Il discepolo di Gesù è chiamato ad avere sguardo attento, oltre che gambe scattanti...
del 01 marzo 2017
Il discepolo di Gesù è chiamato ad avere sguardo attento, oltre che gambe scattanti...
La vita cristiana è un po’ come giocare una partita di calcio. Il paragone può apparire poco felice, ma, a ben pensarci, è calzante. In campo ci sono i giocatori, ma, a tirare le fila della partita, anche se non sembra, è l’allenatore. Uomo dell’ombra, lui guarda il gioco dalla panchina, pensa e pondera le mosse degli avversari, ipotizza come contrastarle e, al momento opportuno, dona indicazioni ai suoi, gesticola con forza ed impone il ritmo della corsa, ricordando tattiche e piani per vincere. Non che sia infallibile, ma l’esperienza ha reso la sua mente come il tempo ed il lavoro le mani di un pescatore, veloci nella presa, ben addestrate nel misurarsi con la forza del mare altrui. Il segreto per chi gioca è guardare il proprio allenatore, non per essere un burattino nelle sue mani, ma perché – è il titolo di un libro di Thomas Merton – nessun uomo è un’isola e la guida dell’altro sostiene la nostra inesperienza.
Anche il discepolo di Gesù è chiamato ad avere sguardo attento, oltre che gambe scattanti. Nell’arena della vita, sul campo del quotidiano affanno, deve guardare a Cristo, è Lui il suo allenatore, Lui il suo coach, non può perderlo di vista. Il campo gli è nemico, ma basta uno sguardo del Maestro per riprendere coraggio; la corsa può divenire affannosa, ma se la voce del Signore incalza, si è capaci fino all’ultimo minuto di lottare senza posa per riconquistare il pallone e fare gol. È Gesù che indica i piani da attuare, le tattiche da applicare, è Lui che mostra, con un gesto, il da farsi e ci sprona a non gettare la spugna perché la sua forza è in noi. Anche Gesù, a sua volta, è stato prima un ottimo giocatore e il suo allenatore, il Padre, ha ribaltato il risultato fallimentare della sua croce – fallimentare per chi? Per la mentalità umana? – nella vittoria schiacciante sul peccato e sulla morte.
La Quaresima è come il tempo dell’allenamento per un atleta, serve a rubare l’arte del gioco, per apprendere, con passione e sacrificio, la padronanza delle regole, la dimestichezza dei movimenti, le tecniche del gioco, il dominio del proprio corpo. Oggi noi entriamo nel deserto che è la palestra di Cristo, lo guardiamo in lotta contro il male, ricco della parola del Padre, affamato di pane, ma sazio dell’amore di Dio, nella compagnia dello Spirito che sempre lo sostiene (cf. Mt 4,1-11). Questo tempo serve a noi per “rubare” a Gesù il suo mestiere, per imparare il suo sguardo attento nello studio delle mosse di Satana, interiorizzando il silenzio di chi non si lascia portare dalla voce del Nemico, facendo nostra la volontà sua di fidarsi solo e sempre del Padre, sino alla fine. In questi quaranta giorni, se noi prendiamo sul serio la grazia che ci è offerta, Gesù ci allena alla lotta perché è Lui che “addestra le mie mani alla guerra, le mie dita alla battaglia” (Sal 143,1) contro il demonio.
Il segreto della vita di Gesù che ogni buon atleta deve apprendere è l’arrendevolezza allo Spirito Santo. È Lui la forza che lo sostiene nella corsa, l’energia che corrobora il suo coraggio, sua è l’ispirazione che illumina la mente, la voce che interiormente lo abita e lo spinge risoluto, pur tra le prove, a camminare nella luce del bene. Lo Spirito ha sorretto Gesù dal Battesimo alla croce e lo ha risvegliato dal sonno della morte. Tutto nella vita di Cristo è sotto la potenza dello Spirito-amore dal momento che dell’amore Egli sperimenta in sé la pienezza. Gesù, infatti, vive nello Spirito, ama nello Spirito, parla nello Spirito, guarda nello Spirito, cammina nello Spirito. In tal modo, il deserto quaresimale nel quale ci inoltriamo non è solo il luogo della prova e della tentazione, della tribolazione e della difficoltà, ma prima di tutto rappresenta il tempo della pienezza dell’amore, il periodo favorevole della salvezza, l’occasione opportuna per la conversione, il momento conveniente del discernimento, per conoscere il vero volto di Dio e accogliere la propria debolezza, senza paura perché “il suo bastone e il suo vincastro mi danno sicurezza” (Sal 23,4). È lo Spirito di Cristo che ci plasma in unità, Lui che mette in noi il desiderio della comunione sponsale, Lui che ci abilita all’educazione dei figli e a testimoniare nel mondo la bellezza dell’alleanza di Cristo con la Chiesa sua sposa. È il Paraclito che, addomesticando il cuore, rende la mia casa cenacolo di preghiera, dove si legge il Vangelo e lo si vive, con la sua forza, Lui che costruisce la nostra vita su Cristo roccia. Gesù, il nostro Allenatore, non è geloso della sua arte di amare, ma ci dona il suo Spirito per attraversare il deserto, vincendo il nostro egoismo, ed entrare con Lui nella terra dell’alleanza. Gesù lo ha promesso: “Il Padre vostro darà lo Spirito Santo a coloro che glielo chiedono” (Lc 11,13). Se il segreto sta nel chiederlo perché non farlo durante la quaresima? Se dallo sguardo nasce la forza dell’imitazione perché non tenere fissi gli occhi su Gesù?
Nella vita del Santo di Assisi c’è un racconto che mostra tutta la forza dell’imitazione, accompagnata dalla volontà di tenere fisso lo sguardo e attento il cuore a ciò che si ama.
“Mentre Francesco passava accanto ad un borgo nelle vicinanze di Assisi –a scrivere è fra Tommaso da Celano, primo biografo del Santo – gli andò incontro un certo Giovanni, uomo semplicissimo, che stava arando un campo e gli disse: «Voglio che tu mi faccia frate, perché da molto tempo desidero servire Dio» … [Francesco] lo condusse con sé, e dopo averlo vestito dell’abito religioso, lo prese come compagno particolare in grazia della sua semplicità. Quando Francesco stava in qualche luogo a meditare, il semplice Giovanni ripeteva in sé e imitava subito tutti i gesti o i movimenti che egli faceva. Se sputava, sputava; se tossiva, tossiva; univa i sospiri ai sospiri ed il pianto al pianto. Se il Santo alzava le mani al cielo, le alzava egli pure, fissandolo con diligenza come un modello e facendo sua ogni mossa. Il Santo se ne accorse e gli chiese una volta perché facesse così. «Ho promesso – rispose – di fare tutto ciò che fai tu. Sarebbe pericoloso per me trascurare ogni cosa» (2Cel 190: FF 776).
Niente male fare nostra la semplicità di frate Giovanni durante questa quaresima. Solo così lo Spirito ci renderà come Gesù. Basteranno quaranta giorni? Chi lo sa! In caso contrario, abbiamo anche i cinquanta del Tempo pasquale come tempo di recupero. L’importante è seguire il Maestro, il nostro coach. E se Israele, con Mosè o Giosuè, entrò nella Terra promessa, quanto più noi avremo accesso al cuore del Padre se ad allenarci ci sarà Gesù.
Fra Vincenzo Ippolito
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