10. QUANDO IL CAVALLO S'IMPIZZARI'

10. QUANDO IL CAVALLO S'IMPIZZARI'

 

« Avevo sempre intorno tanti ragazzi » 

A Castelnuovo, nell'anno della mia ordinazione (1841), non c'era un viceparroco. Per cinque mesi esercitai quel ministero. Provavo molta soddisfazione nel lavorare per la parrocchia. Predicavo tutte le domeniche, facevo visita ai malati, amministravo i Sacramenti. Non potevo ancora confessare, perché non avevo dato l'esame di confessione. Assistevo anche alle sepolture, tenevo in ordine i registri parrocchiali, redigevo certificati di povertà e altri certificati che la gente richiedeva. 

Ma la mia gioia era fare catechismo ai ragazzi, stare con loro, parlare con loro. Cominciavo a farmi amici i piccoli di Castelnuovo. Quando uscivo dalla casa parrocchiale, erano lì ad aspettarmi. Dovunque andassi, venivano con me, come ad una festa. Venivano anche a trovarmi i ragazzi di Morialdo. Quando poi tornavo alla mia casa, ai Becchi, li avevo sempre intorno. 

 

Un frullare di passeri suda testa del cavallo 

Trovavo molta facilità nel parlare alla gente, e quindi ero molto ricercato per fare omelie e discorsi nelle feste patronali. Verso la fine di ottobre fui invitato a Lavriano a parlare nella festa di san Benigno. Accettai volentieri perché era il paese di don Giovanni Grassino, mio collega e amico. Mi preparai bene. Scrissi il mio discorso in lingua popolare ma pulita, e lo studiai. Ero sicuro di fare una bella figura. Ma Dio diede una terribile lezione alla mia vanità. 

Era domenica, e prima di partire dovetti dire la Messa per la gente di Castelnuovo. Per arrivare poi a tempo a Lavriano, non andai a piedi ma a cavallo. 

Avevo percorso metà strada al trotto e al galoppo. Mi trovavo nella valle di Casalborgone tra Cinzano e Bersano, quando da un campo seminato a miglio si alzò di colpo uno stormo di passeri. Quel frullare rumoroso e improvviso spaventò il mio cavallo, che scattò in una corsa frenetica per campi e prati. Cercai di tenermi saldamente in sella, ma a un tratto mi accorsi che essa cedeva e scivolava di lato. Tentai di raddrizzarla, ma uno scarto improvviso mi catapultò in alto. Caddi riverso sopra un mucchio di pietre. 

 

« Rinvenni in una casa sconosciuta » 

Un uomo aveva assistito da una collina alla mia brutta avventura, e scese di corsa insieme ad un aiutante. Mi trovò svenuto. Con delicatezza mi portò in casa sua e mi distese sul letto migliore che aveva. Mi prestò tutte le cure possibili, e dopo un'ora rinvenni. Mi meravigliai di essere in una casa sconosciuta. - Non si spaventi - mi disse subito quel brav'uomo. - Vedrà che qui non le mancherà niente. Ho già mandato a chiamare il medico, e un mio lavorante è andato a ricuperare il cavallo. Io sono solo un contadino, ma in casa mia troverà tutto il necessario. Si sente molto male? 

- Dio la ricompensi della sua carità, mio caro amico. Non credo di aver niente di grave. Non posso muovere una spalla, e ho paura che si sia rotta. Qui dove sono? 

- Sulla collina di Bersano, in casa di Giovanni Calosso, soprannominato Brina. Lei non mi conosce, ma anch'io ho girato il mondo e ho avuto bisogno degli altri. Sono stato un frequentatore di fiere e di mercati, e me ne sono capitate tante! - Mentre attendiamo il medico, perché non mi racconta qualche sua avventura? 

- Ne avrei tante da raccontare! Molti anni fa, tanto per fare un esempio, ero andato ad Asti con la mia asina. Dovevo far provviste per l'inverno. Tornando, la mia povera bestia era fin troppo carica. Mentre ero nelle valli di Moriondo, scivolò in un pantano e stramazzò nel bel mezzo della strada. I miei sforzi per rimetterla in piedi non servirono a niente. Era mezzanotte, pioveva ed era buio pesto. Non sapevo più a che santo raccomandarmi, e mi misi a gridare aiuto. Dopo alcuni minuti, qualcuno mi rispose da un casolare vicino. Con delle fiaccole accese per fare un po' di luce, vennero in mio aiuto un chierico, suo fratello e due altri uomini. Mi aiutarono a scaricare l'asina, la tirarono fuori dal fango e mi ospitarono in casa loro. Io ero mezzo morto, imbrattato di fango dalla testa ai piedi. Mi pulirono, mi prepararono un'ottima cena, poi mi fecero dormire in un letto morbidissimo. Prima di ripartire, il mattino dopo, volevo pagare il disturbo, come mi pareva mio dovere. Il chierico rifiutò gentilmente dicendo: «Domani anche noi potremmo avere bisogno di lei ». 

 

Si accorse che avevo gli occhi rossi 

A quelle parole mi sentii commosso. Quel brav'uomo si accorse che avevo gli occhi rossi e domandò: 

- Si sente male? 

- No. Questo suo racconto è bello e commovente. 

- Era proprio una brava famiglia, quella che incontrai quella notte. Potessi far qualcosa per loro lo farei volentieri. 

- Come si chiamava? 

- La famiglia dei Bosco, chiamati in dialetto « Boschètt ». Ma perché si commuove di nuovo? Conosce per caso quelle persone? Quel chierico sta bene? 

- Quel chierico, mio caro amico, è questo sacerdote che lei ha accolto in casa sua. Lei mi ha ricompensato mille volte per quello che ho fatto quella notte. Mi ha portato svenuto nella sua casa, mi ha messo nel suo letto. La divina Provvidenza ci ha voluto far vedere con i fatti che chi fa del bene, trova del bene. 

È difficile immaginare la gioiosa meraviglia di quel buon cristiano, e anche la mia. Dio, nella disgrazia, mi aveva fatto reincontrare un così caro amico. Informati dell'accaduto, la moglie, una sorella che viveva con lui, altri parenti e amici furono molto contenti di venire a salutare il « chierico » di cui tante volte avevano sentito parlare. Usarono con me ogni gentilezza. 

Il medico giunse poco dopo, e fortunatamente non trovò fratture. Dopo il tempo necessario ad assorbire la botta, potei rimettermi a cavallo e tornare a casa. Giovanni « Brina » mi volle accompagnare. Da allora siamo sempre stati in cordiali rapporti di amicizia. 

Dopo quell'incidente feci un proposito molto deciso: i miei discorsi, d'ora innanzi, li avrei preparati per dar gloria a Dio, non per far bella figura.

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