Nessuna funzionalità di internet potrà mai dominarci, finché avremo il buonsenso di riuscire a scollegarci...
Sono passati solo trent’anni da quando internet è entrato nelle vite degli italiani. L’Italia fu la quarta nazione europea a collegarsi alla rete, stabilendo una connessione stabile di 64 kb. Lentissima, diremmo noi oggi, abituati alle odierne velocità di navigazione. Nessuno allora poteva immaginare come internet si sarebbe insediato nelle nostre vite, sopratutto perchè era uno strumento nato per scopi militari. Il primo sito web arriva infatti ben cinque anni dopo: nel 1991 Tim Berners-Lee lancia una pagina chiamata “World Wide Web”. Non è altro che una schermata bianca, contenente alcuni collegamenti, simile ad un foglio scritto con Word. Se la cercate con un motore di ricerca, è ancora possibile trovare l’immagine della sua schermata.
La possibilità di tenere traccia della sua stessa storia è allo stesso tempo la grande potenzialità e il grande problema di internet. Si stima che per il 2020 ci saranno 50 miliardi di apparecchi connessi alla rete. Un numero enorme che diventa ancor più grande se pensiamo alla quantità di dati che ognuno di questi apparecchi produce durante il suo utilizzo di internet. Forse avrete sentito parlare di “big data”, la nuova frontiera dell’informatica e della statistica. Si tratta di un nuovo campo di ricerca che è nato proprio dall’urgenza di dover gestire una mole di dati in continuo aumento. Dove e come raccoglierli? Come renderli accessibili per indagini statistiche? Eliminarne alcuni, ma con che criterio?
Potrà sembrare esageratamente fantascientifico, ma oggi l’idea che si ha rispetto al futuro di internet è quella di renderlo una realtà virtuale che si integri ancor di più con la nostra vita quotidiana. Se vi riesce difficile immaginarlo, provate a pensare a come vi svegliate. Probabilmente molti di voi non hanno più una sveglia: il vostro smartphone vi dà il buongiorno con la vostra canzone preferita o con il tono che vi rende il risveglio meno traumatico. Fin qui tutto normale: ma cosa succederebbe se fosse internet a svegliarvi? La vostra sveglia diventerebbe “intelligente”, ovvero sarebbe in grado di incrociare dati relativi al traffico e al tempo e decidere quando svegliarvi per non farvi arrivare in ritardo al lavoro. Si chiama “internet delle cose” (in inglese, “internet of things”) e rappresenta una delle possibili evoluzioni del mondo digitale.
Non ci siamo inventati molto. Lo dimostra la performance artistica di Biancoshock, street artist milanese entrato in contatto con la realtà senza internet di Civitacampomarano, un paesino di circa 400 abitanti in provincia di Campobasso dove la rete telefonica prende a stento. L’artista ha “colorato di social” vari luoghi del paese, con l’intento di dimostrare provocatoriamente che tutte le applicazioni che per noi sono indispensabili (Whatsapp, Facebook, YouTube…) non sono altro che la digitalizzazione di attività che abbiamo sempre svolto, forse in modo più sociale rispetto ad adesso. Eppure oggi ci sentiamo persi se internet non prende o se è troppo lento per permetterci di condividere in tempo reale qualunque cosa vediamo o facciamo.
In soli trent’anni internet ci ha dato la possibilità di connetterci e renderci accessibile qualunque informazione in tempo zero. Ha creato posti di lavoro e nuove figure professionali che i nostri nonni non avrebbero mai immaginato. Allo stesso tempo però ha fatto nascere nuove dipendenze, patologie da abuso di internet e nuove forme di crimine. Il suo più grande pregio legato alla sua diffusione è proprio questo, ovvero dimostrare a chiunque ne faccia uso che qualunque tecnologia non è che un mero strumento nelle mani dell’uomo. Che nessuna funzionalità di internet potrà mai dominarci, finché avremo il buonsenso di riuscire a scollegarci.
Federica La Terza
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