Vergine bella che di sol vestita

Vergine bella, che di sol vestita,

Vergine bella che di sol vestita

da Teologo Borèl

del 04 dicembre 2009

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Vergine bella, che di sol vestita,

coronata di stelle, al sommo Sole

piacesti sì, che 'n te Sua luce ascose,

amor mi spinge a dir di te parole:

ma non so 'ncominciar senza tu' aita,

et di Colui ch'amando in te si pose.

Invoco lei che ben sempre rispose,

chi la chiamò con fede:

Vergine, s'a mercede

miseria extrema de l'humane cose

già mai ti volse, al mio prego t'inchina,

soccorri a la mia guerra,

bench'i' sia terra, et tu del ciel regina.

 

Vergine saggia, et del bel numero una

de le beate vergini prudenti,

anzi la prima, et con pi√∫ chiara lampa;

o saldo scudo de l'afflicte genti

contra colpi di Morte et di Fortuna,

sotto 'l qual si trïumpha, non pur scampa;

o refrigerio al cieco ardor ch'avampa

qui fra i mortali sciocchi:

Vergine, que' belli occhi

che vider tristi la spietata stampa

ne' dolci membri del tuo caro figlio,

volgi al mio dubbio stato,

che sconsigliato a te vèn per consiglio.

 

Vergine pura, d'ogni parte intera,

del tuo parto gentil figliola et madre,

ch'allumi questa vita, et l'altra adorni,

per te il tuo figlio, et quel del sommo Padre,

o fenestra del ciel lucente altera,

venne a salvarne in su li extremi giorni;

et fra tutt'i terreni altri soggiorni

sola tu fosti electa,

Vergine benedetta,

che 'l pianto d'Eva in allegrezza torni.

Fammi, ché puoi, de la Sua gratia degno,

senza fine o beata,

già coronata nel superno regno.

 

Vergine santa d'ogni gratia piena,

che per vera et altissima humiltate

salisti al ciel onde miei preghi ascolti,

tu partoristi il fonte di pietate,

et di giustitia il sol, che rasserena

il secol pien d'errori oscuri et folti;

tre dolci et cari nomi ài in te raccolti,

madre, figliuola et sposa:

Vergina glorïosa,

donna del Re che nostri lacci à sciolti

et fatto 'l mondo libero et felice,

ne le cui sante piaghe

prego ch'appaghe il cor, vera beatrice.

 

Vergine sola al mondo senza exempio,

che 'l ciel di tue bellezze innamorasti,

cui né prima fu simil né seconda,

santi penseri, atti pietosi et casti

al vero Dio sacrato et vivo tempio

fecero in tua verginità feconda.

Per te pò la mia vita esser ioconda,

s'a' tuoi preghi, o Maria,

Vergine dolce et pia,

ove 'l fallo abondò, la gratia abonda.

Con le ginocchia de la mente inchine,

prego che sia mia scorta,

et la mia torta via drizzi a buon fine.

 

Vergine chiara et stabile in eterno,

di questo tempestoso mare stella,

d'ogni fedel nocchier fidata guida,

pon' mente in che terribile procella

i' mi ritrovo sol, senza governo,

et ò già da vicin l'ultime strida.

Ma pur in te l'anima mia si fida,

peccatrice, i' no 'l nego,

Vergine; ma ti prego

che 'l tuo nemico del mio mal non rida:

ricorditi che fece il peccar nostro,

prender Dio per scamparne,

humana carne al tuo virginal chiostro.

 

Vergine, quante lagrime ò già sparte,

quante lusinghe et quanti preghi indarno,

pur per mia pena et per mio grave danno!

Da poi ch'i' nacqui in su la riva d'Arno,

cercando or questa et or quel'altra parte,

non è stata mia vita altro ch'affanno.

Mortal bellezza, atti et parole m'ànno

tutta ingombrata l'alma.

 

Vergine sacra et alma,

non tardar, ch'i' son forse a l'ultimo anno.

I dí miei piú correnti che saetta

fra miserie et peccati

sonsen' andati, et sol Morte n'aspetta.

 

Vergine, tale è terra, et posto à in doglia

lo mio cor, che vivendo in pianto il tenne

et de mille miei mali un non sapea:

et per saperlo, pur quel che n'avenne

fôra avenuto, ch'ogni altra sua voglia

era a me morte, et a lei fama rea.

Or tu donna del ciel, tu nostra dea

(se dir lice, e convensi),

Vergine d'alti sensi,

tu vedi il tutto; e quel che non potea

far altri, è nulla a la tua gran vertute,

por fine al mio dolore;

ch'a te honore, et a me fia salute.

 

Vergine, in cui ò tutta mia speranza

che possi et vogli al gran bisogno aitarme,

non mi lasciare in su l'extremo passo.

Non guardar me, ma Chi degnò crearme;

no 'l mio valor, ma l'alta Sua sembianza,

ch'è in me, ti mova a curar d'uom sí basso.

Medusa et l'error mio m'àn fatto un sasso

d'umor vano stillante:

Vergine, tu di sante

lagrime et pïe adempi 'l meo cor lasso,

ch'almen l'ultimo pianto sia devoto,

senza terrestro limo,

come fu 'l primo non d'insania vòto.

 

Vergine humana, et nemica d'orgoglio,

del comune principio amor t'induca:

miserere d'un cor contrito humile.

Che se poca mortal terra caduca

amar con sí mirabil fede soglio,

che devrò far di te, cosa gentile?

Se dal mio stato assai misero et vile

per le tue man' resurgo,

Vergine, i' sacro et purgo

al tuo nome et penseri e 'ngegno et stile,

la lingua e 'l cor, le lagrime e i sospiri.

Scorgimi al miglior guado,

et prendi in grado i cangiati desiri.

 

Il dí s'appressa, et non pòte esser lunge,

sí corre il tempo et vola,

Vergine unica et sola,

e 'l cor or coscïentia or morte punge.

Raccomandami al tuo figliuol, verace

homo et verace Dio,

ch'accolga 'l mïo spirto ultimo in pace.

 

La Madonna presentata da Petrarca, in questa ultima composizione del Canzoniere, diversamente, ad esempio, da quella dantesca (Cfr. Dante: Paradiso XXXIII. Preghiera alla Vergine) appare più Madre che Regina. Quella che il poeta rivolge alla Vergine è sì una lode, ma è una lode dettata dall'affetto filiale e dalla fiducia, che egli ha, di poter ottenere quanto chiede proprio perché Maria rappresenta per lui la figura materna alla quale chiedere aiuto, conforto e sostegno nelle diverse battaglie spirituali che la vita presenta.

 

L'accentuazione della maternità di Maria può essere vista anche dall'attribuzione dei "tre dolci e cari nomi" di "Madre, figliuola e sposa", nomi tutti che riguardano la sfera degli affetti familiari. La stessa conformazione psicologica del Petrarca, d'altra parte, era molto incline all'affettività.

 

L'animo del Poeta era, infatti, profondamente segnato dal desiderio/bisogno di amare ed essere amato. Questa sua intima necessità lo portava a instaurare profondi legami affettivi, sia con i membri della sua famiglia sia con gli amici. Scrive il Wilkins a questo proposito: "Il Petrarca e sua madre furono legati da un affetto profondo… L'amore che Francesco e suo fratello nutrirono l'uno per l'altro superò di intensità il comune affetto fraterno… egli (il Petrarca) parla del genero non solo come del suo erede, ma come di un figlio amato… Mai nessun altro uomo formò e coltivò una più ricca riserva di amicizie… Sempre volle che i suoi amici fossero anche amici tra di loro… Non c'era nulla, all'infuori di una comprovata indegnità, che potesse indurlo a venir meno ad un'amicizia… Il Petrarca era oltremodo lieto quando gli era possibile godere della effettiva compagnia degli amici; ma per mezzo della memoria e dell'immaginazione anche gli amici lontani li sentì sempre accanto a sé."

 

Questa sua propensione ad approfondire e valorizzare, in un certo senso, forse, anche all'eccesso, i legami umani, fu anche all'origine della profonda divisione interiore, che il poeta sempre visse, tra affetti umani e affetti spirituali.

La stessa religiosità del Petrarca presentava, di conseguenza, una certa dicotomia.

 

Sebbene avesse preso i primi gradi degli Ordini Sacri e conoscesse molti monaci (lo stesso Gherardo, il fratello che egli tanto amava, era entrato in un ordine monastico), ciò nonostante, egli visse la religione più come un insieme di norme e regole, la cui osservanza portava all'acquisto della salvezza eterna, che come intima esperienza spirituale.

 

Sotto un certo aspetto, anzi, fu proprio il contatto frequente con la vita monastica, la constatazione in prima persona della felicità e serenità che tale vita portava e la coscienza, maturata in sé, della sua incapacità a staccarsi dagli affetti e dai desideri terreni, che rese, per così dire, più cupo il concetto che il poeta aveva della religione. Quasi a testimonianza di questa sua sofferenza interiore, come in una nota di sconsolata consapevolezza, Petrarca termina la canzone I' vo pensando, scrivendo: "E veggio il meglio et al peggio m'appiglio".

 

Nei confronti della Vergine, però, Petrarca sembra mostrare un'autentica devozione e un sincero affetto.

"Invoco lei che ben sempre rispose, chi la chiamò con fede", dice Petrarca, dimostrando così la sua fede nella materna intercessione della Vergine. È una fiducia piena e totale poiché il poeta sa che "Tutte le cose che abbiamo su questa terra, le abbiamo per grazia; e ugualmente tutte le grazie… prendono origine da tre processi. Innanzitutto vengono da Dio, in secondo luogo ci vengono per mezzo di Gesù Cristo benedetto, e in terzo luogo ci giungono per mezzo della Vergine Maria" ma poiché "non si può acquistare grazia con superbia, la si può ricevere invece con l'umiltà" e "non vi fu nessuno umile come lei (cioè come Maria), le furono date tutte le grazie affinché le distribuisse a suo piacimento" (cfr. S. Bernardino).

 

"Vergine, - implora il poeta, convinto com'è della miserrima condizione nella quale, secondo lui, versa il suo stato interiore - s'a mercede miseria estrema de l'umane cose già mai ti volse, al mio prego t'inchina; soccorri a la mia guerra, ben ch'i' sia terra e tu del ciel regina". È una preghiera accorata, una supplica fiduciosa quella che, fin dall'inizio della sua preghiera, il Petrarca rivolge a Maria.

 

"Vergine bella" esclama il Petrarca. La bellezza della Vergine è una bellezza tutta spirituale, come ben si può riconoscere dagli appellativi ad essa attribuiti. Ella è bella perché "di sol vestita", "saggia" e "de le beate vergini prudenti la prima", "pura", "fenetra del ciel", "santa", "d'ogni grazia piena", "dolce e pia"… tutti attributi che riguardano la sfera spirituale.

 

Inoltre la Madonna è, per Petrarca, "l'anti-Laura", Colei che può far sì che "il pianto d'Eva in allegrezza torni". Laura rappresenta, in tutto il Canzoniere, la donna terrena, simbolo degli attaccamenti mondani e delle debolezze dell'animo del Poeta, il quale, combattuto tra le attrattive della vita del mondo e la tensione verso una vita spirituale, non riesce a sanare questa sua intima lacerazione. Nasce, da tale dissidio interiore, questa preghiera, in forma d'accorata invocazione, alla Vergine, "saldo scudo delle afflitte genti", affinché lo soccorra.

 

"Vergine saggia e del bel numero una de le beate vergini prudenti, anzi la prima e con più chiara lampa" Petrarca include la Vergine tra le Vergini prudenti della Parabola evangelica, ritraendola come la vergine prudente per antonomasia. Si sente qui l'eco di S. Bernardo il quale, parla della Madonna come di"Lampas ardentissima" che "clarius ceteris rutilabat", ma molti sono gli autori, religiosi e laici, che ritrassero la Madonna come "la Vergine Vigilante", colei che, tutta protesa ed immersa in Dio, viveva nella docilità piena alla Sua Parola. Un esempio per tutti può essere un'Omelia di Filerete di Mosca, il quale, parlando dell'assenso di Maria nel momento dell'Annunciazione, giunge a dire: "nel giorno, unico nell'esistenza del mondo, in cui S. Maria proferì il suo umile e obbediente: "Sia" difficilmente oserei dire che cosa avvenne quando la parola della creatura provocò la discesa del Creatore nel mondo…

 

Il suo umile "Sia" era necessario per la realizzazione del potente "Sia" di Dio… Questo potere meraviglioso è la pura e perfetta dedizione di Maria a Dio, il dono della sua volontà, dei suoi pensieri, della totalità del suo essere, di tutte le sue facoltà, di tutte le sue azioni, di tutte le sue speranze e le sue attese."

 

Il Petrarca prosegue: "O saldo scudo delle afflitte genti contr'a' colpi di Morte e di Fortuna, sotto 'l qual si trionfa, non pur scampa; o refrigerio al cieco ardor ch'avvampa". Maria è colei che, unica, non soltanto può condurre alla Salvezza Eterna, ma anche è "Scudo" contro le forze del male e aiuto nei perigli terreni. Tutto ciò deriva, come detto anche sopra, dalla sua totale dedizione a Dio che l'ha chiamata a essere Madre di Gesù e madre nostra. Secondo il Beato Aelredo, anzi, Maria, essendo "Madre di Cristo, è madre della nostra santificazione, madre della nostra redenzione, perciò è per noi più madre della madre nostra secondo la carne.

 

Dunque da lei abbiamo una natività migliore, perché da lei è la nostra santità, la nostra sapienza, la nostra giustizia, la nostra santificazione, la nostra redenzione".

 

"Tre dolci e cari nomi ài in te raccolti, madre, figliuola e sposa". È rimarcato, qui, l'aspetto materno e familiare di Maria. Sorge spontaneo il riferimento al XXXIII del Paradiso dantesco (Vergine Madre, figlia del tuo figlio); ma non è da dimenticare che, un collegamento letterario, può essere fatto anche, ad esempio, con la composizione poetica di Guittone d'Arezzo: "O voi, di Dio figlia, madre e sposa", tanto più che, il testo, così prosegue: "d'angeli tutti e d'omini reina, i' non mertai mai già tanto gran cosa, ma solo fu vostra pietanza fina", parole, queste, che ben si accordano con gli stati d'animo che il Petrarca mostra di vivere nella sua Canzone alla Vergine.

 

Tutta la Canzone alla Vergine, come tutto il Canzoniere e, in genere, tutte le opere petrarchesche, sono intrise di varie reminiscenze letterarie, citazioni di autori che il poeta ha letto e, quindi, di infiniti, possibili, parallelismi culturali. Di questo il poeta era ben cosciente dato che egli stesso scrive: "Io son uno a cui piace seguire il sentiero degli antichi, ma non sempre le orme altrui; che vuol servirsi talvolta, quando si presenta l'occasione, degli scritti degli altri, ma non per effetto di furto, bensì di preghiera,… che si compiace della somiglianza, non dell'identità, e anche la stessa somiglianza vuole che non sia eccessiva, ma tale che vi splenda la luce, non la cecità e la povertà di un ingegno seguace; che preferirebbe mancar di guida piuttosto che seguir questa guida pedissequamente… Io voglio porre il mio piede dove mi talenta e talvolta oltre e tentare vie inesplorate".

 

È però inequivocabile che, come ben commenta il Bosco, "in questa solenne ed eloquente dichiarazione, il concetto di originalità è per lui strettamente connesso con quello del necessario riattaccarsi alla tradizione letteraria: originalità è imitazione: sol che questa non deve essere furto ma emulazione".

 

Le frequenti citazioni e/o derivazioni letterarie presenti nelle opere petrarchesche, non sono però sterile nozionismo o arido sfoggio di erudizione; esse nascono invece dalla gioia della conquista, letteraria e spirituale insieme, che il poeta sente in sé e che desidera comunicare agli altri.

 

"Queste cose che ho dette - dichiara Petrarca - io le ho tolte in prestito qua e là da Agostino e molte altre taccio perché la maggior parte, quasi, del mio lavoro non sia d'altri: sebbene, ciò che è stato acquisito con lungo studio e molta spesa di tempo non dovrebbe sembrare di altri" giacché "tutto quello che abbiamo imparato, da qualunque fonte, è nostro".

 

Petrarca faceva, infatti, propri tutti testi che leggeva ed essi entravano a far parte della profondità del suo animo ad un punto tale che, come scrive il Bosco: "Il Petrarca non solo "dice" in un certo modo perché così avevano detto gli antichi, ma anche "sente" in una certa maniera perché così gli antichi avevano sentito. Quel che scrive non si riveste di cultura ma nasce di cultura: la letteratura… è il tramite necessario attraverso il quale l'esperienza si tramuta in pensiero e in sentimento. È per questo che egli può dire, come abbiam visto, che ci sono passi di scrittori antichi che gli si presentano sotto la penna come suoi, anzi addirittura come nuovi, cioè come pensati da lui nel momento dello scrivere".

 

Ne è un eloquente esempio il famoso necrologio di Laura, che il poeta scrive, sul suo codice di Virgilio, solo per sé stesso. In esso appaiono, inaspettatamente per una scrittura così intima e personale, i nomi di Seneca e del suo Africano. Sebbene Laura sia sepolta ad Avignone il Poeta annota: "ma la sua anima come dell'Africano dice Seneca, son persuaso che è tornata al cielo donde era venuta". Segno, appunto, che Petrarca sentiva come sue le opere che componevano il suo patrimonio culturale fino a giungere a "vivere", oltre che esprimere, attraverso di esse, i suoi stessi moti interiori.

 

"Vergine, ma ti prego Che 'l tuo nemico del mio mal non rida." Petrarca invoca la pace e, a questo proposito, chiede l'aiuto della Vergine affinché non solo gli conceda la sospirata cessazione della sua dura lotta interiore, ma gli sia anche soccorso contro ogni attacco del demonio. Delicato quanto convincente è l'accenno, quasi pudico, che il Petrarca fa al Mistero dell'Incarnazione: "Ricorditi che fece il peccar nostro prender Dio, per scamparne, umana carne al tuo virginal chiostro". In questo modo, il poeta, tocca le corde del cuore materno di Maria e, facendo perno su questo, ne sollecita, con maggior fiducia, l'intervento e l'aiuto.

 

Il Petrarca, in un certo senso, possiamo dire che sembri far proprie le parole del testo del Teostericto (seppure si può essere certi che non lo conoscesse) il quale dice: "Oppresso da molte tentazioni, mi rifugio presso di te cercando salvezza. O madre del Verbo e Vergine, salvami dalle sventure e dai pericoli. Mi turbano gli assalti delle passioni colmando di sconforto l'anima mia; dammi pace, o Vergine tutta-pura, la pace del Figlio tuo". Ciò testimonia come, sempre, nell'arco dei secoli, un profondo legame di filiale affetto e devozione ha unito gli uomini alla Madre di Dio.

 

"Quante lacrime", constata poi il Petrarca. Si ha qui l'estrema confessione del Poeta. È questa la profonda motivazione che spinge il poeta a chiedere l'intercessione della Vergine. A nulla sono valsi gli sforzi umani poiché, come egli stesso riconosce, era la sua stessa volontà ad essere debole ed incapace di affrontare vittoriosamente la guerra che si agitava nel suo animo. Solo la Madonna, dunque, riconosce il Petrarca, con la sua valida e potente mediazione, può ottenergli, da Dio, la guarigione interiore.

 

È questo anche il vero tema del Canzoniere. Esso appare, a prima vista, come la narrazione di una storia d'amore, un affetto contrastato ed osteggiato ma che, mai, il poeta riesce a vincere. In realtà, la tematica, presentata nell'opera è molto più vasta e profonda: è tutto l'animo del poeta che si riversa in quei 366 sonetti: sono le ansie, le preoccupazioni, le lotte interiori e le aspirazioni spirituali del suo animo che scorrono e rivelano così il poeta in tutta la sua umanità, seppure sotto il velo della veste poetica.

 

Anche il Sapegno rimarca questa necessità profonda, che il Petrarca ha, di assimilare i diversi testi classici fino a farli diventare parte del suo intimo vissuto per poter così giungere ad esprimere, attraverso di essi, la sua coscienza più profonda: "la confessione, - dice il noto critico letterario - pur insistente ed estesa e approfondita fino allo spasimo vien fuori ancora tutta chiusa e corazzata, avvolta in un velo di classica dignità. Proprio dove tocca i punti più amari, le piaghe più dolorose della sua vita, il Petrarca ha bisogno più che mai del sostegno di una tradizione… che valga ad esaltare la sua sofferenza e a conferirle una funzione simbolica… Di qui l'illusione tenace, ma sempre vana, di poter alfine evadere dalla sua solitudine e raggiungere una concezione unitaria della realtà; di qui soprattutto l'esigenza insopprimibile di una trama letteraria, di un diaframma culturale, attraverso il quale soltanto l'esperienza umana può riconoscersi e trasfigurarsi in poesia".

 

Quello espresso dal Petrarca è, come dice A.S. Bernardo: "il dramma intellettuale di un umanista in cerca di una giustificazione morale per un amore proibito da ragioni spirituali". I sonetti del canzoniere sarebbero, dunque il tentativo di dimostrare che la gloria terrena (simboleggiata dal Monte Parnaso) e la Salvezza e la relativa gloria celeste (simboleggiata dal Monte Calvario), non sono necessariamente in antitesi. L'amore espresso dal Poeta è indubbiamente un amore diretto verso il bene, ma, come ammonisce S. Agostino nel Secretum, l'errore dell'autore è quello di anteporre la creatura al Creatore. Di conseguenza, - conclude Bernardo - "la corona di alloro (cioè l'amore per i beni terreni) e quella di spine (l'amore per Dio) restano inconciliabili finché il poeta non smette di riguardare le cose all'inverso".

 

"Vergine… tu vedi il tutto, e quel che non potea far altri". Diversamente da Laura, che non si era accorta di alcuno dei travagli del Poeta, la Madonna, è colei che non solo vede ma anche può intervenire. Per questo, a Lei il poeta si rivolge e, con fiducia, dice "è nulla a la tua gran vertute, por fine al mio dolore, ch'a te onore ed a me fia salute".

 

La motivazione della richiesta è esplicitata, dal Petrarca stesso, nella strofa successiva: "Medusa e l'error mio m'àn fatto un sasso d'umor vano stillante". Laura, la quale non viene mai esplicitamente nominata, è qui paragonata a Medusa, la bellissima donna che, secondo la mitologia classica, pietrificava chiunque la guardasse. Ciò testimonia come, nella poetica petrarchesca, Laura, la donna terrena, non assume mai la funzione beatificante della donna angelicata tipica della lirica stilnovistica. Si sentono qui gli echi dell'Inferno, nonché delle Rime petrose, di Dante. Si ha, in queste espressioni, da parte del Petrarca, una vera e propria "demonizzazione" dell'amore umano. Per il poeta l'amore per Laura è sinonimo di peccato, sempre e comunque.

 

"Vergine, - supplica allora il poeta - tu di sante lagrime e pie adempi 'l meo cor lasso". Dette lacrime, "sante e pie", si oppongono alle molte e sterili lacrime che il poeta riconosce di aver versato indarno, e "pur per… pena e per… grave danno!" L'aspirazione del Poeta è dunque "ch'almen l'ultimo pianto sia devoto, senza terrestro limo come tu 'l primo non d'insania voto".

 

Questo mutamento, però, conclude il poeta, sarà possibile solo con l'intervento della Grazia e il soccorso della Vergine alla quale egli rivolge l'estrema supplica dicendo: "raccomandami al tuo Figliuol, verace omo e verace Dio, ch'accolga 'l mio spirto ultimo in pace".

 

Petrarca, sr Maria Gloria Riva, sr Maristella Peraboni

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