Che valore dava don Bosco ai suoi sogni?
Il primo compilatore delle Memorie biografiche, don G.B. Lemoyne, riferisce questo giudizio di don Bosco medesimo:
«Nei primi anni io andavo a rilento a prestare a questi sogni tutta quella credenza che meritavano. Molte volte li attribuivo a scherzi della fantasia. Raccontando quei sogni, annunciando morti imminenti, predicendo il futuro, più volte ero rimasto nell'incertezza, non fidandomi di aver compreso e temendo di dire bugie. Alcune volte mi confessai da don Cafasso di questo, secondo me, azzardato parlare. Mi ascoltò, pensò alquanto, poi disse: "Dal momento che quanto dite si avvera, potete stare tranquillo e continuare". Però solo anni dopo quando morì il giovane Casalegno e lo vidi nella cassa sopra due sedie nel portico, precisamente come nel sogno, allora più non esitai a credere fermamente che quei sogni fossero avvisi del Signore».
A sua volta, don E. Ceria, biografo di don Bosco, che compilò gli ultimi nove volumi delle Memorie biografiche, classifica i sogni di don Bosco in tre gruppi:
- Sogni che non sono altro che sogni (come facciamo noi nelle notti di cattiva digestione): a rigore di termini non ci dovrebbero stare nella vita di don Bosco. Qualcuno fu riportato nelle Memorie biografiche per conoscere più elementi possibili della vita di don Bosco.
- Sogni che non furono sogni ma vere visioni: avvenuti in pieno giorno, come la rivelazione sul futuro di Giovanni Cagliero.
- Sogni fatti di notte, che rivelano cose oscure o future.
È difficile però distinguere tra le tre categorie. Una volta, non sappiamo quando, don Bosco sognò di trovarsi in San Pietro, dentro la grande nicchia che si apre sotto il cornicione a destra della navata centrale, perpendicolarmente alla statua bronzea di san Pietro e al medaglione in mosaico di Pio 9°. Egli non sa capacitarsi come sia capitato lassù. Vuole scendere. Chiama, grida, ma nessuno risponde. Finalmente, vinto dall'angoscia, si sveglia. Un sogno da cattiva digestione, si direbbe. Ma chi guarda quella nicchia di San Pietro in questo 1936 vi vede la grandiosa statua di don Bosco dello scultore Canonica. E allora si capisce che la cattiva digestione non c'entrava.
Il sogno che rivela il futuro
«A nove anni - narra don Bosco nelle Memorie biografiche - feci un sogno che mi rimase profondamente impresso nella mente. Mi parve di essere vicino alla mia casa, ai Becchi, in un cortile spazioso dove era raccolta una moltitudine di ragazzetti che giocavano. Alcuni ridevano, altri bestemmiavano. Io mi sono subito lanciato in mezzo a loro, per farli smettere.
Il quel momento apparve un Uomo venerando, nobilmente vestito. Il volto era così luminoso che non potevo fissarlo. Mi chiamò per nome e mi disse:
- Non con le percosse, ma con la mansuetudine e con la carità dovrai acquistare questi tuoi amici. Mettiti dunque immediatamente a parlare loro sulla bruttezza del peccato e sulla preziosità della virtù.
Confuso e spaventato risposi che io ero un ragazzo povero e ignorante. In quel momento i ragazzi, cessando le risse e gli schiamazzi, si raccolsero tutti intorno a Colui che parlava. Quasi senza sapere cosa dicessi:
- Chi siete voi - domandai - che mi comandate cose impossibili?
- Proprio perché queste cose ti sembrano impossibili, dovrai renderle possibili con l'obbedienza e acquistando la scienza.
- Come potrò acquistare la scienza?
- Io ti darò la Maestra. Sotto la sua guida potrai diventare sapiente.
- Ma chi siete voi?
- Io sono il Figlio di Colei che tua madre ti insegnò a salutare tre volte al giorno. Il mio nome domandalo a mia Madre.
In quel momento vidi accanto a lui una Donna di maestoso aspetto, vestita di un manto che splendeva come il sole. Scorgendomi confuso, mi fece cenno di avvicinarmi, mi prese con bontà per mano:
- Guarda! - mi disse. Guardando mi accorsi che quei ragazzi erano tutti scomparsi, e al loro posto vidi una moltitudine di capretti, di cani, di gatti, di orsi e di altri animali.
- Ecco il tuo campo, ecco dove dovrai lavorare. Renditi umile, forte e robusto: e ciò che in questo momento vedi succedere di questi animali tu lo farai per i miei figli.
Volsi allora lo sguardo, ed ecco: invece di animali feroci apparvero altrettanti mansueti agnelli che, saltellando, correvano e belavano, come per far festa intorno a quell'Uomo e a quella Signora.
A quel punto mi misi a piangere, e pregai quella Donna a voler parlare in modo chiaro, perché io non sapevo cosa volesse significare.
Lei mi pose la mano sul capo e mi disse:
- A suo tempo tutto comprenderai.
Aveva appena dette queste parole che un rumore mi svegliò, e ogni cosa disparve. Io rimasi sbalordito. Mi sembrava di avere le mani che facevano male per i pugni che avevo dato, che la faccia mi bruciasse per gli schiaffi ricevuti da quei monelli.
Al mattino ho raccontato il sogno prima ai miei fratelli, che si misero a ridere, poi a mia madre e alla nonna. Ognuno dava la sua interpretazione: "Diventerai un pecoraio" disse Giuseppe. "Un capo di briganti" malignò Antonio. Mia madre: "Chissà che non abbia a diventare prete". Ma la nonna diede la sentenza definitiva: "Non bisogna badare ai sogni"».
Il sogno del campo di meliga
Il 12 ottobre 1844 a Torino, alla vigilia di trasferire l'Oratorio nella periferia di Valdocco, don Bosco fa un altro sogno «che mi parve un'appendice di quello fatto ai Becchi, a nove anni».
Ancora irrompono i lupi ed egli tenta di fuggire. Ma «una signora vestita da pastorella mi fa cenno di seguirla, guidando quello strano gregge. Facemmo tre fermate. Ad ogni fermata molti di quei lupi si cangiavano in agnelli.
Oppresso dalla stanchezza tentai di sedermi, ma lei m'invitò a continuare il cammino. Arrivammo a un vasto cortile, con porticato intorno, e all'estremità una chiesa. Il numero degli agnelli divenne grandissimo. Sopraggiunsero parecchi pastori per custodirli. Ma si fermavano poco. Allora successe una meraviglia. Molti agnelli si mutavano in pastorelli, che si prendevano cura degli altri. La pastorella mi invitò a guardare a mezzodì. Guardando vidi un campo in cui era stata seminata meliga, patate, cavoli, barbabietole, lattughe e molti altri erbaggi. "Guarda un'altra volta" mi disse; e guardai di nuovo. Allora vidi una stupenda ed alta chiesa. Un'orchestra, una musica istrumentale e vocale mi invitavano a cantar messa. Nell'interno di quella chiesa era una fascia bianca, in cui a caratteri cubitali era scritto: Hic domus mea, inde gloria mea (Qui è la mia casa, di qui uscirà la mia gloria)».
Il sogno delle tre chiese
Nello stesso mese di ottobre rifece un altro sogno che è in sostanza una variante del primo. Don Bosco lo riferì a don G.B. Lemoyne che s'affrettò a metterlo per iscritto.
«... Una signora mi disse: "Guarda!". E io vidi una piccola chiesa, piccola e bassa, con un piccolo cortile e giovani in gran numero... Essendo la chiesa divenuta troppo angusta, ricorsi ancora a lei, ed essa mi fece vedere un'altra chiesa, assai più grande, con una casa vicina... Mi vidi circondato da uno stuolo immenso di giovani, e vidi una grandissima chiesa, con molti edifici tutto intorno e con un bel monumento nel mezzo».
C'è evidente prefigurazione dello sviluppo dell'Oratorio: la prima cappellina ricavata dalla tettoia Pinardi del 1846, la chiesa di san Francesco di Sales consacrata il 20 giugno 1852 che fu la vera Porziuncola salesiana e infine il grande santuario sognato, la basilica di Maria Ausiliatrice, chiesa madre della Congregazione, inaugurata il 9 giugno 1868, nel contesto sonante di tutte le istituzioni di Valdocco. C'erano in chiesa 1200 giovani. Non manca neppure il monumento che i posteri erigeranno a lui, don Bosco, davanti al Santuario.
La strenna della Madonna
Dopo le preghiere della sera, il 2 gennaio 1862, i giovani, in silenzio, attesero don Bosco. Aveva promesso di annunciare qualcosa di nuovo per l'anno nuovo.
Disse infatti: «La strenna che vi do non è mia. Che direste se la Madonna in persona venisse da voi a uno a uno per dirvi una parola? Se ella avesse preparato per ciascuno di voi un suo biglietto per indicarvi ciò di cui più abbisognate, o quello che lei vuole da voi? Ebbene, la cosa è appunto così. La Madonna dà a ciascuno di voi una strenna.
Prima di tutto però io voglio premettere alcune condizioni. La prima è che non si divulghi il fatto fuori di casa, perché io potrei essere compromesso. La seconda è questa: chi vuole credervi, ci creda; se qualcuno non ci vuol credere, stracci il suo biglietto e non ci dia retta, ma non se ne burli, si guardi dal metterlo in ridicolo.
Capisco che qualcuno vorrà sapere e domanderà:
Come è avvenuto questo? La Madonna ha scritto lei i biglietti? La Madonna in persona ha parlato a don Bosco? Don Bosco è il segretario della Madonna? Io vi rispondo: non vi dirò niente di più di ciò che ho detto. I biglietti li ho scritti io, ma come sia avvenuto non ve lo posso dire, né alcuno si prenda l'incarico di domandarmelo perché mi metterebbe negli imbrogli.
Ciascuno si contenti di sapere che il biglietto viene dalla Madonna. E una grazia speciale. È da anni che domando questa grazia, e finalmente l'ho ottenuta. Venite dunque in camera mia e darò a ciascuno il proprio biglietto. Vi assicuro che nemmeno io so quel che è scritto su ogni singolo biglietto. Io li ho scritti sopra un quaderno; accanto al biglietto c'è il nome di ognuno di voi; taglio il biglietto e trattengo i nomi. Per cui se qualcuno lo perde o se lo dimentica, non ci posso più far nulla. Dato che la faccenda è molto lunga, in queste sere potrete incominciare a sfilare in camera mia. Dormite bene e buona notte».
I giovani si affrettarono ad affollarsi con grande ansietà nella camera di don Bosco e ricevettero il loro biglietto personale. Chi era fuori di sé dalla gioia, chi piangeva, chi se ne stava appartato; qualcuno lo faceva vedere ai compagni; altri lo tenevano gelosamente nascosto. Ma per ognuno c'era la parola giusta della Madonna, la rivelazione delle proprie doti particolari, utilizzate o no.
Don Bosco sapeva bene che i ragazzi hanno qualche dote che può diventare la qualità che più li distingue dagli altri. Quante doti aspettano di essere riconosciute: nei più bravi che non vogliono farsi avanti; in quelli che sono lenti per natura ma che poi finiscono con il fare un lavoro magnifico; chi ha hobbies al di fuori della scuola; occorre essere pronti a scoprire e incoraggiare queste doti naturali dei giovani.
Il sogno dei due Samaritani
Nell'aprile del 1864, a Torino, don Bosco tenne un corso di Esercizi spirituali ai suoi giovani, seguiti con grande fervore. I ragazzi ne uscirono con una freschezza di gioia nel cuore.
Come spesso succede dopo gli Esercizi, c'era stato subito dopo un crollo improvviso. Il demonio, cacciato fuori, aveva scoperto (come narra Gesù in una parabola) che la casa era pulita, spazzata, adorna, ma vuota e allora, con sette spiriti peggiori, tentava di riprenderne possesso.
Don Bosco ebbe due sogni. Così narra il primo:
«La notte che precedeva il 3 aprile mi pareva di stare dal balcone a guardare i ragazzi che si divertivano nel cortile. All'improvviso vidi apparire un vasto lenzuolo bianco che si stese a coprire tutto il cortile; i ragazzi continuavano a giocare e a gridare. Poi, vidi molti uccellacci e spaventosi corvi svolazzare sopra quel lenzuolo cercando un varco; appena lo trovavano picchiavano addosso ai giovani e li beccavano. Ogni volta che raggiungevano i ragazzi ne facevano strage: a chi cavavano gli occhi; ad altri bucavano la lingua tanto da ridurla in frammenti; ad altri ancora beccavano la fronte; a molti straziavano e laceravano il cuore. E, cosa strana, nessuno dei ragazzi feriti reagiva; tutti restavano come insensibili, non cercavano neppure di difendersi. Subito dopo, udii un gemito corale, straziante, prolungato: i feriti dai corvi si agitavano, gridavano e si ritiravano lontani dagli altri. Mentre stavo ragionando su quello che vedevo, udii bussare alla porta e mi svegliai».
Dopo aver raccontato il sogno ai ragazzi, don Bosco notò che nelle settimane successive pochi ragazzi si confessarono e le comunioni calavano. Allora il sogno si ripresentò:
«Mi pareva di trovarmi presso la ringhiera a guardare i ragazzi in ricreazione. Di lassù vedevo i ragazzi feriti dai corvi. Ed ecco, vidi avanzare un Personaggio con un flacone di balsamo, un medicinale meraviglioso, accompagnato da un individuo che teneva in mano un pannolino. I due pietosi Samaritani cominciarono a medicare le piaghe dei feriti; appena spalmavano l'unguento, i feriti guarivano di colpo. Ne vidi alcuni però che, all'avvicinarsi dei due prodigiosi infermieri, si scostavano e fuggivano perché non volevano essere guariti. Io li conosco tutti e procurerò di sanare le loro ferite.
Il Personaggio misterioso col vasetto di medicinale era Gesù; chi l'accompagnava era il sacerdote».
L'usignolo e lo sparviero
Tra il 3 e il 7 luglio 1872 il caldo stagnava sulla città di Torino. Don Bosco in quei giorni pregò il Signore di fargli conoscere la cartella clinica spirituale dei suoi ragazzi. E una notte sognò quanto narrò poi nel sermoncino detto «la buona notte» con cui era solito congedarsi dai suoi figlioli al termine d'ogni giorno.
«Mi pareva di trovarmi in un cortile molto spazioso, circondato e cintato di case, di piante e di cespugli. Sui rami degli alberi e tra la verzura pigolavano uccelli dentro i nidi, pronti ormai a spiccare i primi voli. A un tratto mi cadde davanti ai piedi un piccolo usignolo; volevo raccoglierlo, ma l'usignolo mi sfuggì e se ne volò al centro del cortile. Lo rincorsi per aiutarlo, ma quello sbatté le ali e sfrecciò verso il cielo. Di colpo gli piombò addosso uno sparviero, lo ghermì e se lo portò via per divorarselo.
"Povero usignoletto - mormorai - io volevo salvarti, ma tu mi sei sfuggito. Perché hai fatto questo?". Mi rispose un flebile lamento, come un accorato pigolio, poi udii una voce chiara che diceva: "Siamo in dieci, siamo in dieci, siamo in dieci". Lì per li mi svegliai; ma la notte seguente ripresi il sogno dal punto d'interruzione precedente.
Vidi volteggiare nell'aria lo sparviero; io lo rimproverai per la sua crudele rapina. Subito mi cadde ai piedi un biglietto su cui erano scritti i nomi di dieci ragazzi, che avevano la cartella clinica della loro anima molto disastrata: in quel mese di luglio si erano rovinati spiritualmente».
Fin qui il sogno. Don Bosco era persuaso che le vacanze sono un tempo difficile per i giovani, una specie di pericoloso collaudo e usava una frase molto espressiva: «I ragazzi vanno in vacanza con ali di colomba e tornano in autunno con le corna del diavolo».
Voleva dire che i giovanetti, quando vanno in vacanza, si fanno l'idea - anche se non l'esprimono in modo esplicito - che sia meglio vivere in fretta, perché il domani potrebbe non venire mai. E per troppi ragazzi vivere in fretta si traduce in dolorose esperienze di peccato.
Tocca ai genitori e agli educatori vigilare sul comportamento dei loro ragazzi e tenerli sotto un amorevole e dolce controllo.
Un sogno missionario rivelatore.
L'immensa pianura e gli uomini feroci
Tra il 1871 e il 1872 don Bosco fece un sogno nel quale convergono il fervore immaginoso degli anni giovanili in cui vagheggiava di andar missionario e insieme si profila il campo specifico della futura missione dei salesiani. Il Santo lo narrò prima a Pio 9° e poi ai suoi preti Lemoyne e Barberis che lo trascrissero fedelmente.
«Mi parve di trovarmi in una regione selvaggia e totalmente sconosciuta. Era un'immensa pianura incolta, nella quale non si scorgevano né colline né monti. Nelle estremità lontanissime, però, si stagliavano scabrose montagne. Vidi turbe di uomini che la percorrevano. Erano quasi nudi, di statura straordinaria, aspetto feroce. Avevano capelli ispidi e lunghi, colore abbronzato e nerognolo. Erano vestiti soltanto di larghi mantelli di pelli di animali, che scendevano loro dalle spalle. Per armi usavano una lunga lancia e la fionda.
Quelle tribù di uomini sperse offrivano allo sguardo scene diverse: alcuni correvano dando la caccia alle fiere; altri andavano, portando conficcati sulle punte delle lance pezzi di carne sanguinolenta. Gli uni combattevano fra di loro; gli altri venivano alle mani con soldati vestiti all'europea, e il terreno era sparso di cadaveri. Io fremevo a quello spettacolo.
Ed ecco spuntare all'estremità della pianura molte persone: dal vestito e dal modo di agire capii che erano missionari di vari Ordini. Si avvicinavano per predicare a quei barbari la religione di Gesù Cristo. Li fissai ben bene, ma non conobbi nessuno. Andarono in mezzo a quei selvaggi: i barbari però appena li videro, con furore si avventarono contro e li uccidevano. Ficcavano i macabri trofei sulla punta delle loro lunghe picche.
Intanto vidi in lontananza un drappello di altri missionari che si avvicinavano ai selvaggi con volto ilare, preceduti da una schiera di giovanetti. Io tremavo pensando: "Vengono a farsi uccidere". E mi avvicinai. Erano chierici e preti. Li fissai con attenzione e li riconobbi per nostri salesiani. I primi mi erano noti, e sebbene non abbia potuto conoscere personalmente molti altri che seguivano i primi, mi accorsi essere anch'essi missionari salesiani, proprio dei nostri.
"Come mai?" dissi tra me. Non avrei voluto lasciarli andare avanti, ed ero li per fermarli. Mi aspettavo che da un momento all'altro toccasse loro la stessa sorte dei primi missionari, quando vidi che il loro comparire metteva allegria in tutte quelle tribù dei barbari. Abbassarono le armi, deposero la loro ferocia, e accolsero i nostri con ogni segno di cortesia. Meravigliato dicevo tra me: "Vediamo un po' come va a finire!". E vidi che i nostri missionari si avanzavano verso quei selvaggi, li istruivano, ed essi ascoltavano volentieri la loro voce. Insegnavano, ed essi imparavano con premura. Ammonivano, ed essi accettavano e mettevano in pratica i loro ammonimenti.
Stetti ad osservare: i missionari recitavano il Rosario, e i selvaggi rispondevano a quella preghiera. Dopo un po' i salesiani andarono a porsi nel centro di quella folla che li circondò. S'inginocchiarono. I selvaggi, deposte le armi, piegarono essi pure le ginocchia. Ed ecco uno dei salesiani intonare Lodate Maria, o lingue fedeli, e quelle turbe, tutte a una voce, continuarono il canto, con tanta forza di voce che io, quasi spaventato, mi svegliai».
E riconoscibile la sceneggiatura delle immense distese della Patagonia, del Chaco, della Terra del Fuoco con la cornice innevata delle Ande altissime. I poveri indios selvaggi... da salvare. Solo il 29 gennaio 1875 don Bosco annunciò la prima spedizione missionaria in Argentina che sarebbe stata guidata da don Giovanni Cagliero.
Il sogno dell'identità salesiana
«Sono miei figli e li affido a te...»
È del 1877 il sogno profetico nel quale il carisma proprio della famiglia salesiana è reso in trasparenza: dedicarsi alla formazione cristiana dei ragazzi, mediante una tenera devozione a Maria.
Parve a don Bosco di trovarsi in un luogo sconosciuto, ma nell'ambiente familiare della sua infanzia tribolata: un rustico, attrezzi agricoli sparsi su un'aia. È l'alba. Silenzio. D'un tratto s'ode una voce. Appare un ragazzo di stalla (com'era stato lui stesso alla cascina Moglia) vicino a una Donna soave, vestita da contadina. Il ragazzo canta in francese: «Amico venerato, sii per noi padre diletto». Don Bosco si smarrisce e non riesce a capire. Il ragazzo continua a cantare: «I miei compagni ti diranno ciò che vogliamo». All'improvviso irrompono sull'aia una vera fiumana di giovani che ritmano un coro: «O nostra guida, menaci al giardino della bontà». «Ma chi sono questi ragazzi?» domanda imbarazzato don Bosco. Gli rispondono in canto: «La nostra patria è il paese di Maria».
Allora si avanza la gentilissima Donna; prende per mano il ragazzetto cantore, accenna agli altri ragazzi di seguirla e si sposta verso un'altra aia più grande, non molto lontana, prospiciente un grosso fabbricato. La Donna dall'aspetto misterioso e celestiale si volge a don Bosco e gli dice: «Questi giovani sono tutti tuoi». «Miei? - risponde turbato don Bosco. - Ma con quale autorità lei me li affida?». «Con quale autorità? - La Donna ha un leggero sbalzo di voce e un filo di sorriso. - Sono miei figli e li affido a te». «Ma come farò con tanti giovani così chiassosi e irrequieti?». «Osserva», gli ingiunge la Donna.
Don Bosco si volge e vede una grande schiera di ragazzi che avanzano. La Madonna getta su di loro un suo lungo velo azzurrino; poi lo ritira. E di colpo, come al tocco di una bacchetta magica, quei ragazzi diventano adulti: preti e chierici. «E questi preti e chierici sono miei?» chiede don Bosco. «Saranno tuoi se saprai formarteli» conclude la Donna e scompare con un sorriso.
La gemma preziosa
Un altro sogno stupendo è del 1885, pochi anni prima della morte del Santo. È una sceneggiata poetica, secondo il gusto del tempo, volta a far capire ai ragazzi il valore della virtù della castità, la sua bellezza rara e preziosa. E la pulizia interiore che onora la vita, l'arricchisce, la rende capace di amore vero, disinteressato, generoso, libero e rispettoso degli altri.
Racconta don Bosco:
«Mi pareva - raccontò - di trovarmi davanti a un immenso, incantevole declivio; verdeggiava in dolce pendio: sembrava un paradiso terrestre, illuminato da una luce più abbagliante del sole. L'erba pettinatissima era punteggiata di fiori. In mezzo vi si stendeva un tappeto di un candore così niveo da accecare. Sugli orli del tappeto si leggeva, a caratteri d'oro, la seguente scritta: "Beati i puri che camminano secondo la Legge del Signore. Dio non priverà di beni quanti camminano nell'innocenza. Non resteranno confusi in tempi critici e si sazieranno durante i giorni di carestia. Il Signore conosce i giorni degli immacolati e la loro eredità perdurerà in eterno".
"Poi vidi due stupende fanciulle dodicenni sedute sul margine del tappeto dove il declivio faceva scalino. Il loro contegno era dignitoso; irradiavano dagli occhi una gioia di felicità celestiale. Sulle loro labbra sfavillava un dolce sorriso. Una veste bianca scendeva fino ai loro piedi e una cintura rossa fiammeggiante con bordi d'oro allacciava i fianchi. Portavano al collo come monile un nastro di corolle di gigli, di viole, di rose. Come braccialetti avevano ai polsi un mazzo di margherite. Ma la bellezza e il fulgore di quei fiori non erano confrontabili con le gemme più preziose. Una capigliatura gli scendeva lungo le spalle. Cominciarono un colloquio con uno squillo incantevole di voce.
Una di loro disse: "Che cos'è l'innocenza? È lo stato felice della Grazia santificante conservata per mezzo della costante ed esatta osservanza della Legge di Dio". E l'altra fanciulla ribatteva: "La purezza è fonte e origine di ogni scienza e di tutte le virtù".
La prima riprese il duetto dopo un attimo di silenzio e disse: "Oh, se i giovani conoscessero quale prezioso tesoro è l'innocenza! Ma purtroppo non riflettono e non pensano quale danno si infliggono quando la macchiano. L'innocenza è come uno squisitissimo liquore". E la seconda fanciulla aggiunse: "D'accordo, ma è racchiuso dentro un flacone di fragilissimo cristallo; se non è portato con grande cautela facilmente s'infrange come il vetro soffiato". E la prima ancora: "L'innocenza è una gemma preziosissima". La seconda commentò: "Ma chi non ne conosce il valore, la perde con facilità; e la baratta con qualsiasi oggetto vile e banale"».
Ultimo sogno missionario.
I salesiani, con Maria, in tutto il mondo
Durante la notte dal 9 al 10 aprile del 1886 don Bosco fece un altro stupendo sogno missionario. Gli pareva di essere vicino alla casa nativa presso Castelnuovo su un poggio detto «Colle del vino». Di lassù lo sguardo spaziava. Ed ecco, ode lo strepito e il chiasso di una numerosa moltitudine di ragazzi. Poco dopo se li vede spuntare dinanzi e corrergli incontro per gridargli: «Ti abbiamo aspettato tanto, ma finalmente ci sei e non ci sfuggirai».
Don Bosco li guarda e si chiede che cosa vogliano da lui. A un tratto vede avanzare un immenso gregge guidato da una Pastorella che, separati gli agnelli dalle pecore, si ferma dinanzi a lui per dirgli: «Guarda ciò che ti sta dinanzi. Ebbene: ricorda il sogno da te fatto a nove anni di età». Con un sorriso fa venire attorno a don Bosco i ragazzi, e gli dice: «Guarda ora da questa parte; spingi il tuo sguardo. Anzi, spingetelo voi tutti per leggere quanto sta scritto. Che cosa si vede?». «Scorgo montagne, poi mare e altri monti e mari» risponde don Bosco. «Io leggo Valparaiso» trilla un fanciullo. «E io Santiago» interloquisce un ragazzo.
«Adesso - continua la Pastorella - volgiti a guardare da questa parte». «Scorgo montagne, colline e mari», soggiunge don Bosco. «Noi leggiamo Pechino» esclamano i ragazzi. E don Bosco vede un'immensa città attraversata da un largo fiume su cui si scorgevano ponti lunghissimi. «Bene» approva la nobile e stupenda Pastorella, che sembra la Mamma di tutti quei giovani. Poi aggiunge: «Ora, tira una sola linea da un'estremità all'altra, da Pechino a Santiago; fa' centro nel mezzo dell'Africa, e avrai un'idea esatta di quanto dovranno fare i tuoi salesiani». «Ma come è possibile fare tutto questo? - obietta don Bosco. - Le distanze sono immense, i luoghi inaccessibili; sono pochi i salesiani...». «Non ti turbare. Faranno questo i tuoi figli e i figli dei tuoi figli e i loro figli ancora; ma si procuri di conservare lo spirito della tua Congregazione».
Poi con uno sguardo profondo la Pastorella aggiunge: «Mettiti di buona volontà. C'è una sola cosa da fare: raccomanda ai tuoi figli che coltivino costantemente le virtù della Vergine Madre». «Ebbene - conclude don Bosco - predicherò a tutti queste parole». «Sta' attento però con quelli che studiano le scienze divine, perché la scienza del Cielo non si deve mischiare con le cose della terra». Di colpo, tutto si eclissa e svanisce. Don Bosco non vede più nulla.
Quando don Bosco raccontò per la prima volta questo sogno, gli facevano corona alcuni sacerdoti che di tratto in tratto esclamavano: «Oh, la Madonna!». E don Bosco sottolineava: «Lei ci ama. È la Mamma».
Intervista a don Bosco
L'intervista è lo scoop (la trovata che fa colpo) del giornalismo moderno. Oggi tutti i personaggi si fanno intervistare per i mass media e per farsi conoscere al mondo. Don Bosco non amava la pubblicità. Ma era divenuto una personalità di calibro mondiale, specie sulla fine della sua vita, e non poté sfuggire alle domande dirette di un reporter del journal de Rome, che lo affrontò appunto a Roma nell'aprile del 1884. L'intervista fu pubblicata sul giornale il 25 aprile 1884. Eccone uno stralcio:
D. - Vorrebbe dirci qual è il suo sistema educativo?
R. - Semplicissimo: lasciare ai giovani piena libertà di fare le cose che loro sono maggiormente simpatiche. Il punto sta nello scoprire quali sono i germi delle loro buone qualità, e poi procurare di svilupparli. Ognuno fa con piacere solo quello che sa di poter fare. Io mi regolo con questo principio, e i miei allievi lavorano tutti non solo con attività, ma con amore. In 46 anni non ho mai inflitto un solo castigo. E oso affermare che i miei alunni mi vogliono molto bene. Il mio sistema, voi l'avete capito, è educare con ragione, religione e amore.
D. - Come ha fatto a estendere le sue opere fino alla Patagonia e alla Terra del Fuoco?
R. - Un po' alla volta.
D. - Che cosa ne pensa delle condizioni della Chiesa in Europa, in Italia e del suo avvenire?
R. - Io non sono un profeta. Lo siete invece un po' tutti voi, giornalisti. Quindi è a voi che bisognerebbe domandare che cosa accadrà. Nessuno, eccetto Dio, conosce l'avvenire. Tuttavia, umanamente parlando, c'è da credere che l'avvenire sarà grave. Le mie previsioni sono molto tristi, ma non temo nulla. Dio salverà sempre la sua Chiesa, e la Madonna, che visibilmente protegge il mondo contemporaneo, saprà far sorgere dei redentori.
Fine testo, segue l'indice.
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