Posso dire che Dio mi ha salvato la vita in varie situazioni difficili come nel 1991. Svolgevo il mio servizio militare in un ambulatorio e dopo la prima guerra del Golfo vi è stata una ribellione contro di noi, militari irakeni. Il nostro ambulatorio era nel nord del paese, nella zona del Kurdestan e curavamo anche i civili kurdi. I militari kurdi, avevano deciso di mandarci via e stavano preparandosi per attaccarci; avevano cominciato a bloccare le strade con check point, a non far rientrare tutti quelli che erano andati in licenza, uccidendo anche diversi militari irakeni. Nel mio ambulatorio da 50 siamo rimasti solo in 8 e si avvicinava il momento dell’attacco; i miei superiori con gli altri militari si sono ritirati in periferia ordinandomi di continuare a far funzionare l’ambulatorio in città assieme a un altro collega. Il nostro edificio è diventato il centro dei miliziani kurdi; ho cercato di amare questa gente, irakeni o kurdi che fossero come dice Gesù “ama il tuo prossimo come te stesso”, ricordandomi di quanto mi avevano trasmesso i miei genitori e mi aveva insegnato il mio parroco. La situazione però peggiorava e ho avuto la sensazione che non avrei mai più rivisto la mia famiglia. Una settimana dopo un soldato kurdo mi ha informato che nell’attacco del giorno successivo avrebbero ucciso tutti; con un taxi mi ha accompagnato per 150 Km fuori dalla zona pericolosa superando tanti check point kurdi e presentandomi come un cristiano amico.

In quegli anni cercavo di mettere Dio al primo posto e mi colpivano molto le parole del Vangelo, tra esse: “Amatevi come io vi ho amato”; il cercare di viverle mi ha aiutato molto a superare situazioni difficili. Nel 1995 sono venuto in Italia per un anno e ho approfondito la mia fede cristiana a Loppiano, una città vicino a Firenze. Poter vivere il Vangelo 24 ore su 24 con giovani di 80 paesi diversi, di differenti culture, tradizioni e lingue è stato davvero una rinascita. Ho sentito nel cuore il desiderio di portare l’amore del Signore che avevo sperimentato ai giovani nel mio paese.

Al ritorno in Iraq, la Parola di Dio e Gesù presente nell’Eucaristia sono stati il mio nutrimento quotidiano. Ho visto l’aiuto del Signore anche nei rapporti con i nostri fratelli musulmani, alcuni dei quali hanno molto rispetto verso di noi cristiani (dicono che siamo un segno di pace e fiducia) ma anche con quelli più fanatici: cercavo di far capire loro che siamo fratelli e figli di un unico Dio e rispettando le loro tradizioni non abbiamo avuto mai nessuno scontro.

Ho sentito che Dio mi chiamava a fondare una famiglia tutta sua; ho conosciuto la mia futura moglie e da fidanzati abbiamo condiviso lo spirito evangelico che ci ha aiutato molto nel nostro cammino come famiglia e nelle situazioni difficili che a causa della guerra abbiamo vissuto.

Dopo un anno di matrimonio abbiamo avuto con immensa gioia due figli gemelli, si chiamano Mario e Marian, hanno 5 anni. Sono però nati prematuri con grosse difficoltà per sopravvivere; Mario aveva bisogno di essere curato con antibiotici ma, a causa dell’embargo, nel nostro paese non c’erano i medicinali che servivano; l’uso di un antibiotico non adatto ha prodotto la perdita dell’udito a nostro figlio.

E’ stato un dolore forte per noi: non potevamo comunicare con lui, lo vedevamo incapace di sentirci. Sapere che nel nostro paese non c’è nessuna cura per questi casi e l’unica possibilità era di portarlo all’estero per un intervento molto impegnativo e molto costoso impossibile da sostenere per noi, aumentava il nostro dolore.  Abbiamo affidato tutto a Dio a cui niente è impossibile.

Alcuni mesi dopo, avendo la fortuna di parlare l’italiano ho conosciuto l’organizzazione umanitaria italiana “Un ponte per..” che mi ha dato la possibilità di fare l’interprete per le loro missioni. Dopo un anno di lavoro, alcuni italiani sono venuti a conoscenza della situazione di nostro figlio Mario e si sono interessati per farci venire in Italia per curarlo. Ci sembrava di veder realizzata la nostra preghiera, ma lo scoppio della guerra nel marzo del 2003 ha fatto precipitare la situazione.

     E’ stato un momento di croce per noi, ci siamo affidati nuovamente all’amore di Dio che è Padre e ci siamo buttati a vivere al meglio i momenti di guerra e paura cercando di amare i nostri figli e la gente che ci stava accanto. Per proteggere i nostri figli abbiamo dovuto lasciare la casa di Baghdad e sfollare nel nord del paese (a circa 500 Km) in un villaggio vicino a Ninive dove c’erano altre 400 persone sfollate come noi. Ci siamo trovati a vivere in una casa con altre 5 famiglie, anche lì non sono mancate le difficoltà: non c’era acqua, c’era poco cibo, non c’era gas per cucinare, spesso mancava la corrente…ci siamo messi a disposizione cercando di fare le cose più pesanti come la fila per prendere la bombola del gas per cucinare o andare a cercare l’acqua negli altri villaggi e portarla non solo per noi ma anche per le altre famiglie.

Con le famiglie del villaggio ci siamo messi a vivere la comunione dei beni come facevano i primi cristiani, c’era una casa dove ogni famiglia portava quel che aveva in più di riso, farina, zucchero, olio per poi distribuirlo alle famiglie che venivano da più lontano e avevano maggior  necessità.

Finita la guerra i problemi non sono finiti: mancanza di sicurezza, rapine, rapimenti, attentati e kamikaze. Ho ripreso il lavoro con le ONG Italiane ed attraverso l’interessamento di uno di questi amici Italiani, un sacerdote di Gorizia, è maturata la possibilità di portare Mario in Italia e così dopo 8 mesi di rischi e pericoli e minacce per noi che collaboriamo con gli stranieri siamo riusciti a venire in Italia e sono iniziate le cure.

Siamo qui da due anni, Mario ha subito un intervento molto delicato al cervello all’ospedale Gemelli di Roma e sta proseguendo le cure a Udine presso un centro di riabilitazione; ha iniziato a migliorare e a pronunciare le prime parole.

Sentiamo una grande solidarietà e accoglienza da parte di tanti: dal sacerdote che ci ha messo a disposizione la canonica del paesino, all’accoglienza semplice e squisita della gente, al grande amore di tante famiglie con cui sperimentiamo una fraternità che va al di là delle differenze di lingua, cultura e nazionalità. Il sindaco del paese mi ha dato la possibilità di fare qualche lavoretto di manutenzione per il comune (come tagliare l’erba, pulire le strade..ecc.) e così posso avere un guadagno assicurato; ci dice che la nostra testimonianza ha aperto i cuori alla gente.

Finite le cure di Mario è nostro desiderio tornare in Iraq e condividere la nostra vita con la nostra gente e raccontare a tutti questa nostra avventura che per noi è un miracolo dell’amore di Dio.

Sabah Aboo

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