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U come umiltà

L'umiltà è la prima beatitudine. L'uomo che riesce a fare il vuoto in se stesso diviene una coppa che si riempie di cielo. In un certo senso si riempie di Dio. L'umiltà è l'altro nome dell'autostima. Non significa sentirsi un verme spregevole, ma possedere il giusto rispetto per se stessi. Significa conoscere le proprie forze e i propri limiti.


U come umiltà

da Teologo Borèl

del 02 marzo 2011

 

Lo strano caso di un sognatore con i piedi per terra

          «Ecco il tuo campo, ecco dove devi lavorare. Cresci umile, forte e robusto».Questo il consiglio di Maria a Giovannino nel sogno dei nove anni. Giovanni lo prenderà molto sul serio e queste tre qualità diventeranno le dimensioni fondamentali della sua persona. A incominciare dall’umiltà, che non è una qualità innata, ma una conquista faticosa.          Un nonno teneva per mano il nipotino e indicava i poderosi alberi del viale. Raccontava che niente è più bello di un albero.«Guarda, guarda gli alberi come lavorano!».«Ma che cosa fanno, nonno?»          «Tengono la terra attaccata al cielo! Ed è una cosa molto difficile. Osserva questo tronco rugoso. È come una grossa corda. Ci sono anche dei nodi. Alle due estremità i fili della corda si dividono e si allargano per attaccare terra e cielo. Li chiamiamo rami in alto e radici in basso. Sono la stessa cosa. Le radici si aprono la strada nel terreno e allo stesso modo i rami si aprono una strada nel cielo. In entrambi i casi è un duro lavoro!»«Ma, nonno, è più difficile penetrare nel terreno che nel cielo!»          «Eh no, bimbo mio. Se fosse così, i rami sarebbero bei dritti. Guarda invece come sono contorti e deformati dallo sforzo. Cercano e faticano. Fanno tentativi tormentosi più delle radici.»«Ma chi è che fa fare loro tutta questa faticaccia?»          «È il vento. Il vento vorrebbe separare il cielo dalla terra. Ma gli alberi tengono duro. Per ora stanno vincendo loro.»           Don Bosco è stato un tronco poderoso ben radicato nel terreno per tenere il cielo attaccato alla terra. E per questo ha consumato la sua vita. L’umiltà è sentire le radici umane che affondano nella terra. La parola umiltà richiama il latino humus, terra.          L’umiltà è la prima beatitudine. L’uomo che riesce a fare il vuoto in se stesso diviene una coppa che si riempie di cielo. In un certo senso si riempie di Dio.          L’umiltà è l’altro nome dell’autostima. Non significa sentirsi un verme spregevole, ma possedere il giusto rispetto per se stessi. Significa conoscere le proprie forze e i propri limiti. E soprattutto essere grati per quanto si ha e riconoscenti verso il Creatore che lo ha donato.          Don Bosco scrive il suo personale Magnificat, la sera della prima Messa: «La sera di quel giorno tornai alla mia casa. Quando fui vicino ai luoghi dove avevo vissuto da ragazzo, e rividi il posto dove avevo avuto il sogno dei nove anni, non potei frenare la commozione. Dissi: “Quanto sono meravigliose le strade della Provvidenza! Dio ha veramente sollevato da terra un povero fanciullo, per collocarlo tra i suoi prediletti”».          Chi è umile si sente uno strumento nelle mani di Dio e percepisce la vita come missione, come un magnifico compito da portare a termine. Per questo gode il piacere e la semplice bellezza del fare, e affronta la fatica che ci vuole, senza farsi illusioni. Non si sente affatto speciale.          Chi è umile si prepara di più e lavora meglio. Impara di più, perché i superbi pensano di sapere già tutto. Fin da piccolo, don Bosco è una “spugna”, che assorbe e impara da tutti: il latino dal vecchio parroco, i giochi di prestigio dai giocolieri delle fiere, ripete pronomi e verbi mentre zappa, impara la musica, a cucire e confezionare giubbotti, pantaloni e panciotti da Giovanni Roberto, la santità da Comollo, impara a confezionare dolci e liquori.          Chi è umile non è competitivo, lascia spazio agli altri e sa collaborare. Non ha l’ansia di prevalere e non si sente programmato per trionfare. È aperto, collabora, non si sente una primadonna e ha sempre rispetto per gli altri, ma non dipende dalla loro approvazione. Per questo gli umili sono benevoli, innocui, semplici, moderati.          Sente di avere bisogno degli altri e sa vedere le gioie disseminate in una giornata, anche se piccole.In tutta la sua vita, don Bosco non si vergognò mai di chiedere l’elemosina. Quante volte il Santo fu udito ripetere: «Io ebbi sempre bisogno di tutti».          Solo chi è umile può essere gentile perché riesce a godere della presenza degli altri. L’umiltà è la porta dell’amore verso i più piccoli, gli indifesi, i feriti dalla vita.          L’umiltà permette di accettare le imperfezioni dell’esistenza e regala all’esistenza una serenità di base, perché anche humor viene da humus. Don Bosco era sempre di buonumore.          Gesù spiega concretamente ai suoi il senso dell’umiltà con la “lavanda dei piedi”. Anche don Bosco: «Don Bosco in questi primi anni, facendo vita comune coi giovani, allorché non si muoveva di casa era pronto ad ogni servigio. Al mattino insisteva perché i giovani si lavassero le mani e la faccia; ed egli a pettinare i più piccoli, a tagliare loro i capelli, a pulirne i vestiti, assettarne i letti scomposti, scopare le stanze e la chiesuola. Sua madre accendeva il fuoco ed egli andava ad attingere l’acqua, stacciava la farina di meliga o sceverava la mondiglia dal riso. Talora sgranava i fagiuoli e sbucciava pomi di terra. Egli ancora preparava sovente la mensa per i suoi pensionarii e rigovernava le stoviglie ed anche le pentole di rame che in certi giorni facevasi imprestare da qualche benevolo vicino. Secondo il bisogno fabbricava o riattava qualche panca perché i giovani potessero sedersi; e spaccava legna. Per risparmiare spese di sartoria tagliava e cuciva i calzoni, le mutande, i giubbetti e coll’aiuto della madre in due ore un vestito era fatto».Ecco la “lavanda dei piedi” in salsa salesiana.  

Bruno Ferrero

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