Dunque, il 1° agosto 1605 fa questa confidenza alla Chantal che gli aveva scritto circa le sue tentazioni: “Ieri per tutto il giorno avevo una volontà così impotente che credo che un acaro l’avrebbe abbattuta…ma ora la tentazione mi è stata tolta dalla confessione che ho appena fatto”.
Alla vigilia di iniziare la visita pastorale alla diocesi, scrive una lettera in cui confida di essere pronto e con mille consolazioni nel cuore al pensiero di intraprendere la visita, mentre nei giorni precedenti, per molti giorni, era stato preso “da mille vane apprensioni e tristezze” e se pur non erano volute né tantomeno voleva soffermarsi in quelle malinconie, tuttavia lo facevano fremere come i brividi del primo freddo pensando alle fatiche e alle incognite che avrebbe trovato.
In un’altra lettera confida la profonda tristezza che lui stesso aveva sperimentato per ben 6 settimane al pensiero di una possibile morte improvvisa e dei giudizi di Dio e “per questo, scrive, la mia anima è ben capace di compatire quanti sono afflitti da questa stessa tristezza”
In occasione della morte della mamma (quando lui aveva 43 anni) dopo aver riconosciuto la bontà provvidente di Dio in quel sereno trapasso confessa ad una persona da lui spiritualmente consigliata e guidata, di averne provato grande pena/dolore/tristezza viva/acuta; nonostante questo era tranquillo solo perché vedeva che il Signore gli aveva chiesto la mamma altrimenti “avrei gridato sotto questo colpo”.
La tristezza può essere buona o cattiva, secondo i diversi effetti che produce in noi. Due effetti prodotti dalla tristezza sono buoni: la misericordia e la penitenza, cioè il dispiacere per il male commesso e il desiderio di metterci rimedio. Mentre sei sono i cattivi, cioè l’angoscia, la pigrizia, lo sdegno, la gelosia, l’invidia e l’impazienza.
Il diavolo si serve della tristezza per tentare i buoni; infatti, come cerca di far sì che i cattivi si compiacciano nel loro peccato, così fa in modo di contristare i buoni nelle loro buone opere; e come non può procurare il male che facendolo apparire piacevole, così non può distogliere dal bene che con il farlo sembrare spiacevole. Il maligno si compiace della tristezza e della malinconia, perché è egli stesso triste e malinconico, e tale sarà in eterno, per cui vorrebbe che tutti fossero come lui.
La cattiva tristezza conturba l’anima, la rende inquieta, causa timori ingiustificati, allontana dall’orazione, intorpidisce ed opprime la mente, priva l’anima del consiglio, della risoluzione, del giudizio e del coraggio, ed abbatte le forze. In breve la tristezza è come un duro inverno che devasta tutta la bellezza della terra ed intorpidisce tutti gli animali, poiché toglie ogni soavità all’anima e la rende quasi paralitica ed impotente in tutte le sue facoltà.
La tristezza secondo Dio, frutto della vera penitenza, non è propriamente triste, ma è sollecita a detestare il male commesso e vigilante per evitarlo in futuro e più che tristezza sarebbe meglio chiamarla dispiacere. Essa non è mai amara e stizzosa, non intorpidisce il cuore, ma lo rende pronto e diligente nel bene poiché proviene dall’amore, suscita la preghiera e la speranza e finisce con il produrre la dolcezza della consolazione. Se invece nella penitenza l’anima si mostra aspra, ansiosa, impaziente e inquieta, è chiaro segno che tale tristezza non viene dalla carità, ma dall’amor proprio.
La tristezza secondo il mondo è sempre da evitare perché produce la morte dell’anima. Se dipende dall’umore naturale, dobbiamo respingerla opponendole movimenti e sentimenti contrari. Se deriva da tentazione, bisogna aprire bene il cuore al padre spirituale che ci prescriverà i mezzi per vincerla. Se è motivata dalle circostanze, dobbiamo farne occasione per esercitare la santa rassegnazione.
La tristezza è quasi sempre inutile, anzi contraria al servizio del santo amore Ci sono alcune passioni quali l’ira, la collera o la disperazione che è quasi impossibile possano obbedire e servire al santo amore. La disperazione è del tutto inutile all’amore, a meno che non si traduca in diffidenza verso se stessi o disincanto verso le vanità e le promesse mondane.
Quanto alla tristezza, dobbiamo distinguere la tristezza secondo Dio e la tristezza del mondo. La prima è positiva ed è quella che provano i peccatori mossi a pentimento o i buoni nella compassione delle disgrazie altrui, sia spirituali sia temporali. La tristezza del mondo:
La tristezza secondo Dio, frutto della vera penitenza, non è propriamente triste, ma è sollecita a detestare il male commesso e vigilante per evitarlo in futuro e più che tristezza sarebbe meglio chiamarla dispiacere. Essa non è mai amara e stizzosa, non intorpidisce il cuore, ma lo rende pronto e diligente nel bene poiché proviene dall’amore, suscita la preghiera e la speranza e finisce con il produrre la dolcezza della consolazione. Se invece nella penitenza l’anima si mostra aspra, ansiosa, impaziente e inquieta, è chiaro segno che tale tristezza non viene dalla carità, ma dall’amor proprio. La tristezza secondo il mondo è sempre da evitare perché produce la morte dell’anima. Se dipende dall’umore naturale, dobbiamo respingerla opponendole movimenti e sentimenti contrari. Se deriva da tentazione, bisogna aprire bene il cuore al padre spirituale che ci prescriverà i mezzi per vincerla. Se è motivata dalle circostanze, dobbiamo farne occasione per esercitare la santa rassegnazione.
(cfr. TAD libro VIII)
Salmo 90
Tu che trovi rifugio nell’Altissimo,trascorri la notte sotto la sua protezione, di’ al Signore, l’Onnipotente:«Tu sei mia difesa e salvezza.Sei il mio Dio: in te confido!».
È vero: il Signore ti libererà dalle trappole dei tuoi avversari, dalla peste che distrugge.
Ti darà riparo sotto le sue ali, in lui troverai rifugio,la sua fedeltà ti sarà scudo e corazza.
Non temerai i pericoli della notte,
né la freccia scagliata di giorno,
la peste che si diffonde nelle tenebre,
la febbre che colpisce in pieno giorno.
Mille potranno morire al tuo fianco,diecimila alla tua destra,
ma tu non sarai colpito!
Basterà che tu apra gli occhi
e vedrai come Dio punisce i malvagi.
«Signore, tu sei il mio rifugio!».
Ti sei messo al riparo dell’Altissimo,
e non ti accadrà nulla di male,
nessuna disgrazia toccherà la tua casa.
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