Ti armo da morire

Per sport, per politica, per passione o per farsi spazio i giovani si procurano armi, da taglio e da fuoco. E le usano.

Ti armo da morire

da Un Mondo Possibile

del 10 novembre 2009

 

Nel 2003, nelle sale cinematografiche mondiali, esce il capolavoro del regista americano Gus Van Sant, Elephant, vincitore nello stesso anno della Palma d’Oro come miglior film al Festival di Cannes. Il titolo fa riferimento ad un proverbio americano, “l’elefante nella stanza”, usato per dire di un problema ben visibile, ma di cui nessuno si accorge o ne parla. Il problema in questione è quello della situazione giovanile e, in particolare, del rapporto tra i giovani e le armi.

 

 

 

 

Racconta la storia di due studenti, Eric e Alex che, entrati nella loro scuola armati di fucili, fanno strage di compagni e docenti. Un chiaro riferimento allo sconcertante fatto di cronaca del 1999 quando nella “Columbine high school”, Dylan Klebold e Eric Harris uccisero 13 compagni e ne ferirono un’altra ventina, prima di suicidarsi. Dramma seguito da un secondo capitolo: nell’aprile 2007 a Blacksburg un altro school shooter, pistolero di scuola, il coreano Cho Seung -Hui, irrompe armato nella propria Università, il Virginia Polytechnic Institute, e fa fuoco, togliendo la vita a 32 persone e a se stesso.

 

Il problema, allora: la passione per le armi dai parte dei giovani, che travalica l’interesse sportivo, e diventa rapporto ossessivo con la forza, la violenza e i suoi strumenti. In USA gli effetti sono stati questi, ma in giro per l’Occidente la situazione non è altrettanto piacevole.

 

A Londra, il Governo ha preso in considerazione azioni drastiche per prevenire i gun and knife crime: più di 50 persone morte, spesso giovanissimi, per accoltellamento a Londra quest'anno, oltre ventimila crimini con armi da taglio e da fuoco, una media di sessanta al giorno, senza contare quelli non censiti e le armi da taglio vengono utilizzate sempre più frequentemente nei furti e scippi in tutto il Paese. E l'età media sia delle vittime che degli esecutori è scesa vertiginosamente, passando dalla fascia 18-22 anni a quella 15-18 anni.

 

Nove genitori su dieci chiedono il coprifuoco serale, una misura repressiva tipica dei periodi di grave crisi sociale, almeno nelle zone a rischio. Perché tante vittime e tanti episodi di sangue? Il possesso di un arma, in ceti quartieri londinesi, è uno status symbol ma anche un mezzo di sopravvivenza negli scontri con gang rivali. «Girare con un coltello deve diventare 'inaccettabile'», ha dichiarato il primo ministro inglese Gordon Brown. Le risposte? Campagne pubblicitarie choc, la proposta di visitare i reparti di pronto soccorso ai giovani, per mostrare loro quanto gravi possono essere le ferite inferte da un coltello, metal detector nelle scuole.

 

In giro per il mondo, l’esasperazione dei giovani trova sfogo nell’uso di armi, seppur di fortuna o rudimentali: come è accaduto nelle Banlieue parigine in occasione della rivolta dei giovani immigrati di terza generazione, stufi di essere tenuti ai margini e guardati con sospetto, o con l’Intifada, la guerra delle pietre palestinese.

 

Un panorama di giovani italici armati

È difficile trovare statistiche che, come quelle inglesi, descrivano quantitativamente le dimensioni del fenomeno. Eppure anche il Belpaese non è immune da tale problema e la cronaca nostrana non è priva di episodi simili a quelli londinesi. Ma i fatti di sangue sono la punta dell’iceberg di un rapporto dei giovani con le armi complesso, variegato e con motivazioni diverse.

 

Motivazioni politiche. Prendendo in parola il generale Carl von Clausewitz c’è chi considera la guerra, la violenza, nient’altro che la continuazione della politica con altri mezzi: le sezioni giovanili delle frange di estrema destra e di estrema sinistra, dagli anni Settanta e Ottanta, gli anni di piombo e delle Brigate rosse e delle formazioni combattenti neofasciste, hanno visto spuntare, accanto a cartelloni e megafoni, tra i cortei e nelle tasche dei giovani attivisti coltelli, pistole e, infine, bombe, rudimentali, ma pur sempre ordigni mortali.

 

Lo scrittore Erri De Luca e Adriano Sofri, entrambi leader di Lotta continua, il deputato di AN Marcello De Angelis, ex Terza Posizione, sono i volti noti che hanno assistito a quel passaggio dalle parole alle armi. Per difendere le proprie idee da chi la pensava diversamente e per difendersi dalle cariche delle Forze di polizia, dalla minaccia dello Stato al proprio essere “estremi”, ai margini del dibattito politico.

 

Slogan politici e strumenti di offesa vanno insieme ancora oggi perché la paura di non essere sentiti, di vedere sconfitte le proprie idee ora che il sostegno delle grandi ideologie è venuto meno, l’odio per il diverso si fa polvere da sparo o lama: a Roma, a Milano, a Verona, le armi spuntano per creare scompiglio nei centri sociali, nei rave party e nei concerti, nelle sedi dei circoli partitici.

 

Più facilmente si usano armi “non convenzionali”, facili da procurarsi, ma capaci di far raggiungere l’obiettivo prefissato: spranghe, catene, coltelli. Naziskin contro Rom a Roma, Black block contro carabinieri a Genova, la “sinistra antagonista” livornese contro i leghisti.

 

Dai cortei e dalle piazze si passa agli stadi nel fine settimana: lì dove la passione sportiva si mischia con il “tifo” politico e lo sfogo contro il sistema, cioè contro le forze dell’ordine, gli ultras trovano nella confusione dei numeri, nascosti tra la folla, l’occasione per armarsi. Nei circoli di ritrovo delle tifoserie o nelle abitazioni dei capi ultras non di rado i controlli portano al sequestro di armi: dalle spranghe ai machete, alle bombe carta.

 

Armi: attrazione fatale

 

Le armi hanno una forte attrattiva nei confronti dei più giovani in quei contesti di emarginazione dove la speranza di emergere e sopravvivere non è affidata alla riuscita scolastica o alla voglia di lavorare, neanche alla forza fisica in sé. Tutto sta nell’essere temerari, nell’osare, nella sfida alla paura e alla legalità: ecco perché un “ferro” in tasca fa sentire i ragazzi sicuri di sé, ma anche in una dimensione inebriante, a volte, quella del poter dare la morte. Il senso di potenza è un surrogato della percezione di prospettive mancanti, un viatico all’impossibilità di avere aspirazioni ad una vita normale.

 

Di nuovo la cinematografia ci può aiutare a guardare la realtà e a penetrarla: il recente film di Matteo Garrone, Gomorra, tratto dall’omonimo libro di Roberto Saviano, nella storia di Marco e Ciro che, trovato un arsenale, giocano a fare i capiclan, ma la foga costerà loro molto cara, o la pellicola un po’ più datata dei fratelli Frazzi, Certi bambini, che racconta la storia dell’iniziazione di un preadolescente alla violenza, dai primi rudimenti su come farsi rispettare dai pari fino al punto culminale, il primo omicidio su commissione.

Entrambi ambientati a Napoli, ma la situazione non è diversa in altre metropoli del Nord e del Sud Italia: Bari, Roma, Milano, Palermo.

 

Gianluca Marasco

http://http://www.dimensioni.org/

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