L'ostetrica coraggiosa che fece nascere la vita anche ad Auschwitz

Stanislawa Leszczynska rischiò la sua vita per far nascere i bambini (e battezzarli), avendo una sola certezza: l'ostetrica, il medico e i genitori devono sempre promuovere la vita.

L'ostetrica coraggiosa che fece nascere la vita anche ad Auschwitz

 

Lodz, in Polonia, anno 1896. I Leszczynski sono una famiglia del quartiere più povero della città. Una famiglia, però, ricchissima di fede e di affezione grande alla Madonna. Vi nasce una bambina: i genitori la chiamano Stanislawa, nome bene-augurante di purezza ed eroismo, che ricorda il nome del santo Patrono di Cracovia, Stanislao, vescovo e martire.

Stanislawa cresce limpida e forte, libera e obbediente a Dio solo e a sua Madre, l'Immacolata. Nel 1908, con i genitori, emigra in Brasile, alla ricerca di lavoro e di pane. E' serena, felice di vivere: di vivere coerente alla sua Fede cattolica. Pochi anni dopo, ritornano in Polonia. Nel 1914, allo scoppio della "Grande Guerra", Stanislawa ha 18 anni: sospende i suoi studi e comincia a lavorare nel Comitato di aiuto ai poveri. Al mattino presto la Messa, alla sera il Rosario alla Madonna: per tutta la vita, saranno i suoi momenti fondamentali di incontro e di colloquio con Dio, ogni giorno.

Nel 1922, raggiunto il diploma di ostetrica, svolto il tirocinio, inizia il suo delicato lavoro - vera missione - a servizio della vita nascente. Ama e stima la sua professione, sapendo di essere collaboratrice di Dio nel far nascere la vita. Ama perdutamente i bambini, in ognuno dei quali vede il volto di Gesù. La conoscono tutte le madri in attesa: a Lodz, dintorni e altri paesi, la chiamano senza tregua e le capita spesso di lavorare anche tre giorni consecutivi senza trovare tempo per dormire. Intanto entra nel Terz'Ordine Francescano e vive nel mondo, umile e semplice come san Francesco d'Assisi. Si incanta davanti alla bellezza della natura, ancor più davanti alla vita nascente. Dice spesso: "L'atto della nascita è la più bella estasi della natura".

Si sposa con Bronislaw, un giovane uomo forte e buono: dal loro Matrimonio nascono quattro figli. Ma i suoi bambini - che adora - non le bastano. La sua casa è sempre piena di gente, di diseredati, di persone che la cercano per risolvere i propri fastidi. Stanislawa ha tempo e amore per tutti. Chiamata spesso per il suo servizio, impegnata in tante opere di bene, i suoi bambini sentono tuttavia che la loro mamma è sempre tutta per loro. Sembra impossibile, ma è un miracolo dell'amore sostenuto e alimentato da Gesù.

 

OSTETRICA AD AUSCHWITZ

 

Il 1° settembre 1939, Hitler fa invadere la Polonia. Durante l'occupazione dei tedeschi, la casa di Stanislawa e Bronislaw diventa il rifugio dei ricercati, in primo luogo per gli ebrei perseguitati. Bronislaw, tipografo, prepara di nascosto, per loro, vitto, abiti e documenti per mettersi in salvo. Nessuno ferma quei due coniugi, mossi dalla carità cristiana e dalla preghiera, sostenuti dalla Madonna, "la Vergine sempre fedele". Ma nella notte tra il 19 e il 20 febbraio 1943, la Gestapo scopre quelle attività e arresta Stanislawa e i suoi figli Sylvia, Stanislaw e Henryk. Il marito e il figlio più grande, Bronislaw junior, fuggono saltando dalla finestra. La madre e la figlia vengono deportate nel lager di Auschwitz. I due figli a Mauthausen. Il padre morirà durante l'insurrezione di Varsavia.

Nel campo di concentramento Stanislawa riceve il numero 41335. Privata di tutto, riesce però a nascondere il suo certificato di ostetrica. Ad Auschwitz, tra le prigioniere, sono numerose le madri in attesa. I tedeschi hanno dato l'ordine di sopprimere ogni bambino che nasce. C'erano due "ostetriche", Klara e Pfani, e fino al maggio 1943 i bambini nati erano soppressi. Nel maggio 1943 si ammala Klara, l'infanticida. Stanislawa ferma il medico delle SS e gli mostra il certificato di ostetrica. L'uomo la guarda stupito, poi la manda nella "sala parto", all'interno di una baracca: al centro corre "una stufa" a forma di canale fatto di mattoni, circondata da trenta letti separati. Le donne partoriscono lì, tra un'indicibile miseria. Il capo del lager ordina a Stanislawa di uccidere tutti i bambini appena nati. Di ognuno occorre poter scrivere: "Nato morto". Stanislawa gli risponde, tagliente come una lama: "No, mai! Non si devono uccidere i bambini". Va nella baracca e comincia il suo lavoro. Ha soltanto un paio di forbici, un barattolo di medicinali, qualche benda... e un grande amore, un enorme coraggio insieme a una fiducia senza limiti nella Madonna.

Per tremila volte, disubbidisce all'ordine di "Erode", quello di uccidere i bambini, e rischia la camera a gas. Aiuta tutte le mamme a far nascere i loro bambini, anche le donne ebree ai cui figli era persino proibito di tagliare il cordone ombelicale, perché dovevano essere buttati subito nel contenitore delle feci! Al primo bambino nato, Stanislawa dà il nome di Adam, il nome del primo uomo, come augurio di vita. Ella stessa li battezza versando sul loro capo l'acqua e dicendo le parole rituali: "Io ti battezzo nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo". Per il Battesimo, è prevista la pena di morte, ma ella non si arrende. Poi quei neonati vengono lasciati morire: dai nazisti che comandano il campo, non da lei! Ella è solo per far vivere! Mamma Stanislawa - così la chiamano nel lager - non si scoraggia e continua nel suo servizio, perché sa che "l'ostetrica, il medico, e i genitori e chiunque devono sempre promuovere la vita". Per le  madri in attesa, per i "suoi" bambini, lavora giorno e notte, nessun parto avviene senza di lei ed ella cerca in continuazione lenzuola, bende, fette di pane, medicinali; sempre mite, umile, buona. Non parla mai male di nessuno e ha un'unica "arma": l'amore di Gesù. Ogni giorno Stanislawa, con la sua fede forte e lieta, organizza la preghiera per tutti: spesso è il Rosario alla Madonna e, attorno a lei, lo recitano i detenuti e le detenute di Auschwitz. Così alla domenica si riuniscono ancora per meditare il Vangelo e per pregare, suscitando l'ira delle SS: ella è sempre il centro, una personalità eccezionale, in mezzo a tante crudeltà.

 

EWA, L'INIZIO DELLA VITA

 

Tra le donne in attesa, il 20 dicembre 1944, nella "sala parto" del lager giunge Jadwiga Machaj, prigioniera 87263. Presso la lunga stufa due donne stanno già partorendo. Le si avvicina Stanislawa: "E allora, figlia mia?". La sua voce le porta tanta pace. Le accarezza il volto, le chiede quanti anni ha, le racconta della sua famiglia di cui in quel momento ignora la sorte. Qualche momento dopo, la aiuta a partorire: "Hai una bellissima bambina! Come vuoi chiamarla?". "Non lo so". "Allora - dice l'ostetrica - chiamala Ewa, sarà l'inizio della vita". Poi versa sulla sua testolina l'acqua del Battesimo: "Ewa, io ti battezzo...". Per la piccola riesce a trovare una coperta di piume. Ewa sopravvive e le viene dato il numero 89243.

Da quel giorno, poco alla volta, il rigore del campo si allenta, perché la guerra volge alla fine e per i nazisti è il tracollo. Stanislawa, nel 1945, torna a casa a Lodz, e riprende la sua missione di servizio alla vita, umile, semplice, senza mai atteggiarsi a eroina. Porta con sè un quaderno: Rapporto di un'ostetrica ad Auschwitz, un documento sconvolgente,  tragico. "Fra quegli orribili ricordi - ha scritto - nella mia coscienza è vivo questo pensiero: tutti i bambini nacquero vivi. Soltanto trenta sono sopravvissuti. In centinaia furono trasportati a Naklo per essere snazionalizzati, più di 1500 furono annegati da Klara e Pfani, circa mille morirono di fame e freddo. Offro il mio rapporto in nome di coloro che non poterono parlare al mondo dei torti subiti: in nome della madre, e di ogni bambino". Nel 1957, a Lodz, durante i festeggiamenti per la premiazione di alcune ostetriche, fra le quali Stanislawa, il figlio suo dottor Bronislaw, lesse il "Rapporto" scritto dalla madre, nel silenzio commosso e teso dei presenti. Molti superstiti, testimoni dell'operato della coraggiosa levatrice, confermarono quanto ella vi narrava. Un giorno del 1970, Ewa, la bambina nata nel lager, oramai 26enne, nel Teatro grande di Varsavia consegnò a Stanislawa un mazzo di fiori a nome dei bambini sopravvissuti. Stanislawa abbracciò tutti con uno sguardo di amore e di gioia, ripetendo più volte: "Come sono contenta che siate qui, come sono contenta!". Si spense l'11 marzo 1974, a 78 anni di età.

Nella bara, la vestirono con l'abito di Terziaria francescana, come aveva voluto. Ai suoi funerali, tra migliaia di persone e di fiori, mons. Kulik disse che l'esistenza di Stanislawa era stata tutta un servizio alla vita e che, come Padre Kolbe aveva sacrificato la vita per un prigioniero, ella l'aveva sacrificata per ogni bambino fatto nascere. Alcuni anni dopo, le donne polacche, toccate dal suo esempio, fecero preparare un calice prezioso da offrire al Papa nella sua seconda visita in Polonia. Nel santuario della Madonna di Czestochowa, Giovanni Paolo II, un giorno di giugno 1983, ha celebrato la Messa con il grande calice offertogli, ornato di quattro immagini scolpite che rappresentano le donne più luminose della Polonia cattolica: santa Edvige di Slesia, la Beata Edvige Regina, la beata Maria Ledochowska e, ultima in ordine di tempo, ma non di eroismo, Stanislawa Leszczynska. Il calice del Cristo, il calice della Vita che non muore.

 

 

Paolo Risso

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