Un popolo in festa per il beato Titus Zeman

Era presente questo straordinario popolo di Dio, così vario e disciplinato: padri di famiglia con bambini portati sulle spalle, ragazze nei costumi tradizionali, anziani chi in giacca e cravatta chi con l'uniforme militare...

Un popolo in festa per il beato Titus Zeman

del 05 ottobre 2017

Era presente questo straordinario popolo di Dio, così vario e disciplinato: padri di famiglia con bambini portati sulle spalle, ragazze nei costumi tradizionali, anziani chi in giacca e cravatta chi con l’uniforme militare...

 

Una festa di popolo cristiano è quella che si è svolta sabato 30 settembre a Bratislava, in occasione della beatificazione del salesiano slovacco Titus Zeman, «martire per le vocazioni».
La città si è svegliata sotto un cielo incredibilmente azzurro e limpido. Sembrava ancora estate, anche se il vento fresco della pianura danubiana mitigava la calura. Sì, è stata proprio una festa, più gioiosa che solenne: la spianata che circonda la chiesa della Sacra Famiglia nel quartiere periferico di Petr≈æalka ha raccolto 25.000 fedeli e oltre 500 sacerdoti. Con il legato pontificio cardinal Angelo Amato, prefetto della Congregazione per le cause dei santi, hanno concelebrato fra gli altri l’arcivescovo Zvolenský, il rettore maggiore dei salesiani don Artime, il cardinal Tomko e il nunzio Ottonello, nonché alcuni religiosi greco-cattolici.
E poi c’è stato questo straordinario popolo di Dio, così vario e disciplinato: padri di famiglia con bambini portati sulle spalle, ragazze nei costumi tradizionali, anziani chi in giacca e cravatta chi con l’uniforme militare, qualcuno si è portato persino una sedia di legno massiccio, ma i volontari del servizio d’ordine hanno lasciato fare…

Don Titus (1915-1969), all’indomani del colpo di stato comunista in Cecoslovacchia (1948) e l’avvio della lotta antireligiosa, attraverso il fiume Morava che segna il confine con l’Austria organizzò tre espatri clandestini di religiosi, per far sì che potessero completare la formazione in Occidente. Il terzo viaggio, nell’aprile del 1951, si interruppe davanti alla Morava in piena, e quasi tutti i religiosi furono catturati. Dopo mesi di carcere istruttorio in cui subì pestaggi e violenze, don Titus fu accusato di spionaggio ed alto tradimento, e condannato a 25 anni di carcere. Emise la sentenza l’inflessibile giudice Korbuly, di cui abbiamo già parlato in questo blog. Scontò così 12 anni nei luoghi di pena più famigerati del paese. Rilasciato con la condizionale nel ’64 ma con la salute ormai compromessa, morì cinque anni dopo.

Le sua biografia, letta all’inizio della celebrazione (e ritrovabile sul sito dedicato al beato), è riecheggiata tra i paneláky tutt’intorno – i palazzi prefabbricati che danno l’impronta a questo che è sempre stato un quartiere problematico e, prima dell’89, assolutamente tetro. «Di sera, con le luci accese, i paneláky senza scuri sembrano un enorme cimitero!» – ci dice scherzando un’amica; ma oggi anche nel «bronx di Bratislava» sono tutti per Titus: impossibile non lasciarsi prendere dalla commozione all’Ubi caritas eseguito dal coro durante la distribuzione dell’eucarestia, e «accompagnato» dal passaggio di nuvolette capricciose che biancheggiano nel cielo.
Questa parrocchia sta proprio facendo incetta di beati: istituita solo nel 1995, ha come patrono il vescovo greco-cattolico Vasiƒæ Hopko, beatificato con suor Zdenka Schelingová proprio qui, nel 2003, presente Giovanni Paolo II, quando era ancora in costruzione la chiesa dove oggi si celebra anche in rito orientale.

Nella sua omelia, il cardinale Amato ha ricordato come «l’infelice dittatura comunista» aveva trasformato queste terre in un campo di prigionia: «Il rancore era volto soprattutto verso la Chiesa, che manteneva viva l’identità del popolo slovacco difendendone la libertà e la dignità. In questo clima di autentica persecuzione i cristiani hanno dimostrato che l’amore è più forte dell’odio e che la Verità alla fine vince sulla menzogna (…). Il martirio è la suprema manifestazione dell’amore a Cristo e alla Chiesa. Il sangue dei martiri congiunge il nostro tempo ai primi secoli cristiani, (…) mirabile spettacolo di coraggio».
«La riconquistata libertà – ha concluso Amato, – unita spesso a una certa dittatura del benessere e della trasgressione, non mortifichi e non spenga gli ideali di chi vuol vivere in pienezza la scelta del bene. I santi e i martiri sono la risorsa più bella di un popolo».

 

Angelo Bonaguro

http://www.tempi.it

 

 

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