Qui troverai degli episodi di don Bosco tratti dalle memorie dell'Oratorio, nei quali lui stesso racconta la fatica e la grazia dello studio e del lavoro nella sua vita
Don Bosco arriva a Chieri spaventato e intimorito dalla grande città, molto diversa dai suoi amati Becchi.
Ma è proprio qui che il Signore agisce attraverso l’umiltà e la fatica del lavoro e dello studio grazie alle quali Giovanni forgerà la sua ragione, il suo senso di responsabilità e di adempimento ai propri doveri, caratteristiche indivisibili che lo segneranno poi nel corso di tutta la sua vita e nel compimento della sua Vocazione.
Al vedersi comparire in scuola, a metà anno, un alunno grande e grosso come lui, disse scherzando:
“Costui o è una grossa talpa o un grande ingegno”. Un po' spaventato da quell'uomo severo dissi: “Qualcosa di mezzo. Sono un povero giovane che ha buona volontà di fare il suo dovere e di progredire negli studi”.
Quelle parole gli piacquero.
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Fatti i compiti e studiate le lezioni, mi rimaneva molto tempo libero.
Cominciai a dividerlo in due parti. Nella prima leggevo gli autori classici italiani e latini, nella seconda imparavo a confezionare dolci e liquori.
A metà anno non solo preparavo caffè e cioccolato, ma conoscevo le regole e i segreti per fabbricare gelati, rinfreschi, liquori, torte.
Il padrone, poiché il suo locale ne ricavava notevoli vantaggi, mi concesse quasi subito la pensione gratuita. Poi mi fece un'offerta concreta perché lasciassi gli studi e mi dedicassi completamente al suo caffè. Ma io volevo continuare a studiare, ad ogni costo. Tutto il resto lo facevo solo per divertimento.
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I miei giorni si srotolavano tra studi e vita con gli amici. Ci divertivamo con il teatro, il canto, la musica strumentale […]. Negli spettacoli che allestivamo, ero sempre pronto a cantare, suonare, improvvisare poesie. Queste mie composizioni erano giudicate capolavori. Erano invece soltanto brani di poeti celebri, adattati alle varie circostanze.
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Non vi nascondo che avrei potuto studiare di più. Ma per imparare tutto il necessario mi bastava l'attenzione a scuola. In quel tempo avevo una memoria così felice che per me non c'era differenza tra leggere e studiare […].
Davo ripetizioni e facevo lezioni private. Facevo tutto per amicizia e per carità, non per guadagno. Molti però mi pagavano ugualmente […].
Gli impegni di scuola, le ripetizioni, la lettura prolungata, occupavano la mia giornata e buona parte della mia notte. L'ora della levata arrivò più volte mentre tenevo ancora in mano la storia di Tito Livio, che avevo cominciato a leggere la sera precedente.
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