La prima Comunione
Avevo undici anni quando fui ammesso alla prima Comunione. Conoscevo ormai tutto il catechismo, ma nessuno veniva ammesso alla Comunione prima dei dodici anni. Poiché la chiesa era lontana, non ero conosciuto dal parroco. L'istruzione religiosa me la procurava quasi soltanto mia mamma. Essa desiderava farmi compiere al più presto quel grande atto della nostra santa religione, e mi preparò con impegno, facendo tutto quello che poteva.
Durante la quaresima mi mandò ogni giorno al catechismo. Al termine diedi l'esame, fui promosso, e venne fissato il giorno in cui insieme agli altri fanciulli avrei potuto fare la Comunione di Pasqua.
Durante la quaresima, mia mamma mi aveva condotto tre volte alla confessione. Mi ripeteva:
- Giovanni, Dio ti fa un grande dono. Cerca di comportarti bene, di confessarti con sincerità. Domanda perdono al Signore, e promettigli di diventare più buono.
Ho promesso. Se poi abbia mantenuto, Dio lo sa. Alla vigilia mi aiutò a pregare, mi fece leggere un buon libro, mi diede quei consigli che una madre veramente cristiana sa pensare per i suoi figli.
Nel giorno della prima Comunione, in mezzo a quella folla di ragazzi e di genitori, era quasi impossibile conservare il raccoglimento. Mia madre, al mattino, non mi lasciò parlare con nessuno. Mi accompagnò alla sacra mensa. Fece con me la preparazione e il ringraziamento, seguendo le preghiere che il parroco, don Sismondo, faceva ripetere a tutti a voce alta.
Quel giorno non volle che mi occupassi di lavori materiali. Occupai il tempo nel leggere e nel pregare.
Mi ripeté più volte queste parole:
- Figlio mio, per te questo è stato un grande giorno. Sono sicura che Dio è diventato il padrone del tuo cuore. Promettigli che ti impegnerai per conservarti buono tutta la vita. D'ora innanzi vai sovente alla comunione, ma non andarci con dei peccati sulla coscienza. Confessati sempre con sincerità. Cerca di essere sempre obbediente. Recati volentieri al catechismo e a sentire la parola del Signore. Ma, per amor di Dio, stai lontano da coloro che fanno discorsi cattivi: considerali come la peste.
Ho sempre ricordato e cercato di praticare i consigli di mia madre. Da quel giorno mi pare di essere diventato migliore, almeno un poco. Prima provavo una grande ripugnanza a obbedire, ad accettare le decisioni degli altri. Rispondevo sempre a chi mi dava un comando o un consiglio.
C'era un fatto che mi preoccupava: non c'era nessuna chiesa dove potessi andare a pregare o a cantare con i miei amici. Per ascoltare una lezione di catechismo o una predica, dovevo andare a Castelnuovo o a Buttigliera, cioè camminare per dieci chilometri tra andata e ritorno. Questo era anche il motivo per cui molti venivano volentieri ad ascoltare le mie «prediche di saltimbanco ».
Missione a Buttigliera
Ci fu una « missione predicata » nel paese di Buttigliera. Vi andai e potei ascoltare molte conversazioni religiose. Veniva gente da ogni parte, attirata dalla celebrità dei missionari. Ogni sera potevamo ascoltare una lezione sulla religione cristiana e fare una meditazione sulle verità eterne. Poi ognuno tornava a casa sua.
Una di quelle sere tornavo a casa mescolato a molta gente. Tra gli altri, c'era un certo don Calosso, di Chieri, che da poco era venuto come cappellano a Morialdo. Era un prete molto buono, anziano. Camminava tutto curvo, eppure faceva tutta quella strada per ascoltare con noi la « missione ».
Quattro soldi per quattro parole
Vedendomi così giovane (ricordo che ero piccolo di statura, avevo la testa scoperta, i capelli ricciuti, e stavo in silenzio in mezzo agli altri) mi guardò per qualche istante, poi cominciò a parlarmi:
- Di dove sei, figlio mio? Sei venuto anche tu alla missione? - Sì, sono stato alla predica dei missionari.
- Chissà cos'hai capito! Forse tua mamma ti avrebbe potuto fare una predica più opportuna, non è vero?
- E’ vero, mia mamma mi fa sovente delle buone prediche. Ma mi pare di avere capito anche i missionari.
- Su, se mi dici quattro parole della predica di oggi, ti do quattro soldi.
- Vuole che le dica qualcosa sulla prima o sulla seconda predica?
- Ciò che vuoi. Mi bastano quattro parole. Ti ricordi l'argomento della prima predica?
- Sì: la necessità di essere amici di Dio, di non ritardare la propria conversione.
- E che cosa disse il predicatore? - aggiunse il vecchio prete che cominciava a meravigliarsi.
- Ricordo perfettamente. Le recito tutta la predica. Senza difficoltà esposi l'introduzione, poi i tre punti dello svolgimento: colui che ritarda la propria conversione corre il rischio che gli manchi il tempo, la grazia di Dio o la volontà. Don Calosso mi lasciò esporre per oltre mezz'ora mentre camminavamo tra la gente. Poi mi domandò:
- Come ti chiami? Chi sono i tuoi genitori? Hai frequentato molte scuole?
- Mi chiamo Giovanni Bosco. Mio padre è morto quando ero ancora un bambino. Mia madre è vedova con tre figli da mantenere. Ho imparato a leggere e a scrivere.
- Non hai studiato la grammatica latina? - Non so che cosa sia.
- Ti piacerebbe studiare? - Moltissimo.
- Che cosa te lo impedisce? - Mio fratello Antonio.
- Perché tuo fratello Antonio non vuole che studi?
- Dice che andare a scuola vuol dire perdere tempo. Ma se potessi andare a scuola, io il tempo non lo perderei. Studierei molto.
- E perché vorresti studiare? - Per diventare prete.
- E perché vuoi diventare prete?
- Per istruire nella religione tanti miei compagni. Non sono cattivi, ma lo diventeranno se nessuno li aiuta. Io voglio stare vicino a loro, parlare, aiutarli.
Queste mie parole schiette e franche fecero molta impressione su don Calosso, che continuava a guardarmi. Giungemmo così a un incrocio dove le nostre strade si separavano. Mi disse queste ultime parole:
- Non scoraggiarti. Penserò io a te e ai tuoi studi. Domenica vieni a trovarmi con tua madre, e vedrai che aggiusteremo tutto.
La domenica seguente entrai nella sua casa insieme a mia mamma. Si misero d'accordo che mi avrebbe fatto un po' di scuola ogni giorno. Il resto della giornata l'avrei passato lavorando nei campi, per accontentare Antonio. Mio fratello fu d'accordo, perché avrei cominciato le lezioni dopo l'estate, quando il lavoro nei campi non è più urgente.
La sicurezza di avere una guida
Da quando cominciai a recarmi da don Calosso, ebbi piena confidenza in lui. Gli raccontai ciò che facevo, ciò che dicevo, gli confidai persino i miei pensieri. Così egli poté darmi i consigli giusti.
Provai per la prima volta la sicurezza di avere una guida, un amico dell'anima. Per prima cosa mi proibì una penitenza che facevo, non adatta alla mia età. Mi incoraggiò invece ad andare con frequenza alla confessione e alla Comunione. Mi insegnò pure a fare ogni giorno una piccola meditazione, o meglio una lettura spirituale.
Tutto il mio tempo libero, nei giorni di festa, lo passavo con lui. Nei giorni feriali andavo a servirgli la santa Messa ogni volta che potevo. In quel tempo ho cominciato a provare la gioia di avere una vita spirituale. Fino allora avevo vissuto molto materialmente, quasi come una macchina che fa una cosa ma non sa perché.
A metà settembre cominciarono le lezioni di italiano. Studiai tutta la grammatica e mi esercitai nei componimenti. A Natale presi in mano la grammatica latina. A Pasqua cominciai gli esercizi di traduzione dal latino in italiano e dall'italiano in latino.
In tutto questo tempo non ho mai smesso di dare spettacolo sul prato nella bella stagione, e nelle stalle d'inverno. I fatti che mi raccontava don Calosso, e anche le sue parole, servivano ad irrobustire le mie «prediche».
Ero felice. Mi sembrava che ogni mio desiderio fosse appagato. Invece una nuova disgrazia, una grave sofferenza, venne a troncare tutte le mie speranze.
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