Qui troverai degli episodi di don Bosco tratti dalle memorie dell'Oratorio, nei quali racconta l'importanza di accerchiarsi fin dall'adolescenza di buone vere amicizie
Don Bosco fin da subito si accerchia di vere e solide amicizie perché capisce che fare il bene da solo non basta o almeno che se ne può fare molto di più con l’aiuto di qualcun altro. Per lui, quindi, la chiave diventa il gruppo, la compagnia vista come aiuto vicendevole al compimento del bene e al cammino verso il Signore.
Nelle prime quattro classi dovetti imparare a mie spese a trattare con i compagni.
Li avevo divisi mentalmente in tre categorie: buoni, indifferenti, cattivi. I cattivi, appena conosciuti, li evitavo assolutamente e sempre. Gli indifferenti li avvicinavo se ce n'era bisogno e li trattavo con cortesia. I buoni cercavo di farmeli amici, li trattavo con familiarità.
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Formammo una specie di gruppo, e lo battezzammo Società dell'Allegria. Il nome fu indovinato, perché ognuno aveva l'impegno di organizzare giochi, tenere conversazioni, leggere libri che contribuissero all'allegria di tutti. Era vietato tutto ciò che produceva malinconia, specialmente la disobbedienza alla legge del Signore. Chi bestemmiava, pronunciava il nome di Dio senza rispetto, faceva discorsi cattivi, doveva andarsene dalla Società.
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Posso dire che da lui ho imparato a vivere da vero cristiano. Ci siamo capiti e stimati immediatamente. Avevamo bisogno l'uno dell'altro: io di aiuto spirituale, lui di aiuto materiale […].
Aveva una bontà veramente incredibile. Finii per arrendermi alle sue parole e per lasciarmi guidare da lui.
Luigi Comollo, Guglielmo Garigliano ed io andavamo sovente insieme alla confessione e alla Comunione, a far meditazione e lettura spirituale, a servire la santa Messa e a far visita a Gesù Sacramentato. Luigi sapeva invitarci con tale bontà e cortesia, che non era possibile dirgli di no.
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Pochi minuti dopo incontrammo alcuni allievi delle classi superiori, che ci invitarono a fare un bagno nel corso d'acqua chiamato Fontana Rossa. Era distante un paio di chilometri.
Con alcuni amici mi dichiarai contrario. Ma non tutti mi ascoltarono. Mentre molti tornavano a casa con me, alcuni andarono a nuotare. Fu una decisione disgraziata.
Poche ore dopo il nostro rientro, arriva di corsa uno, poi un altro dei nostri compagni. Spaventati e ansanti dicono: “Filippo è morto. Si, proprio Filippo, quello che ha insistito perché andassimo a nuotare.”
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Da quel giorno cominciò ad affezionarsi alla religione cattolica. Quando veniva al caffè, dopo una partita a bigliardo mi cercava per discutere. Approfondivamo insieme le risposte del catechismo e i problemi della religione.
In pochi mesi imparò il segno della Croce, il Padre nostro, l'Ave Maria, il Credo e le verità fondamentali della fede. Era molto contento. Si notava di giorno in giorno che diventava migliore nella conversazione e nel comportamento […].
“Io non sono andato in cerca di suo figlio. Ci siamo incontrati nella bottega del libraio Elia e siamo diventati amici. Egli mi è molto affezionato, e anch'io gli voglio bene. Da vero amico voglio che salvi la sua anima, che conosca la religione cristiana, unica via di salvezza.”
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In quel tempo arrivò a Chieri un saltimbanco che iniziò i suoi spettacoli con una poderosa corsa a piedi: percorse la città da un'estremità all'altra in due minuti e mezzo, cioè alla velocità di un treno. Alcuni miei amici me ne parlarono con occhi dilatati, come di un fenomeno.
Senza badare alla conseguenza delle mie parole, dissi che avrei dato chissà che cosa per provare a batterlo. Un compagno imprudente riferì la cosa al saltimbanco, che accettò immediatamente la sfida. Per Chieri si sparse in un lampo la notizia: uno studente sfida un campione professionista.
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