Un incidente in pieno deserto mi ha paralizzato una gamba. Quando è arrivato il medico - otto giorni dopo - era troppo tardi e forse resterò zoppo per tutta la vita.
Un incidente in pieno deserto mi ha paralizzato una gamba. Quando è arrivato il medico - otto giorni dopo - era troppo tardi e forse resterò zoppo per tutta la vita. Steso su una stuoia, in una cella d'un vecchio fortino sahariano, considero le macchie del tempo sul muro di fango intonacato a calce dai soldati della legione straniera. I 45 gradi di calore rendono difficile ogni ragionamento. Preferisco pregare; ma anche pregare non è facile in certi momenti. Taccio e cerco di portarmi coll'anima al di là del muro, nella piccola Kuba di stile arabo dove so che c'è l'Eucarestia. I fratelli sono lontani al lavoro, chi nei campi, chi nell'officina. La gamba mi duole terribilmente e debbo farmi coraggio, per non disperdere i pensieri nel vuoto. Mi ricordo bene una frase che ci diceva Pio XI durante l'udienza: «Che fa Gesù nell'Eucaristia?» e attendeva da noi studenti la risposta. Ancora oggi dopo tanti anni non saprei cosa rispondere. Che cosa fa Gesù nell'Eucaristia? Eppure quante volte ci ho pensato su. E Gesù non solo una gamba, ma tutt'e due ha immobilizzate nell'Eucaristia e in più le mani. È ridotto a un po' di pane bianco. Il mondo ha tanto bisogno di Lui e Lui non parla. Gli uomini hanno tanto bisogno di Lui e Lui non si muove! L'Eucaristia è davvero il silenzio di Dio, la debolezza di Dio. Ridursi a pane, ridursi a silenzio mentre il ritmo del mondo è così chiassoso, così convulso, così possente. Si direbbe che il mondo e l'Eucaristia marciano in senso inverso. E si allontanano l'un l'altro quasi all'infinito. Occorre essere coraggiosi per non lasciarsi portare dalla marcia del mondo, occorre della fede e della volontà per andare contro corrente verso l'Eucaristia, per fermarsi, per tacere, per adorare. Ed è necessario una fede ben pura per credere all'impotenza, alla sconfitta dell'Eucaristia che è oggi ciò che fu ieri l'impotenza e la sconfitta del Calvario. Eppure, questo Gesù impotente, inchiodato, annientato è il Dio dell'impossibile, è l'alfa e l'omega, il principio e la fine e, come lo descrive Giovanni nell'Apocalisse, «il fedele e verace che con giustizia giudica e guerreggia. I suoi occhi sono come fiamma di fuoco e sul suo capo stan molti diademi. Ed è ravvolto in un manto tinto di sangue e si chiama il nome di Lui 'Verbo di Dio'. E gli eserciti che sono nel Cielo lo seguono su cavalli bianchi, vestiti i bisso bianco e puro. E dalla sua bocca esce una spada affilata perché con essa percuota le genti e le governi con bastoni di ferro. Ed egli stesso pigia nel tino il vino dell'ardente collera di Dio onnipotente. E sul manto e sulla coscia un nome scritto 'Re dei re e Signore dei signori'» (Ap. 19, 11ss). Gesù è il Dio dell'impossibile e l'impossibile è una caratteristica di Dio. E la mia impotenza mette in evidenza la sua potenza, la mia piccolezza di creatura il suo Essere creatore. Già davanti a Giobbe, pensoso e in polemica con Lui perché ridotto all'impotenza e all'abiezione, Dio chiedeva un atto di confidenza appellandosi, per ottenerlo, alla grandezza della creazione. "Ov'eri tu quand'io gettavo i fondamenti della terra? Chi fissò le sue dimensioni che tu sappia? Ovvero chi stese sovr'essa la livella? Su che cosa stanno infisse le sue basi e chi gettò la sua pietra angolare mente m'innalzavano lodi in coro gli astri del mattino?" (Gb 38). A me oggi più di questo famoso discorso sulla potenza del Creatore e sull'assoluta impotenza della creatura a dare qualche consiglio a Dio, fa effetto un detto di Gesù nel Vangelo: "È più facile che un cammello passi per la cruna di un ago che un ricco entri nel regno dei cieli" (Mt 19,23). Mi ritorna alla mente questa espressione di Gesù tutte le volte che vedo sulla pista un cammello e mi vien da sorridere. Avesse detto "un cavallo, un bue...", no: un cammello, con tutta quella gobba! Sì, veramente è impossibile farla transitare per la cruna di un ago. Creare il firmamento è certamente un segno di grande potenza, ma far passare un cammello nella cruna di un ago mi sembra più grande ancora: qui sta veramente l'impossibilità. Difatti agli apostoli attoniti e perplessi che esclamarono: "Allora è impossibile salvarsi", Gesù rispose tranquillamente: "Ma ciò che è impossibile all'uomo è possibile a Dio". "A te tutto è possibile", dirà Gesù al Padre nella preghiera del Getsemani. L'onnipotenza è davvero l'attributo di Dio.
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Al contrario, c'è una cosa ch'è veramente mia: la piccolezza, la debolezza, la miseria, l'impotenza. E ne ho in sì gran copia che è impossibile che non serva qualcosa. Occorre pensarci, occorre sfruttare questo immenso capitale. Possibile che l'onda di fango, chiamato peccato, che ha invaso il mondo quasi all'origine dell'uomo e che prende in certi istantiproporzioni sì gigantesche e spaventose, sia materiale inutilizzato dall'onnipotenza di Dio? Possibile che la debolezza nelle sue forme così generali di stanchezza, vecchiaia, malattia, incapacità, errore, morte sia solo qualcosa che mi schiaccia senza avere in sé qualche potere nascosto? I detriti del mondo non servono più a nulla? Il male resterà una sconfitta di Dio Amore? Quando penso ai miei esami di coscienza serali li vedo come elencazione di cose non fatte o fatte male che il sunto di cose positive. E anche ammettendo, per un momento, un certo equilibrio raggiunto dalla mia anima, una esclusione positiva dell'offesa volontaria a Dio, nulla mi dà più il senso della mia infinita piccolezza e miseria che la constatazione tremenda della mia impossibilità a dilatare il mio amore. Mi ritorna sempre il ricordo bruciante della coperta negata a Kadà e la sensazione quasi fisica di essere incapace di fare un atto di amore perfetto. La stessa cosa l'ho provata nella preghiera. Abbandonato a me stesso con le mie sole forze, ho sentito fino allo spasimo la realtà che, senza l'aiuto di Dio, non possiamo nemmeno dire una sola volta "Abba, Padre". Ci sono degli istanti in cui Dio ci conduce sull'estremo limite della nostra impotenza ed è allora e solo allora che comprendiamo fino in fondo il nostro nulla. Per tanti anni, per troppi anni, mi son battuto contro la mia impotenza, contro la mia debolezza. Il più sovente l'ho nascosta preferendo apparire in pubblico con una bella maschera di sicurezza. È l'orgoglio che non vuole l'impotenza, è la superbia che non accetta di essere piccolo; e Dio, poco alla volta me lo ha fatto capire. Ora non mi batto più, cerco di accettarmi, di considerare la mia realtà senza veli, senza sogni, senza romanzi. È un passo innanzi, credo; e se l'avessi fatto subito, quando imparavo a memoria il catechismo, avrei guadagnato quarant'anni. Ora, l'impotenza mia la metto tutta in faccia all'onnipotenza di Dio: il cumulo dei miei peccati sotto il sole della sua misericordia, l'abisso della mia piccolezza in verticale sotto l'abisso della sua grandezza. E mi pare essere giunto il momento di un incontro con Lui mai conosciuto fino ad ora, uno stare assieme come mai avevo provato, uno spandersi del suo amore come mai avevo sentito. Sì, è proprio la mia miseria che attira la sua potenza, le mie piaghe che lo chiamano urlando, il mio nulla che fa precipitare a cateratte su di me il suo Tutto. E in questo incontro tra il Tutto di Dio e il nulla dell'uomo sta la meraviglia più grande del creato. È lo sposalizio più bello perché fatto da un Amore gratuito che si dona e da un Amore gratuito che accetta. È, in fondo, tutta la verità di Dio e dell'uomo. E l'accettazione di questa verità è dovuta all'umiltà ed è per questo che senza umiltà non c'è verità e senza verità non c'è umiltà. «Respexit humilitatem ancillae suae», disse Maria quando vide precipitare sul suo nulla l'amore sostanziale di Dio e sentì che le sue carni divenivano dimora e nutrimento del Verbo Incarnato. Quale meraviglia il Nulla di Maria attirare il Tutto di Dio. Quale dolcezza nella sua preghiera, avendo essa totale la consapevolezza di trovarsi al polo estremo di Dio, là dove l'esser piccoli diventa non solo un'accettazione, ma è una esigenza d'amore. Quale pace nell'abbandono totale di sé a "Lui" senza ritorni "egocentrici", senza movimenti "introversi", ma rapita in un solo radicale, saporoso sguardo contemplativo sulla grandezza e perfezioni dell'Amato. Non esiste rapporto più perfetto, e Maria inaugura su un'altezza vertiginosa, irraggiungibile da noi, ma per noi esemplare, lo stap più assorbente dell'anima religiosa sotto la rugiada di Dio.
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Mi par così d'aver trovato, dopo tanti anni, la soluzione del problema, di tutto il problema di quaggiù. Ho toccato con mano la mia radicale impotenza e questo fu grazia. Ho contemplato nella fede, nella speranza e nella carità, l'onnipotenza di Dio e anche questo fu grazia. Dio può tutto, io non posso nulla. Ma se metto questo nulla a contatto orante, amoroso di Dio, il tutto diventa possibile in me. Ritorno con la memoria sotto la grande pietra schiacciato dal mio egoismo, chiuso nel mio purgatorio per aver negata la coperta a Kadà. È cosa certa: in me sento la totale incapacità a compiere l'atto di amore perfetto, a seguire Gesù sul Calvario ed a morire con Lui in croce. Potremmo trascorrere millenni e millenni e la mia situazione non cambierà. Però... Però ciò che è impossibile a me, perché sono ricco del Vangelo, è possibile a Dio! E sarà Lui a darmi la grazia di trasformarmi e rendermi atto a compiere l'impossibile e a rovesciare la pietra che mi separa dal Regno. È quindi questione di attesa, di preghiera umile e confidente, di paziente esercizio, di speranza. Ma il Dio dell'impossibile non mancherà all'appello del mio amore.
Carlo Carretto
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