L'interrogazione di Loris

Dialogo tra un professore di religione e un suo studente sulla questione del fine vita. "Io credo che anche la sofferenza possa avere un senso se vissuta come luogo di amore per Dio e in Lui anche per le persone che amiamo. Ma per affermare questo ci vuole fede, e nel caso di una persona che sta per morire e soffre, anche una fede grande, che non tutti vivono e hanno dentro. Questo lo capisco".

L'interrogazione di Loris

"Beh, la differenza tra un cattolico e un laico? Quando lei ce l'ha spiegato ha detto che un cattolico fa riferimento alla Chiesa mentre un laico solo alla sua ragione. Ma prof., sta cosa non mi torna". Loris è curioso e soprattutto cerca di capire le cose e non solo di prenderle per buone perché le dice l'insegnante. Lo stavo interrogando. E lui ha preso la palla al balzo per intavolare una discussione che forse, a classe aperta, non avrebbe avuto voglia di fare.  

"Cosa c'è che non ti torna?". "Che detta così sembra che un cattolico non possa usare la propria testa, mentre un laico sì. Preferisco essere laico allora!". "In verità non ho detto esattamente così. Io vi ho detto che un cattolico prende come riferimento l'insegnamento della Chiesa, sul quale però è richiesto, dalla Chiesa stessa, l'uso della propria ragione per valutare e ragionare, fino a convincersi della verità di ciò che la Chiesa dice. Il laico invece salta il riferimento alla Chiesa e tende a tenere per vero solo ciò che lui pensa".

"E vabbè, allora facciamo il caso della eutanasia di cui ci ha parlato lei", continua Loris. "Ecco bravo, te lo volevo proprio chiedere come domanda!". "Lei dice che la Chiesa rifiuta l'eutanasia attiva". "Esatto e cosa vuol dire?". "Che in nessun modo la morte del malato deve essere voluta come obiettivo o come strumento per alleviare il dolore del malato". "Ok!". "Ecco prof, ma allora quello che conta è l'intenzione che si ha e non quello che si fa concretamente e l'intenzione dipende da quello che uno pensa sia vero o falso, cioè dalle idee che ha lui, e non da ciò che gli dice la Chiesa".

"Un momento Loris, le azioni concrete sono sempre frutto di una intenzione. E l'intenzione è vero è sempre soggettiva. Ma ciò che rende buona o meno una intenzione non è la disposizione d'animo soggettiva, ma il rispetto oggettivo, in essa contenuto, dei valori così come Dio li ha posti nella natura". "No, prof. mi sono perso...".

"Hai ragione non è semplice. Facciamo un esempio: staccare la spina di un macchina che aiuta il malato a respirare è una azione che ha alle spalle una intenzione. La quasi totalità delle volte è quella di porre fine alle sofferenze del malato o di chi lo circonda. Ora, questa intenzione, che di per sé cerca di diminuire il dolore o di azzerarlo, si realizza volendo la morte del malato come fine o mezzo, perciò infrange un bene, quello della vita, che nella scala dei valori che Dio ci ha consegnato, è più in alto. Esistere, essere al mondo, vale più che stare bene al mondo, per la Chiesa".

"Eh no prof. su questo non sono d'accordo allora. Ma come si fa a dire che è meglio comunque esistere, quando delle volte si sta così male che si vorrebbe morire. Io lo so, ho visto mio zio morire come un cane, soffrendo davvero un casino e io mi sono detto che se devo vivere così è molto meglio morire. E lei stesso ci ha detto che Dio ci ha fatti per essere felici, perciò perché dovrebbe ritenere sbagliato se noi cerchiamo di stare bene e non volere soffrire?".

"Si, ma vi ho anche detto che la felicità non è semplicemente una bella emozione del momento. È la realizzazione della verità del proprio essere, cioè della potenzialità di amare, che produce un sentimento di gioia, che tende a permanere nel fondo dell'anima. Quando tu l'hanno scorso ti sei fatto un mazzo tanto lavorando e a ottobre perciò ti sei comprato il motorino, sei stato felice, l'hai detto tu stesso. Hai accettato un po' di sacrificio, ma hai mostrato a te stesso che sei in grado di ottenere le cose che vuoi. Questo dà senso a quel sacrificio che hai fatto e ad un pezzettino delle tua vita. La questione della sofferenza dell'eutanasia è collegata, come vi ho detto, al senso della vita che uno riconosce, perché è li che la felicità si dà o si nega".

"E che senso ci può essere in una situazione dove uno non fa altro che soffrire e il corpo si distrugge e basta?". "Questo, Loris, apre la questione della fede. Io credo che anche la sofferenza possa avere un senso se vissuta come luogo di amore per Dio e in Lui anche per le persone che amiamo. Ma per affermare questo ci vuole fede, e nel caso di una persona che sta per morire e soffre, anche una fede grande, che non tutti vivono e hanno dentro. Questo lo capisco. Perciò credo che sia giusto non imporre per legge a nessuno di dover vivere se non trova sufficienti motivi per farlo. Ma credo anche che allora chi crede abbia il dovere di accompagnare con amore e rispetto le persone morenti in qualsiasi condizione esse si trovino o qualsiasi cosa pensino".

"Beh ci mancherebbe che uno dovesse avere fede se non ce l'ha! Sì prof, capisco che nella posizione della Chiesa ci può essere un senso, ma non lo condivido". "Loris, nessuno ti chiede di farlo se non ne sei convinto".

Gilberto Borghi

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