Ora che la cultura si è frantumata e l'autorità non tiene più insieme la società, non c'è da stupirsi se questa generazione cerca il Divino nel di-vino. Un di-vino, però, che finisce per riempire i propri bisogni e non per mettere in moto i propri desideri.
Finisco di interrogare con un quarto d'ora di anticipo sulla campanella. Sono stanchi. Questa mattina hanno già avuto una verifica e un'altra interrogazione. Gennaio è un massacro. Allora la butto li: quanti danni avete fatto a capodanno? So già che non saranno sinceri del tutto, ma sanno che io su questo non sono li a giudicarli e quindi una certa verità affiora. "Bhè io mi sono scaiato prof... dai è normale. Eravamo in una festa da paura... e alle due la metà erano già scaraventati sui divani in coma e il resto nei cessi a vomitare". "No, prof, io ho fatto pochi danni, due martini, tre vodke e quattro birre... ero quasi cosciente. Mi sono meravigliato, di solito sono molto più in la..."
E due ore dopo, in altra classe: "Abbiamo girato tre o quattro feste, e sa com'è, bevi qui bevi là, alla fine io non stavo più in piedi e il mio ragazzo si addormentava dritto... così un'amica ha telefonato a mia madre per farci venire a prendere. Alla fine non mi ha detto niente, tanto anche lei era un po' fuori". "E vabbé l'ultimo dell'anno si può passare di là prof". "E tu vorresti farmi credere che gli altri fine settimana non passi di là?". Risata generale, lo conoscono bene! "Io invece prof. sono tre sabati consecutivi che mi scaio con il vino. Mi fa schifo, ma il mio moroso mi ha lasciata... normale no?"
E la cosa chiara è che per loro, droga e sesso vengono sicuramente dopo l'alcol, sia in senso temporale che di valore. Sarà che è venduto legalmente? Sarà che c'è meno presa di consapevolezza? Sarà che costa meno? Può darsi. Quello che mi sembra chiaro è che l'alcol è la sostanza che meglio si adegua al motivo che li spinge a voler essere "fuori": la perdita del controllo e la possibilità di viversi esperienze emozionali al "limite". Come se l'uso dell'alcol fosse la porta che apre su un mondo in cui i limiti del buon senso e della socializzazione accettabile non ci fossero più.
"Ma quando sei fuori come stai?". "Benissimo prof. Non me ne frega più nulla di nulla. Faccio quello che mi viene senza pensarci più". Perciò è comprensibile se cercano approcci sessuali violenti. Se ballano fino a stramazzare sul pavimento. Se si alterano con altre sostanze, fino a bruciarsi cellule cerebrali. Se guidano sentendo di essere in un videogioco. Se si massacrano con esperienze di "macelleria" sessuale. E il bello è che tutti questi effetti oggi sono ampiamente accettati dal contesto sociale, perciò se provi ad essere diverso sei un "diverso"; se provi a prendere distanze sei "asociale"; se provi ad avere un altro stile per divertirti sei una "suora".
E allora ho cercato di capire fino in fondo l'esito."Ma poi, quando sei tornato a casa come sei stato?". "Non mi ci faccia pensare prof. Fino al 3 gennaio non sono esistito. Stavo da cani. E soprattutto con una tristezza... vabbé lasciamo perdere". "Perciò non sei contento del capodanno che hai fatto?" "Ma è normale prof., siccome è capodanno ti aspetti il mondo... e alla fine hai solo quel che ti resta di te".
E come si fa a non tirare un filo a partire da questa frase? La maggior parte dichiara di non essersi divertito, benché fossero convinti di aver trovato davvero la festa che volevano. E soprattutto nessuno è disposto ad ammettere che fanno esattamente tutti la stessa cosa, già preconfezionata e codificata dal sistema del mercato che li tritura come carne da macello. E alla ricerca disperata di fuggire dal sistema in ogni modo non si accorgono che ogni modo che trovano li risucchia sempre più dentro il sistema.
"Ma insomma, se poi non vi divertite perchè continuate a fare capodanno così?" "Perchè? Capodanno si fa così!". Ecco, appunto, quello che mi colpisce è la scomparsa quasi totale del senso del disgusto, in queste generazioni. La natura ce lo avrebbe fornito come una difesa dal senso di frantumazione e di tristezza che si portano a casa. Ma siamo riusciti a costruire una società in cui i canoni della bellezza sono totalmente artificiali e la naturalità dell'armonia è un miraggio stratosferico. Disinnestando il disgusto come fonte di protezione dal male.
Ma non è che forse in questa costruzione anche la nostra cultura cattolica ci ha messo del suo? Quando ha perseguito per decenni, e forse anche più, una prospettiva in cui il bene faceva rima col dovere e il male col piacere. Quando il Divino era una verità pesante che si autoimponeva, che costringeva e se ne fregava bellamente dei tempi e dei modi personali per accedervi. Come se l'uomo dovesse costruirsi prigioniero del bene. E soprattutto dove l'equilibrio controllato razionalmente, e dipendente dall'autorità, era sempre pensato come indice sicuro del bene.
E ora che la cultura si è frantumata e l'autorità non tiene più insieme la società, non c'è da stupirsi se questa generazione cerca il Divino nel di-vino. Un di-vino, però, che finisce per riempire i propri bisogni e non per mettere in moto i propri desideri. Non hanno bisogno di una Fede chiara e precisa che rassicuri, ma di un mistero intrigante che li stani.
Gilberto Borghi
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