Van Gogh e l'anelito del cristiano

Tentiamo di indicare delle linee guida di ricerca che dimostrano con quale continuità la figura di Cristo abbia interrogato gli artisti europei...

Van Gogh e l'anelito del cristiano

del 10 marzo 2017

Tentiamo di indicare delle linee guida di ricerca che dimostrano con quale continuità la figura di Cristo abbia interrogato gli artisti europei...

 

Non si può esaurire la poetica di Vincent van Gogh (1853-1890) in un articolo, ma possiamo tentare di indicare delle linee guida di ricerca, già note alla critica specialistica, ma sconosciute al grande pubblico e che dimostrano con quale continuità, anche nei pittori più tormentati, la figura di Cristo abbia interrogato gli artisti europei. Qui non parleremo del suicidio di van Gogh e del celeberrimo taglio dell’orecchio, episodi che evidenziano la sua psicosi, ma faremo emergere il background culturale, spirituale esemplandolo nella lettura del Seminatore.

 

Van Gogh: la biografia, la fede, la pittura di Millet


Vincent è figlio del reverendo Theodorus van Gogh, pastore legato alla scuola di Groninga (un movimento riformista all’interno del calvinismo olandese). Inizialmente il giovane Vincent aveva inteso seguire le orme del padre, ma dopo una serie di fallimenti come predicatore decise, anche in virtù del turbolento rapporto con il padre, di abbandonare la carriera da pastore. Nel mentre aveva iniziato a dedicarsi al mercato dell’arte nel quale si era introdotto anche l’amato fratello Theodorus (Theo), con il quale intrattenne un fitto epistolario e il quale fu il primo conoscitore e finanziatore dell’arte di Vincent.

La formazione presso gli ambienti riformisti, la quotidiana frequentazione delle Sacre Scritture e con i testi di spiritualità come l’Imitazione di Cristo, e quelli legati alla spiritualità devozionale della scuola di Groninga formarono una humus nella quale germogliò la sua poetica e da questa stessa humus travasò il repertorio simbolico, cercando di rintracciare nella realtà il sacro presente nella Scrittura e di esprimerlo in una ricerca in parte parallela a quella del pittore Jean-François Millet (1814-1875).


La pittura di van Gogh, come ben sanno gli addetti ai lavori, non nasce dal nulla di un sentimentalismo romantico alimentato a colpi di vicissitudini biografiche, ma è una vera e propria ricerca artistica orientata sulla rappresentazione della realtà. Il fatto che tenga in grande conto il sentire del pittore, non dipende solo da un individualismo crescente nella società, ma anche dal fatto che la Scuola teologica di Groninga, presso il quale il nostro Vincent si era formato, insisteva su una religiosità sentita contro l’aridità del dogma.

 

Come può nascere un pittore in seno al calvinismo?


È noto come la cultura calvinista sia iconoclasta e ostacoli la rappresentazione del sacro attraverso l’immagine in quanto la considera una pratica idolatra. Tuttavia la cultura olandese non rinunciò a ricorrere all’immagine: gli stessi predicatori della scuola di Groninga ne facevano uso in virtù di due antecedenti:

– la lettura tipologica delle Sacre Scritture e quindi il rintracciare le immagini anticipatrici di Cristo nell’Antico Testamento.
– la tradizione nordica degli emblemi: una forma d’arte pittorico-verbale che cercava nel finito la rivelazione dell’Infinito, interpellando la natura come un libro al fine di trovare al suo interno tracce del divino.

Quest’ultimo è un modo di indagare la natura che prima di quegli anni Millet e alcuni altri esponenti della Scuola di Barbizon avevano adottato per le loro ricerche pittorico-filosofiche e non è un caso se van Gogh percepisce immediatamente la portata del contributo di Millet. Considerato dallo stesso Vincent “l’archetipo del credente”, un artista i cui dipinti hanno una qualità “evangelica”, un artista che “dipinge la dottrina di Cristo” senza dipingere apertamente soggetti biblici.


La metà degli anni ‘70 sono per van Gogh un periodo di fruttuosa conversione: prega con regolarità, riempe le lettere di citazioni bibliche, si riconosce missionario evangelico, legge ripetutamente l’Imitazione di Cristo, allora attribuita a Tommaso Da Kempis, Il viaggio del pellegrino del teologo e predicatore inglese John Bunyan. Tutti i segni di una ricerca continua, di una necessità permanente di conversione: Vincent incarna l’anelito del perfetto cristiano. In questi anni tra L’Aia e Londra il nostro Vincent studia e insegna la Bibbia. Il 1878 segna la fine della sua carriera di predicatore: considerato non idoneo, riceverà nel 1879 ancora un incarico da evangelista laico nella regione mineraria di Mons (attuale Belgio) per poi dedicarsi alla pittura in maniera definitiva.

Tuttavia la pittura è per van Gogh ancora una volta, un modo per vivere alla sequela di Cristo, scrive in una lettera piena di enfasi al pittore e amico Émile Bernard (1868-1941): “Cristo solo […] ha affermato come certezza prima la vita eterna, l’infinito del tempo, il nulla della morte, la necessità e la ragion d’essere della serenità e della dedizione. Ha vissuto serenamente, da artista più grande di tutti gli artisti, disdegnando marmo e argilla e colore, lavorando con la carne viva”. Sulla missione di Gesù aggiunge inoltre “Queste parole parlate [quelle di Cristo che annuncia il Regno dei cieli], che da gran signor prodigo non si degnava neppure di scrivere, sono una delle vette più alte – la più alta – raggiunte dall’arte che vi diventa forza creatrice, potenza creatrice pura.

La vera arte è quella di Cristo che modella gli uomini di viva carne (li converte), il pittore usa i suoi strumenti, cercando, alla luce del Vangelo, di trascendere il finito e di parlare agli altri uomini su modello evangelico.

 

Il Seminatore


Dal 1880 van Gogh inizia a studiare Millet, in particolare inizia a copiare e disegnare Il seminatore (1850 Museum of Fine Arts, Boston) che rivisiterà periodicamente. La figura del seminatore diventerà un elemento cardine nella sua rielaborazione simbolica, in termini di vocazione, del mestiere di pittore che van Gogh aveva deciso di intraprendere. Un’importanza capitale doveva aver assunto la scoperta del pensiero del filosofo scozzese Thomas Carlyle che discuteva sulla vera vocazione dell’uomo in termini di “opera apostolica”.


Nel Seminatore non si può vedere solo la rappresentazione di una scena agreste, ma è il manifesto in pittura della vocazione di Vincent. Van Gogh, che in parte la critica ha voluto riconoscere nell’uomo con il cappello intento a seminare, è contemporaneamente sia il seme gettato nel buon terreno e che frutta “cento volte tanto”, sia il seminatore che semina i suoi dipinti “nel campo dell’opinione pubblica”.

Nonostante Millet sia il punto di partenza, la prospettiva è quella del superamento. Infatti se in Millet ci si riferiva all’analogia tra il comune agricoltore e Gesù e si rintracciava nella ciclicità dei tempi della natura la promessa della resurrezione sancita dalla venuta di Cristo; in van Gogh il superamento di contenuto ci viene sottolineato da diversità formali. La volontà di Vincent di trasformare il “grigio incolore” del maestro utilizzando un “contrasto contemporaneo di giallo e viola” ricalcando i contrasti cromatici di Eugène Delacroix (1798-1863) nel Cristo sul mare di Galilea ci indica una nuova via. Questa nuova via oltre che formale è di contenuto poiché è “dovere di un pittore il mettere un’idea nel suo lavoro” e questa nuova idea consiste nel pittore come missionario “seminatore del Verbo e luce nelle tenebre”.

Il Seminatore è l’opera più ambiziosa del nostro Vincent, la stratificazione in essa sottesa e l’essenzialità del suo messaggio, capitale per il modo d’intendere l’arte, la resero di ardua realizzazione: molteplici furono i ripensamenti (cosa inconsueta nei dipinti di van Gogh) e si propose più volte di farne un quadro grande (tableau).

Se oggi si ricorda solo il suicidio di Vincent van Gogh e la sua psicosi è perché su questi episodi si è voluto creare un modello di genio che giustificasse intere generazioni di maudits che trovassero in Vincent una paternità, un certificato di bellezza, eppure l’opera del nostro era fondata su ben altro. C’è da chiedersi chi di noi desidererebbe essere riletto, a ritroso, solo per i propri errori e non per il proprio quotidiano impegno nel Bene e nel Bello. Così la cultura di massa ha fatto per van Gogh, qui abbiamo voluto restituire le sue intenzioni, il suo quotidiano impegno per la Bellezza.

 

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1) Fondamentali per questo articolo con la loro bibliografia sono D. W. Druick e P. Kort Zegers (a cura di), Van Gogh e Gauguin. Lo studio del Sud, Milano, 2002; Rewald J., Il postimpressionismo. Da van Gogh a Gauguin, Firenze, 1967. Le lettere sono citate con la sigla del destinatario e il numero della singola missiva, si veda The complete letters of Vincent van Gogh, with reproductions of all the drawings in the correspondence, New York, 1958.
2) 1888, Kröller-Müller Museum, Otterlo, Paesi Bassi.
3) Su questo argomento si veda il saggio introduttivo della Lamberti in Vincent van Gogh, Lettere a un amico pittore, Milano, 2006.
4) C’è qualcosa di sacro per van Gogh nell’arte di Millet, quando scrive al fratello di essere stato all’Hotel Drouot per la vendita dei disegni di Millet cita Es 3,5 “Togliti i sandali dai piedi perché il luogo sul quale tu stai è suolo santo!”  (LT29).
5) Scriverà al fratello Theo: “[…] guai a me se non prego il Vangelo”.
6) Un testo devozionale probabilmente del XIV secolo in uso sia tra cattolici che protestanti.
7) Un testo che parla della conversione di chi scrive in forma allegorica.
8) Proprio questi mesi saranno preziosi per dipinti come “I mangiatori di patate” (1885, Van Gogh Museum, Amsterdam).
9) Non è un caso se inviterà l’amico pittore Anthon van Rappard a seguire il suo esempio facendosi pescatore, come lui, “sul mare che chiameremo Oceano della Realtà”.
10) Vincent conobbe Thomas Carlyle tramite Taine H., L’Idéalisme anglais: Études sur Carlyle, Paris, 1864.
11) Cito da Lc 8,8 proprio in quanto per lo stesso Van Gogh era il Vangelo più attendibile (B635).
12) Allegoria che Vincent prende di sana pianta da Carlyle quando dice che scrivere è “seminare nel campo dell’opinione pubblica”.
13) 1853, The Metropolitan Museum of Art, New York.

 

Giulia Spoltore

http://it.aleteia.org

 

 

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