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Una croce in una saponetta

Un grande testimone: il card. Nguyen Van Thuan. Una croce in una saponetta: così il vescovo vietnamita Nguyen Van Thuan ha conservato il simbolo della sua fede cristiana durante i lunghi anni trascorsi nelle prigioni comuniste. L'Eucaristia è stata la sua grande forza.


Una croce in una saponetta

da Teologo Borèl

del 18 aprile 2008

La guerra tra i comunisti del nord e le forze del sud sostenute dagli americani stava infuriando in Vietnam quando il vescovo Francis-Javier Nguyen Van Thuan venne nominato ausiliare dell’arcivescovo di Saigon da papa Paolo VI nel 1975. La nomina avvenne pochi giorni prima che la capitale del Vietnam del sud fosse conquistata da mano comunista e rinominata Ho Chi Minh City. Il vescovo Van Thuan aveva allora 48 anni. Solo tre mesi dopo, il 15 agosto 1975, giorno dell’Assunzione, fu arrestato e gettato in prigione sia per la sua fede religiosa che per il suo grado di parentela con il presidente assassinato nel 1963, di cui era appunto nipote.1

 

Egli rimase in prigione senza alcun processo o sentenza per tredici anni, di cui nove in isolamento, fino al 21 novembre 1988. Come lui stesso scrisse, furono anni terribili, durante i quali però non permise a se stesso di farsi sopraffare dalla depressione o dalla rassegnazione. Cercò di esorcizzare la sua prigionia, “riempiendola d’amore”. Fu molto aiutato in questo dalle preghiere dei suoi fedeli, ma soprattutto da quelle di sua madre, la quale, sin dal momento del suo arresto, non smise mai di pregare il Signore affinché suo figlio rimanesse fedele alla Chiesa.

 

Inizialmente, il vescovo Van Thuan fu condotto 450 chilometri a nord, nell’area della sua precedente diocesi di Nha Trang, dove fu rinchiuso da solo, ma così vicino al mare e alle campane della sua cattedrale da poterne sentire il rumore. «Mi piangeva il cuore», scrisse nel suo piccolo libro Cinque pani e due pesci. Più tardi, i Viet Cong lo trasportarono ancor più a nord nella stiva di una nave assieme a mille e cinquecento prigionieri affamati. Era stato deciso che lavorasse in un campo di “rieducazione”.

 

 

Come calice la palma della mano

 

 Al momento del suo arresto, gli fu permesso di scrivere una lettera per chiedere ai suoi parenti le cose più necessarie. Egli pensò di domandare un po’ di vino come medicina contro il mal di stomaco. I suoi fedeli, però, capirono molto bene che il vino gli sarebbe servito per celebrare l’Eucaristia; così gli mandarono una piccola bottiglia di vino con sopra l’etichetta “contro il mal di stomaco”. Con quel vino, Van Thuan riuscì a dire messa, usandone poche gocce e servendosi della palma della mano come calice.

 

Scrisse: «l’Eucaristia è stata per me e per altri prigionieri la sola forza, la sola speranza. Cosa può essere più consolante del pensiero che Gesù è con te, soffre con te e piange con te? Ti ricorda che l’intera Chiesa è con te, a cominciare dal papa. Nella tua cella, non sei mai solo, (…) ma Gesù fa molto più che vivere semplicemente il tuo dolore. Egli ti aiuta a renderlo amore. Questa è la differenza».

 

 

Una Bibbia scritta su ritagli di carta

 

Fino al momento della sua morte, il vescovo Van Thuan portò al collo un ricordo di questo suo periodo di prigionia: una crocetta di legno appesa a una catenella di filo elettrico, che aveva costruito in segreto e che aveva tenuta nascosta per molti anni in una saponetta. Scrisse: «non è bella, ma per me è un simbolo, un’esortazione ad amare sempre, a perdonare e riconciliarsi».

 

Così descrive le origini di quella croce: «un giorno, mentre ero nella prigione di Vinh Quang, chiesi a una guardia se mi era permesso tagliare un piccolo pezzo di legno a forma di croce. Senza esitare, la guardia acconsentì. In un’altra circostanza, in un’altra prigione, domandai a una guardia un pezzo di filo elettrico. La guardia era sospettosa e spaventata perché credeva che mi volessi uccidere. Ma io la rassicurai, spiegando che volevo solo fare una catenella per la mia croce di legno, così da poterla portare al collo. La guardia non solo mi diede il filo, ma anche una tenaglia, e insieme realizzammo questa piccola catenella».

 

Van Thuan non avendo potuto portare con sé una Bibbia, decise di raccogliere tutti i ritagli di carta e di metterli insieme. Su di essi scrisse trecento versetti del Vangelo che ricordava a memoria. Questa Bibbia artigianale e l’Eucaristia celebrata nella palma della mano furono la fonte della sua forza, il suo tesoro quotidiano dal quale traeva le energie per resistere.

 

In seguito fu rinchiuso in isolamento, controllato da due poliziotti che si davano il cambio ogni due settimane per evitare contaminazioni. La sua strategia consisteva nell’amarli, sorridergli, parlargli, insegnare loro le lingue straniere e rispondere alle loro domande sulla Chiesa.

 

Van Thuan scrisse anche un libro con più di un migliaio di esortazioni per i suoi fedeli, contrabbandate su pagine strappate da un diario, poi ricopiate da un bambino su un quaderno per gli esercizi perché non fossero scoperte e infine fatte uscire dal paese grazie a un marinaio della nave su cui anche lui era stato. Il cammino della speranza è stato tradotto in più di dieci lingue.

 

 

Numerosi martiri fra i suoi antenati

 

Francis-Xavier Nguyen Van Thuan era nato a Hue, in Vietnam, il 17 aprile 1928. Discendeva da una famiglia profondamente cristiana che comprendeva, fra i suoi antenati, numerosi martiri: nel 1885 tutti gli abitanti del villaggio di sua madre furono arsi vivi all’interno della chiesa parrocchiale, con l’eccezione di suo nonno che, a quel tempo, stava studiando in Malaysia. Inoltre, alcuni dei suoi antenati subirono violente persecuzioni e ne caddero vittime tra gli anni 1698 e 1885. Sua nonna non era istruita, ma era abituata a recitare il rosario ogni notte. Sua madre Elizabeth, al tempo della morte di Van Thuan, aveva più di cento anni e viveva in Australia. Di solito gli raccontava le storie della Bibbia e le testimonianze dei martiri, soprattutto dei suoi antenati. Spesso gli parlava anche di santa Teresa del Bambin Gesù.

 

L’11 giugno 1953 fu ordinato prete. Nel 1959 ottenne il dottorato in diritto canonico presso la pontificia Università Urbaniana. Ritornato in Viet­­nam, fu rettore del seminario e vicario generale. Fu creato vescovo di Nha Trang nel 1967. Presto si lanciò nell’attività pastorale. Aumentò il numero degli studenti del seminario da 42 a 147, creò movimenti laicali e gruppi giovanili, costruì scuole e promosse consigli pastorali. Egli si descriveva sempre come un uomo d’azione, cosa che rese la sua prigionia ancor più dolorosa.

 

Quando fu rilasciato, le autorità comuniste rimasero sospettose riguardo ai suoi vincoli familiari e gli impedirono di accettare la carica di vescovo ausiliare di Hanoi, e fu posto agli arresti domiciliari nella residenza del vescovo di Hanoi, cardinale Joseph Marie Trinh Van Can. Nel 1991 fuggì dal Vietnam, dopo essere stato minacciato di morte da un ufficiale del governo vietnamita.

 

Costretto all’esilio, lontano dal suo paese, Giovanni Paolo II lo accolse nella Curia romana e nel 1998 lo nominò presidente del pontificio Consiglio per la giustizia e la pace. Fu creato cardinale nel 2001. Nel marzo del 2000, era stato incaricato di tenere il ritiro quaresimale per la Curia romana. Van Thuan ricordò sempre con piacere l’invito del santo Padre: «Nel primo anno del terzo millennio un vietnamita dirigerà gli esercizi spirituali per il papa». Quando il papa gli domandò se avesse già un argomento in mente, Van Thuan rispose: «santo Padre, parlerò di speranza…».

 

 

La strana matematica di Ges√π

 

 Durante gli esercizi spirituali, Van Thuan parlò di ciò che aveva detto ai suoi compagni prigionieri non cattolici, i quali erano curiosi di sapere come poteva continuare a sperare: «Io ho lasciato tutto per seguire Gesù, perché amo i difetti di Gesù». Spiegò loro: «Sulla croce, durante la sua agonia, Gesù sentì la voce del ladrone crocifisso alla sua destra che gli diceva: “ricordati di me quando sarai nel tuo regno”. Se io fossi stato Gesù, gli avrei risposto: “di certo non mi dimenticherò di te, ma i tuoi crimini devono essere espiati con almeno vent’anni nel purgatorio. Invece gli disse: “oggi sarai con me in paradiso”. Egli si dimentica di tutti i peccati dell’uomo. Fece lo stesso con la peccatrice che gli aveva lavato e profumato i piedi. Non le chiese nulla riguardo ai suoi peccati passati. Semplicemente disse: “i suoi molti peccati le sono perdonati perché ha amato molto”. Gesù non ha una memoria come la mia. Non solo egli perdona, e perdona ogni persona, ma addirittura si dimentica di aver perdonato!».

 

In un’altra occasione, disse: «Se ­Gesù avesse dovuto dare un esame di matematica, non lo avrebbe passato. Questo si capisce dalla parabola della pecorella smarrita;… una delle pecore si perde e, senza indugio, si mette alla sua ricerca, lasciando le altre novantanove in balìa di se stesse. Una volta trovatala, se la mette in spalla e torna all’ovile. Per Gesù, uno è uguale a novantanove – e forse di più».

 

 

“Ma tu ci ami?” “Sì, io vi amo!”

 

 Durante il ritiro, il cardinale parlò anche della necessità di amare il prossimo. «Un giorno, in prigione, una guardia mi chiese: “ma tu ci ami?” E io risposi: “Sì, vi amo”. “Ma, scusa, noi ti abbiamo tenuto in prigione per così tanti anni, senza alcun processo, senza alcuna sentenza, e tu ci ami? È impossibile, non ci credo!” Allora gli ricordai: “sono stato con te per così tanti anni che dovresti crederci”. “E quando sarai libero non manderai i tuoi fedeli a bruciare le nostre case, a uccidere i nostri familiari?”. “No! Anche se mi vuoi uccidere, io ti amo”. “Ma perché?”. “Perché Gesù mi ha insegnato ad amare chiunque, anche i miei nemici. Se non lo faccio, non ha più senso che io mi ritenga cristiano”. La guardia rispose: “è molto bello, ma molto difficile da capire”».

 

Il segreto del cardinale Van Thuan fu la sua indomita fede nel Signore, alimentata dalla preghiera e dalla sofferenza, accettata con amore. L’Euca­ri­stia fece della prigione la sua cattedrale. Il Corpo di Cristo era la sua “medicina”. Egli ricordava con grande emozione: «Ogni volta che celebravo la messa, avevo l’opportunità di stendere le mani e di farmi inchiodare alla croce con Gesù, per bere con lui l’amaro calice. Ogni giorno, nel recitare le parole della consacrazione, confermavo con tutto il mio cuore e tutta la mia anima un nuovo patto con Gesù, unendo il suo sangue al mio».

 

Il cardinale Francis-Xavier Nguyen Van Thuan morì il 16 settembre 2002 a Roma, all’età di 74 anni, dopo una battaglia di mesi contro il cancro. Durante l’ultima, lunga malattia, mantenne la serenità, se non anche la sua gioia. Negli ultimi giorni, quando era già impossibilitato a parlare, il suo sguardo rimase rivolto al crocefisso che gli era dinanzi, e pregava in silenzio, mentre si stava consumando il suo supremo sacrificio, che andava a coronare un’esistenza segnata dalla sua eroica immedesimazione con Cristo sulla croce.

 

Nessuno pone in dubbio l’autorità morale che le sue sofferenze gli hanno conferito: «Credete in una sola forza, l’Eucaristia», scrisse dalla prigione. «Tenete caro un solo segreto, la preghiera; un solo alimento, la volontà del Padre. In questo modo – diceva ai suoi lettori – compirete una rivoluzione: rinnovare il mondo».

 

 

1. Il testo di questo articolo è stato scritto dal missionario comboniano delle Filippine, Lorenzo Carraro, e pubblicato sulla rivista “World Mission” nel numero di febbraio 2008.

Lorenzo Carraro

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