"Penso dunque sono", esisto, ho una vita con dei contorni che sta a me definire. Oggi a questa antica locuzione se ne sta sovrapponendo un'altra: “Social, dunque sono”. Esisto perché me lo testimonia la rete di amicizie del social network a cui appartengo.
“Cogito ergo sum” affermava Cartesio, e con lui tutti gli studenti di filosofia dei licei. Penso dunque sono, esisto, ho una vita con dei contorni che sta a me definire. Oggi a questa antica locuzione se ne sta sovrapponendo un’altra: “Social, dunque sono”. Esisto perché me lo testimonia la rete di amicizie del social network a cui appartengo (il che significa, nella stramaggioranza dei casi, in Italia, Facebook). Cambiamento non da poco, che interroga e stimola.
In principio è la convergenza
Da diversi anni i produttori ICT, cioè di Information and Communication Technology, stanno puntando alla convergenza. Di cosa si tratta? Di un modo di concepire la tecnologia come uno strumento in grado di far lavorare, comunicare, collaborare, il tutto attraverso un solo device. I termini sono inglesi, ma il significato è italiano: dati, telefonia, web, oggi tutto può essere ristretto e riassunto e reso fruibile attraverso un solo smartphone. Spiegare il concetto ai nativi digitali (ossia a chi è adolescente adesso) è praticamente impossibile, perché sarebbe come raccontare loro che l’acqua è trasparente: già lo sanno. Chi invece non è nativo digitale, anche se ha una buona conoscenza della tecnologia e di ciò che vi ruota attorno, ha sicuramente intuito che qualcosa è cambiato, negli ultimi tempi. Mentre prima il computer stava a casa, il telefono in tasca e gli amici per la via del corso, oggi il computer è in tasca, insieme agli amici con cui si dialoga via web, tutto nel telefono. La convergenza auspicata dai produttori di reti e telefonia eccola qua.
Tipicamente l’uomo ha una capacità di adattamento ai cambiamenti intelligenti che è notevole: magari si fatica a cambiare marca di dentifricio, ma state sicuri che adattarsi all’uso di uno smartphone è stato un peso leggero, quasi impercettibile. Subdolamente, spinti da campagne di marketing efficaci, i produttori di telefoni e di software hanno generato nei consumatori, specie in quelli giovani e con una media capacità di spesa, il desiderio-necessità di possedere lo smartphone, il tablet, il netbook. Grazie a soluzioni software facilmente usabili, graficamente accattivanti, l’uso della posta elettronica e dei sistemi di messaggistica istantanea si è fatto frequente, al punto di diventare indispensabile. E da indurre la necessità di essere sempre connessi.
La tecnologia chiama, l’uomo risponde
Predisposto alla socialità, all’interazione con i suoi simili, l’uomo ultramoderno si ritrova, nel 2012, a gestire la propria vita con un solo device. Attraverso il web e il telefono si chiama, si parla, si scrive, si gestisce l’agenda, si controlla l’andamento della Borsa, si fissano gli appuntamenti con gli amici e si prenota la pizzeria. Ma non solo: ci si sente parte del mondo nella sua globalità, quasi da riuscirne a intravedere l’orizzonte che si allunga sempre più in là: merito, questo, dei social network, rete infinita di relazioni vere e fittizie. La frequentazione assidua dei social network ha trasformato, in pochissimo tempo, il nostro modo di fare, pensare, agire. Abbiamo acquisito una terminologia e un modo di “stare nella vita” diverso, nuovo. Giusto? Difficile dirlo, ogni nuova esperienza ha lati positivi e negativi. Tenuti al riparo i giovanissimi dallo strumento (vietato a chi ha meno di 13 anni), i ventenni (ma anche i loro genitori, pur se in misura minore) sono ormai intrisi di socialità virtuale. La tecnologia ha chiamato, l’uomo ha risposto. Accettando di cambiare, anche se inconsciamente. In sostanza… si è trovato diverso.
Vivere di socialità virtuale
Su FB – frequentato in Italia da 20,9 milioni di utenti – si passa la giornata. Davvero “social ergo sum”, dalla mattina alla sera. Un esempio? Sulla propria pagina le persone aggiornano lo “stato”, inserendo ogni giorno il fatto appena accaduto, il pensiero, come se fosse un diario a cielo aperto. “Postano” le foto dell’ultima vacanza, “taggando” gli amici che erano presenti. Confermano che quanto gli altri fanno “piace” o “non piace”. Visto da lontano è un continuo muoversi di milioni di ragnetti intenti a tesse sottili tele che vanno a cercare altrettanti ragni. Anche se ciascuno, alla fine, resta al suo posto.
L’attività su FB è molto intensa. Una parte della vita “reale” passa da lì, al punto che nei discorsi sui mezzi o per strada si sente dire: “Ho letto su FB che questa persona ha fatto questa cosa”… come se si trattasse di un quotidiano sempre aggiornato e aperto alla visione del pubblico eterogeneo.
Il desiderio di rendere partecipi gli altri di quanto si sta facendo è ingaggiante, e cresce a mano a mano che il social network si insinua nelle pieghe della vita di ciascuno. Il rischio? È che le persone non considerino più “di valore” le esperienze che non riescono a far transitare per FB.
Le “pieghe” della verità distorcibile
I social network sono una piazza libera, la punta estrema della libertà dell’individuo? Sì, e no. Prima di tutto esistono, anche negli spazi virtuali, regole di educazione, privacy e attenzione che non devono essere ignorate. Molti se lo dimenticano, ma inserire i propri dati personali sul web (indirizzo, foto, numero di telefono) non è consigliato, perché le informazioni finiscono alla mercè di tutti, anche dei malintenzionati. Fatta questa premessa, la presenza sul social network dovrebbe essere sempre “elegante” e rispettosa, della propria vita e di quella degli altri. I ragazzi giovani tendono a ignorare questi consigli. Se questo rispecchia il desiderio di autonomia degli adolescenti, altro discorso deve essere fatto dai ragazzi che si avviano all’età adulta. I social network sono a disposizione di tutti? Perfetto, significa che tutti verranno a vedere il tuo profilo. Anche i “cacciatori di teste” alla ricerca di neolaureati brillanti da inserire in azienda, anche i direttori del personale con i quali hai appena preso appuntamento. Ah, accidenti, allora è vero che non esiste, sul pianeta, un posto realmente libero… no. E se esiste, non è di certo il social network.
Vivere solo di e su un social network è difficilissimo e limitante. Nessuna persona riesce, in una sola home page, a costringere vita privata, personale, passioni, hobby. È vero che i social network consentono di “spiattellare” tutti questi aspetti. Ma una volta che sono stati messi nero su bianco e resi disponibili a una visione urbi et orbi, a chi giova?
Nessuno oggi crede che gli amici sul social network siano quelli della vita vera. Allora perché dare a questo strumento tanta importanza? Perché, lo diceva già Leopardi, alle persone piace “mirare ed essere mirate”, perché in fondo le reti social soddisfano il nostro desiderio di diventare protagonisti del quotidiano, nostro e se possibile anche di quello degli altri. Lasciare scritto e per immagini ciò che siamo e facciamo ci dà sicurezza. Ci fa sentire pari in mezzo ai pari. Dà coraggio a chi è più timido. Afferma la grinta di chi già è grintoso. Aiuta i più creativi a mostrare la loro originalità, gli appassionati a condividere il loro hobby, e così via. Una sorta di grande piazza del mercato virtuale, insomma, nella quale ogni utente ha la propria bancarella.
Aveva ragione Cartesio
In realtà, a ben vedere, i social network non sono nulla. Sono spazi virtuali completamente senza valore. Sono gli utenti a dare forma e sostanza a queste reti di relazioni. Quindi è sempre l’uomo a plasmare i contorni della sua comunicazione. Nel secolo scorso è stato il telefono, due secoli fa la penna d’oca. Oggi è il web, ma domani saranno le reti neurali che non avranno bisogno nemmeno di un supporto tecnologico. In questo meraviglioso divenire, l’uomo si fa sì plasmare dalle sue invenzioni, ma alla fine vince su ogni “moda”. Per quale motivo? Perché il suo desiderio di sapere e innovare non si ferma mai. In sostanza: vi trovate a vostro agio tra le pieghe di FB? Ottimo, allora è venuto il momento di cambiare, di guardare avanti. Anche se non lo sappiamo, siamo tutti “nativamente” innovatori, altro che… Pensiamo. Dunque siamo. Ed evolviamo.
Elena Giordano
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