Nessuna parola è stata ancora pronunciata dato che la conferenza è prevista per i prossimi giorni. Si pretende di zittire relatori e platea ancora prima che abbiano espresso qualsiasi pensiero. Chi discrimina chi?
Sapere che all’istituto Fàa di Bruno – una scuola paritaria convenzionata di Torino – i genitori si sarebbero incontrati per riflettere "sulla bellezza delle famiglia tradizionale minacciata dall’ideologia del gender" li ha fatti – dicono – «sobbalzare sulla sedia». Michele Curto, capogruppo di Sel in consiglio comunale, e il suo compagno di partito Marco Grimaldi hanno sottoposto al sindaco la richiesta di bloccare il ciclo di conferenze e – addirittura – di «prendere in considerazione la sospensione della convenzione tra il Comune e l’Istituto». Tanto meriterebbe l’iniziativa del Fàa di Bruno, tacciata di «omofobia» ancora prima che sia stata pronunciata una sola parola.
La sicurezza che l’incontro avrà al centro la discriminazione degli omosessuali viene a Curto e Grimaldi dall’aver scorso l’elenco dei relatori: tra loro c’è Chiara Atzori che definiscono «una specialista di malattie infettive, sostenitrice delle terapie riparative, sconfessate da tutta la comunità scientifica».
Ancora più oltre va l’assessore alla Scuola, Maria Grazia Pellegrino che si dice stupita «che genitori che si richiamano alla cultura cattolica prendano una posizione di questo tipo nel momento in cui il Papa ha dichiarato pubblicamente: chi sono io per giudicare gli omosessuali?». Ma, non è inutile ribadirlo, posizioni non ne sono state prese, nessuna parola è stata ancora pronunciata dato che la conferenza è prevista per i prossimi giorni. Si pretende di zittire relatori e platea ancora prima che abbiano espresso qualsiasi pensiero. Chi discrimina chi?
E non è il primo episodio: a fine settembre, decine di contestatori, gran parte appartenenti ad associazioni gay e Lgbt, hanno invaso – non proprio pacificamente – il convegno organizzato dalla diocesi di Casale Monferrato, sempre in Piemonte, dedicato a “Gender-omofobia-transfobia: verso l’abolizione dell’uomo”. «Volevamo parlare di una legge, quella sull’omofobia – spiegò allora don Gigi Cabrino, responsabile diocesano della Pastorale sociale e del lavoro – e questa è la prova che di questa legge qualcuno impedisce di parlare».
Anche sulla bellezza della famiglia tradizionale è meglio soprassedere: Chiara Atzori della contestazione in corso ancora non sapeva nulla. «Sono in montagna», esordisce al telefono. Ma la cosa non la sorprende: alle contestazioni è abituata, «sono il risultato della strategia che appiccica l’etichetta di omofobo a chiunque sostenga che la famiglia è quella naturale. Uomo, donna, vita. Sono queste le tre parole che la definiscono – dice Atzori – altro non c’è. Una visione razionale, non ideologica, ancorata alla realtà. Sotto gli occhi di tutti. Solo chi è in preda al delirio può negare questa evidenza». In preda al delirio o nel pieno esercizio di una discriminazione: come succede a Torino, dove si vede anche quello che non c’è. «Qui non si parla di un dibattito sul matrimonio omosessuale ma della cura degli omosessuali – sostiene Grimaldi – e questa è omofobia travestita da difesa dei valori tradizionali». Ma di curare gli omosessuali ha parlato solo lui: non c’è traccia di questo tema nel volantino della Fàa di Bruno. «La pensano diversamente e legittimamente in modo diverso dal mio. Ma le loro convinzioni non valgono più delle mie, anche io – prosegue Atzori – sono legittimata a esprimerle. Operazioni come questa di Torino sono la prova provata che l’ideologia gender impone il proprio pensiero, vorrebbe imbavagliare chi dissente, chi non si stanca di sostenere che la famiglia è solo quella naturale, con un uomo e una donna all’origine della vita. Basta dirlo per venire duramente attaccati». Come dimostra la cronaca più recente. La scorsa settimana, il 24 ottobre, presso la Provincia di Milano, si è tenuto un convegno dal titolo: “Ideologia del gender: quali ricadute sulla famiglia?”. Dentro, tra i relatori, c’era la Atzori, mentre fuori c’era la Digos a tenere a bada i contestatori.
Tornando alla vicenda torinese, è intervenuta anche la diocesi. Che ha espresso «apprezzamento per la posizione dell’Istituto paritario Faà di Bruno». Soprattutto perché in essa «viene ribadito il riferimento fondamentale alla libertà d’espressione di ognuno, in una società pluralista come quella nostra di oggi». Libertà che riguarda anche il «diritto di parola dei cittadini che si ispirano alla fede e alla cultura cristiana! Un pluralismo autentico – prosegue la nota della diocesi – richiede il rispetto di ogni persona e il dialogo franco e sereno sulle idee, in un contesto dove a nessuno sia consentito di esercitare “censure preventive”».
Proprio per sottolineare la volontà di non alimentare contrapposizioni artificiose e strumentali è da «apprezzarsi anche la decisione dell’Istituto di sospendere l’iniziativa nella specifica modalità individuata dalla “Scuola per genitori”, mantenendo invece ben fermo – conclude la nota – l’impegno a continuare la riflessione e l’approfondimento dell’informazione intorno ai temi della persona, della coppia, della famiglia. Queste realtà sono infatti riferimenti centrali della vita cristiana e la scuola cattolica ha il diritto-dovere di educare ai valori fondamentali di questa visione umana e cristiana secondo la legge naturale illuminata dalla Parola di Dio e dall’insegnamento della Chiesa».
Nicoletta Martinelli
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