La morte è l'ultimo traguardo dell'uomo? Spente le candele del rito funebre o arrotolate le bandiere del funerale laico, calato il sipario sul sepolcro, resta qualcosa? O è tutto finito? Ci attende solo più il freddo del Nulla?Bisogna dare una risposta a queste domande, almeno per aver un motivo per vivere.
del 01 gennaio 2002
Il problema dell’aldilà si è posto drammaticamente per tutte le culture, dalle più antiche fino ad oggi. Che cosa sono le Piramidi se non una pallida sfida alla morte? Nelle culture orientali, induista e buddhista, si scantona nella reincarnazione. E nella nostra cultura iper-tecnologica, c’è chi si fa surgelare per essere poi richiamato in vita quando la scienza garantirà ulteriori scampoli d’esistenza.
È significativa una recente ricerca sociologica sulla religione in Italia, condotta dai professori Garelli, Guizzardi e Pace, pubblicata dalla Casa editrice Il Mulino. Interrogati sull’aldilà, il 40% ha risposto che “qualcosa c’è, ma non so cosa”, mentre il 16,80% è sicuro che la morte è la fine di tutto. Ma alla domanda: “Credi nella risurrezione del corpo”, solo un risicatissimo 0,37% risponde di sì. Eppure quanti italiani, nel professare il Credo alla Messa affermano: “Credo nella risurrezione della carne, nella vita eterna. Amen”.
A Massimo Cacciari, un giornalista ha rivolto una domanda: «Lei che ne pensa di questi dati?». Risponde Cacciari: «Sono dati che devono far riflettere. Capisco che oggi un cattolico non possa pensare all’inferno con le fiamme. Ma quanti credono nella risurrezione, quintessenza della buona novella? Saranno meno dell’1%. Questo vuol dire derubricare il cristianesimo a religione del cuore. C’è una vaga adesione al messaggio cristiano, ma l’atto di fede nella sua drammatica concretezza è ormai illanguidito. Ciò è successo per l’affermazione dei valori tecnici e scientifici. La Chiesa ha creduto di doversi innovare, adattare. Dovrebbe tornare alle radici, invece. Leggere la Bibbia e il Vangelo, annunciare il Verbo senza commento. Ha voluto conquistare il mondo. E invece, dovrebbe esser pronta a ritirarsi nel deserto» (Corriere della Sera, 10 ottobre 2003).
Il tema della risurrezione dei morti è centrale nel cristianesimo. Eliminarlo è tradire la promessa di Cristo. Già la prima comunità cristiana se lo poneva in termini sofferti, tanto che lo stesso Paolo intervenne di autorità presso la comunità di Corinto: «Noi predichiamo che Cristo è risuscitato dai morti. Allora, come mai alcuni di voi dicono che non c’è risurrezione dei morti? Ma se non c’è risurrezione dai morti, neppure Cristo è risuscitato, e la nostra predicazione è senza fondamento e la vostra fede è senza valore, è un’illusione. Anzi, finiamo per essere falsi testimoni di Dio» (Lettera ai Corinzi, 15, 13-17). Sulla risurrezione di Cristo e dei morti si gioca il cristianesimo, soprattutto oggi, nella cultura occidentale.
Vita eterna: l’identità ultima dell’uomo
Presentiamo rapidamente alcuni nuclei della riflessioni teologica contemporanea. Le componenti della vita eterna sono le sesse che costituiscono l’identità ultima dell’uomo. Comportano cioè:
- La comunione di amore con Dio per Cristo nello Spirito Santo;
- L’unità con gli uomini e il mondo;
- L’autenticità dell’essere umano.
Anzitutto la comunione di amore più profonda con la Trinità. Se la Trinità è l’Amore fontale di ogni amore, la vita eterna dell’uomo è entrare ed essere accolto con festa grande nel vortice incandescente di questo Amore. La risurrezione dei morti non è ridare vita a un cadavere, è la glorificazione dell’uomo perché è partecipazione alla risurrezione-glorificazione-esaltazione di Cristo, poiché l’unico vero accesso alla comprensione della risurrezione dei morti è aperto dalla risurrezione di Gesù.
L’unità con gli uomini e il mondo: se l’amore è “sinfonico”, come afferma Urs von Balthasar, la vita eterna non può essere che la stupenda sinfonia dell’umanità salvata, nella varietà infinita delle razze, delle situazioni storiche, delle scelte fatte dagli uomini di tutti i tempi e di tutte le culture. L’aspirazione all’unità è vivissima nell’uomo, oggi soprattutto, in cui vediamo l’assurdità di vecchie barriere. E i giovani lo sentono profondamente. La vita eterna è la celebrazione di questa unità degli uomini, ed è pure celebrazione dell’unità dell’uomo col mondo. «Se l’uomo non può essere senza il mondo, e se il mondo è dinamicamente polarizzato verso l’uomo, è chiaro che l’esaltazione dell’uno si deve ripercuotere in quella dell’altro» J. L. Ruiz de la Peña).
L’autenticità dell’essere umano: grazie a questa rete di rapporti con la trinità, con l’umanità e il mondo, l’uomo glorificato raggiunge la pienezza della sua umanità e della sua identità, diventa pienamente nuova creatura. Ernest Bloch, l’ebreo marxista inviso sia ai marxisti che agli ebrei, scriveva nel suo volume sul cristianesimo e l’ateismo, la frase di Sant’Agostino: Septimo dies nos ipsi erimus, nel settimo giorno noi saremo noi stessi. Per lui, il settimo giorno era quello della rivoluzione marxista che avrebbe creato l’homo novus marxista, per Agostino e per noi è quello della esaltazione e glorificazione dell’uomo risorto in Cristo. Sant’Ignazio di Antiochia, martirizzato nel 107, scrive ai Romani di non intercedere per la sua vita: «lasciate che io raggiunga la piena luce: là sarò veramente uomo».
E qui si pone un interrogativo: ci sarà ancora, nella vita eterna, la distinzione tra maschio e femmina? O saremo tutti angeli osannanti?
«La distinzione tra uomo e donna passa oltre i confini della morte, ma non come sessualità, che è diventata superflua. Cristo risorto rimane un uomo, Maria una donna. Rimane una forma di fecondità superumana, che partecipa della fecondità divina» (Urs von Balthasar).
Dio non fa piazza pulita del nostro mondo. Non butta tutto nel cassonetto per ricominciare daccapo. Tutti i rapporti umani più belli e fecondi saranno conservati e potenziati: le madri e i padri saranno sempre tali per i loro figli, i vicoli di amicizia non andranno perduti, i sentimenti più belli di amore esaltati, i valori più alti di libertà e giustizia potenziati. Tutto ciò che le culture e lo sforzo umano han fatto nel corso dei millenni non andrà distrutto, ma sarà assunto per la felicità e l’autenticità umana della nostra vita eterna.
«Risurrezione della carne significa che niente va perduto per Dio, perché egli ama l’uomo. Tutte le lacrime le ha raccolte e nessun sorriso gli è sfuggito. Risurrezione della carne significa che in Dio l’uomo ritroverà non soltanto il suo ultimo istante, ma tutta la usa storia» (Wilhem Breuning).
«Diecimila anni? Che noia!»
C’è un’obiezione che sovente si sente. Ma questa eternità passata a ‘cantare le lodi di Dio’, ad ‘agitare le palme della vittoria’, non finirà per annoiarci? Un sospetto avanzato da intellettuali doc, da Gide a Simone de Beauvoir a Motherlant, ecc., Frossard risponde: «Cartesio temeva effettivamente di annoiarsi a contemplare Dio per diecimila anni. Non ha mai avuto l’idea chiara e distinta che Dio potrebbe annoiarsi molto prima a contemplare Cartesio?». E con un filo di ironia, C.S. Lewis nota: «Non c’è bisogno di ridicolizzare la speranze del cielo dicendo che non vogliono passare l’eternità a suonare l’arpa, perché tutte le immagini scritturali (arpa, corone, oro) sono un tentativo puramente simbolico di esprimere l’inesprimibile. Chi prende questi simboli alla lettere potrebbe allo stesso modo credere che quando Cristo ci disse di essere come colombe, intendesse che avremmo dovuto anche deporre le uova».
La visione beatifica non consiste in un possesso immobile, rattrappito, bensì in un processo di scoperta sempre nuova fondato sulla inesauribilità divina. Ciò comporta l’instaurazione di una vitalità senza limiti con un senso sconfinatamente dinamico, modellato su quell’infinito turbine di vita e di novità che è la Trinità. «Il paradiso è soprattutto un’avventura, un’avventura di gioia che consiste nella esplorazione di Dio» (F. M. Moro). È un immergersi senza fine nelle inesauribili ricchezze del mistero di Dio.
Carlo Fiore
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