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Una professione difficile: giudicare

Non è facile il mestiere del giudice, soprattutto se deve occuparsi dei reati commessi dai minori, che vanno dall'allagamento del Parini alle estorsioni e alla violenza nei confronti dei coetanei, ai gesti di bullismo gratuito. Sui loro comportamenti, in questi giorni si sono sentite mille opinioni: c'è chi ha sottolineato «la cattiveria» dei ragazzi e dei giovani, chi invece le colpe delle famiglie e della televisione, giudizi spesso severi, critiche feroci anche ai buonisti che invocano comprensione e perdono.


Una professione difficile: giudicare

da L'autore

del 18 gennaio 2008

Non è facile il mestiere del giudice, soprattutto se deve occuparsi dei reati commessi dai minori, che vanno dall’allagamento del Parini alle estorsioni e alla violenza nei confronti dei coetanei, ai gesti di bullismo gratuito. Sui loro comportamenti, in questi giorni si sono sentite mille opinioni: c’è chi ha sottolineato «la cattiveria» dei ragazzi e dei giovani, chi invece le colpe delle famiglie e della televisione, giudizi spesso severi, critiche feroci anche ai buonisti che invocano comprensione e perdono.

«Quando un ragazzo ruba una bicicletta, a voi cosa importa di più: la bicicletta o il ragazzo?». Al procuratore Ingrascì del Tribunale dei Minorenni di Milano, credo interessi di più il ragazzo. Lo dice il suo intervento sulle pagine di un giornale nazionale, dove ridà equilibrio a tanto giudicare e condannare.

Di notevole rilievo, l’attenzione ad un dato, che ci impone una seria riflessione: i reati oggi non sono commessi solo da minori in difficoltà per motivi socio-economici ma da chiunque vive, anche se benestante, in «situazioni di abbandono morale da parte di famiglie incapaci di rappresentare un valido riferimento etico ed educativo».

Accanto ai reati commessi da giovani disperati, vittime della povertà, dell’emarginazione e dell’immigrazione, crescono dunque ragazzi e giovani benestanti che, in una «società di adulti che... continua a dimostrare la sua incapacità, se non addirittura una volontaria indifferenza, verso le primarie esigenze dei cittadini minorenni», compiono gesti di immaturità, che li portano a stupide bravate.

«Non è facile – scrive un altro giudice di grande saggezza e umanità, Giuseppe Anzani, – in una società dove le agenzie educative – e diseducative – sono infinite, e il frastuono di messaggi mediatici sovrasta la voce degli educatori, talvolta perfino esaltando come mode correnti e come valori, condotte demenziali».

Sui reati dei minorenni, il procuratore Ingrascì stigmatizza la stampa che, nel caso del Parini, rischiava di danneggiare l’equilibrio psichico dei ragazzi coinvolti, di enfatizzare i loro gesti, di favorire gesti di emulazione. Un caso analogo è accaduto in un cimitero dell’hinterland milanese dove hanno allagato perfino i loculi dei morti. Di chi la colpa? Non sai mai se colpire i giovani o gli adulti che non li hanno seguiti, comunicando loro quelle «norme» e «paletti» che non li lasciano nell’incertezza del pensare e dell’agire.

Se è difficile giudicare al giudice, ancor di più lo è per un credente, invitato «a non giudicare per non essere giudicato ». Se deve giudicare, lo deve fare andando oltre la facciata del giovane che sbaglia, per capire e offrire in ogni caso l’occasione di ricuperare e rifarsi.

 «I nostri ragazzi sono responsabili della loro condotta, – si chiede il giudice Lamy in Cani perduti senza collare – questo sì, ma lo sono anche del loro delitto? Non capite che troppe volte la differenza tra un ragazzo delinquente e uno che non lo è ancora, è segnata solo dall’occasione? E che cosa è l’occasione se non la società, noialtri, noi tutti?».

 

Da: Vittorio Chiari, Un giorno di 5 minuti. Un educatore legge il quotidiano

don Vittorio Chiari

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