Vivere a Betlemme

Betlemme: cisterne, muro, coraggio e santi in terra. Parole assai meno natalizie, ma certamente più vicine alla realtà e forse al Natale.

Vivere a Betlemme

 

Associazioni di idee. Fulminee. A un’immagine mentale ne fa eco una seconda, poi una terza, in una rincorsa tra le più nascoste e sfuggenti vie del pensiero e della memoria. Betlemme: stella cometa, presepe, pastori, Gesù Bambino, magi. Ecco la catena, alquanto natalizia direi, che fino a qualche tempo fa la parola “Betlemme” faceva risuonare in me. Betlemme: cisterne, muro, coraggio e santi in terra. Queste le immagini rievocate oggi, dallo stesso nome.

 

 

Nel mezzo c’è un viaggio, quello in Terrasanta, vissuto con un gruppo di giovani della Diocesi di Milano guidato da uno spirito di preghiera, comunità e carità. Ad accompagnarci Elena, Maria Vittoria e Roberta (della comunità religiosa delle Sorelle del Signore) insieme ad Don Marco Cianci (responsabile della pastorale universitaria di Bicocca e Iulm). Un viaggio che per dieci giorni ci ha portato ad abitare Bethlehem, cittadina a soli sei chilometri da Gerusalemme ma in pieno territorio palestinese. Betlemme: cisterne, muro, coraggio e santi in terra. Parole assai meno natalizie, ma certamente più vicine alla realtà e forse al Natale.

 

 

 

Bethlehem, una scoperta

 

 

A vivere tra la gente betlemmita si scopre innanzitutto che a Betlemme fa fresco, che la sera tira il vento e che dai tetti, se è limpido, si intravedono le alture della Giordania. Si scopre che il muezzin richiama alla preghiera numerose volte sia di giorno che di notte. Che insieme a Bet-Jala e Bet-Sahur Bethlehem costituisce il “triangolo cristiano”: nei tre abitati la densità di popolazione cristiana è la più alta della Terrasanta, dove complessivamente i cristiani rappresentano l’un per cento della popolazione. Si scopre anche che d’inverno a Betlemme nevica come in Trentino e che quelle casette innevate che riempiono i presepi non sono poi così fuori luogo come si credeva. Si scopre anche che durante il ramadan i cristiani stanno attenti a non mangiare per strada, per rispetto dei musulmani a digiuno durante il giorno. Che vuol dire “grazie” e che i dolci alla marmellata di dattero sono una prelibatezza. Si potrebbero riempire pagine, ma le parole che bruciano rimangono le stesse: cisterne, muro, coraggio e santi in terra.

 

 

 

Cisterne

 

 

È il primo particolare che spicca, osservando i tetti delle case palestinesi. Enormi container per la raccolta d’acqua (neri e cilindrici alcuni, squadrati e metallici altri) spezzano la vista pietrosa della città, decorando le sommità degli edifici come enormi pezzi di qualche strano gioco di costruzioni. Ma non è un gioco l’acqua, piuttosto un diritto. Non così scontato nei territori palestinesi dove è Israele a decidere quando e con quale frequenza aprire i rubinetti. Così può accadere di rimanere settimane senz’acqua, come accade a Betelemme. Da qui l’esigenza di metterla da parte e l’imperativo di non sprecarla. Ci si lava in fretta e si presta attenzione a come usarla: ogni goccia è preziosa.

 

 

 

Muro

 

 

Se ne può aver sentito parlare, letto e riflettuto, ma quando ci si trova sotto una muraglia di nove metri di cemento armato non si è comunque pronti all’impatto. Mozza il respiro la più arcigna tra le forme che il muro può assumere (per molti tratti dei suoi oltre settecento chilometri è strada militare pattugliata o rete metallica munita di sensori e filo spinato). I disegni, le scritte di pace che lo riempiono gridano ad un abuso di potere che si arroga il diritto di definire chi sia dentro e chi fuori, chi possa passare e chi no, dove si possa andare e dove sia vietato.

 

 

Betlemme è circondata dal muro. In alcuni quartieri esso è penetrato addirittura nel centro abitato, snodandosi come un serpente, per inglobare in territorio israeliano un luogo caro alle religioni ebraica, cristiana e musulmana: la tomba di Rachele. Così facendo le curve di cemento sono passate sopra a quella che un tempo era l’arteria principale per Gerusalemme bloccando, non solo il transito, ma anche qualsiasi forma di commercio e di attività legata a tale importate snodo.

 

 

Un albero di Natale circondato dal muro: uno dei tanti che decorano la grigia superficie di questa cinta riassume così il dramma di Betlemme, città della natività, intrappolata tra barriere di cemento e barriere mentali.

 

 

Quello dei cristiani palestinesi, che alla domanda: “Perché non te ne vai?” rispondono: “Perché questa è la mia terra, qui sono stato chiamato a vivere e qui voglio rendere concreta la mia vocazione e la mia fede”. Parole che pesano come massi se dette da chi all’apparenza ci somiglia molto, ma nella sostanza vive una radicalità al Vangelo che provoca: “Dio mi ha fatto il dono della fede e credo che io debba spenderlo per vivere questa realtà con speranza, affrontando da cristiano le grandi sfide che il mio paese pone”. Pensieri non facili per quanti hanno dovuto rinunciare al sogno di diventare medici perché sprovvisti dei permessi per raggiungere l’università di Gerusalemme o per i padri di famiglia legati alla terra e al contempo dilaniati di preoccupazioni per il futuro dei propri figli.

 

 

 

Santi in terra

 

 

Operano nel silenzio e nel nascondimento. Éliane, Delle Piccole Sorelle di Gesù che si ispirano a Charles de Foucauld, vive nel quartiere arabo la quotidiana e concretissima missione di far dialogare cristianità ed islam. Di giorno si occupa di una bottega di souvenir nel centro di Betlemme. Il minuscolo laboratorio, dove da oltre quarant’anni Éliane crea con la terracotta piccole statue di Gesù e della Sacra Famiglia, è luogo di incontro per il vicinato: donne arabe e cristiane si intrattengono per condividere, tra una tazza di tè e qualche dolcetto, pensieri, preoccupazioni, sorrisi e risate.

 

 

Suor Lucia, donna veneta di gran cuore, è infermiera al Caritas Baby Hospital. Si tratta di una struttura ospedaliera all’avanguardia specializzata in cure pediatriche. Suor Lucia accoglie tanti bimbi palestinesi vittime non solo della malattia, ma di una società intricata e dolorante. Con impegno e tanta preghiera si mette a servizio dei piccoli pazienti, molti dei quali soffrono di malattie congenite. Si tratta di mali in drastico aumento dovuti alle unioni tra consanguinei che il muro, divisore non solo di terre ma anche di clan e di villaggi, ha indotto: separati dalle comunità di riferimento ci si sposa tra cugini.

 

 

Le Suore Argentine abitano insieme ad una chiassoso e tenero gruppetto di bambini disabili. Piccoli betlemmiti trascurati, se non addirittura abbandonati, a causa delle loro fragilità fisiche e mentali. La comunità raccoglie consorelle di varia provenienza ma in casa si parla l’arabo. Ai bimbi sono offerte cure, assistenza medica e sedute con specialisti. Non solo. La vita delle Suore è spesa insieme ai bambini, facendosi in tutto madri, padri e sorelle di chi altrimenti sarebbe solo.

 

 

Piccola sorella Éliane, Suor Lucia, le Suore Argentine sono solo alcune delle molte invisibili persone che senza far rumore rispondono alla logica del muro con quella dell’incontro e del dono.

 

 

 

Il mio nuovo presepe

 

 

A Betlemme si vendono i presepi con il muro: Gesù Bambino è celato alla vista di re magi e di pastori da una piccola muraglia… È un simbolo azzeccato per la Betlemme-cisterne-muro-coraggio-santi-in-terra che ho incontrato.

 

 

Betlemme, dove Dio si è incarnato nel più indifeso degli indifesi: un neonato partorito in una grotta. Luogo degli indifesi ancora oggi, degli indifesi e degli ultimi. E se le cisterne e il muro a questo mi richiamano, all’oppressione e alla prepotenza, il coraggio e i santi in terra mi insegnano la forza abbondante di Dio, di quel Dio fatto bambino che nella debolezza mostra la forza del suo amore. Chi ama si dona. Come chi rimane in una terra martoriata perché è la sua, come chi aiuta gli altri mettendo a servizio l’intera sua vita o chi cuce rapporti e relazioni nelle divisioni.

 

 

Nei presepi di legno il muro occulta la vista di Gesù Bambino. Eppure c’è uno spiraglio: da quella fessura pastori e magi possono passare. Voglio pensare che la fede forte e concreta di tante persone incontrate a Betlemme sia quello spiraglio, strada stretta ma unica credibile per creare un domani di pace.

 

 

Elena Surdi

http://www.universi-mi.it

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