6. TRE ANNI IN CASCINA E UNO IN CANONICA

6. TRE ANNI IN CASCINA E UNO IN CANONICA

 

Erano passati alcuni giorni. Luigi Moglia disse a Dorotea:
- Non abbiamo fatto un affare cattivo a prendere quel ragazzo.
Giovanni Bosco si era messo a lavorare con impegno, e si dimostrava volenteroso e obbediente. La sua incombenza era quella di badare alla stalla. Il lavoro più pesante consisteva nel rifare ogni mattina il “letto” di paglia fresca alle mucche, portando via il letame con il tridente e la carriola. Poi strigliare gli animali, portarli all'abbeveratoio, salire sul fienile e gettare nelle mangiatoie il fieno per la giornata, mungere il latte.

Evidentemente, Giovanni non doveva eseguire da solo tutto questo lavoro: era alle dipendenze del “vaccaro” che gli affidava i lavori più adatti a un ragazzo.

Anche nel pregare, alla sera, Giovanni si dimostrò un bravo ragazzo, e la signora Dorotea lo invitò qualche volta a guidare la recita del Rosario.

Per dormire, i Moglia gli avevano assegnato una stanzuccia chiara e un buon letto. Più di quanto aveva ai Becchi, dove doveva dividere la stanza con Giuseppe, e forse anche con Antonio. Dopo le prime sere, Giovanni si azzardò ad accendere un mozzicone di candela, e a leggere per un'oretta uno dei libri che don Lacqua gli aveva imprestato. Nessuno gli disse niente, e lui continuò.

Alla sera del sabato, domandò al padrone il permesso di andare la mattina dopo per tempo a Moncucco. Tornò per la colazione, e alle dieci accompagnò il signor Luigi e tutta la famiglia alla “Messa grande”.

Siccome anche nei sabati seguenti chiese quello strano permesso, Dorotea volle vedere dove andava il ragazzo: davanti a sua madre era lei la responsabile. Si recò a Moncucco prima dell'alba, e dalla casa di una sua amica vide Giovanni arrivare ed entrare in chiesa.

Lì lo vide accostarsi al confessionale del parroco, ascoltare la prima Messa e fare la Comunione.

In quel tempo la Comunione si faceva molto di rado. Durante la “Messa grande” (alla quale partecipava tutta la gente del paese) non si distribuiva nemmeno. Chi voleva comunicarsi doveva partecipare alla “Messa bassa” che il parroco celebrava molto presto.

Dorotea, riaccompagnandolo a casa, gli disse: “D'ora innanzi, quando vuoi venire alla Messa bassa, fai pure. Non star nemmeno a domandare il permesso”.

Confessandosi dal parroco don Cottino, Giovanni gli confidò il suo desiderio di diventare sacerdote, e anche le sue difficoltà. Don Cottino lo incoraggiò a confessarsi e a ricevere l'Eucaristia tutte le settimane, a pregare lungo la giornata, e a confidare nel Signore: se Lui voleva, le difficoltà si sarebbero risolte. Lo esortò anche a non interrompere del tutto lo studio: se in seguito fosse stato compatibile con il suo lavoro, gli avrebbe dato volentieri qualche lezione di latino. Intanto poteva imprestargli qualche libro.

 

Due grani e quattro spighe

Il vecchio Giuseppe, zio del padrone, tornava un giorno dalla campagna tutto sudato e con la zappa in spalla. Era mezzogiorno, e sul campanile di Moncucco suonava la campana. Il vecchio, stanco, si sedette sul fieno a tirare il fiato. Poco lontano, vide Giovanni anche lui sul fieno, ma inginocchiato: recitava l'Angelus, come mamma Margherita l'aveva abituato mattino mezzogiorno e sera.

Mezzo per ridere e mezzo sul serio, Giuseppe brontolò:

- Ma bravo! Noi padroni ci logoriamo la vita dal mattino alla sera e non ne possiamo più. E il garzone se la prende calma e prega in santa pace.

Giovanni, anche lui mezzo serio e mezzo per burla, rispose:
- Quando c'è da lavorare, barba Giuseppe, sapete che non mi tiro indietro. Ma mia madre mi ha insegnato che quando si prega, da due grani nascono quattro spighe; se invece non si prega, da quattro grani nascono due spighe sole. È meglio quindi che preghiate un poco anche voi.

- Salute! - concluse il vecchio -. Adesso abbiamo anche il parroco in casa.
Con l'arrivo della bella stagione, al garzone toccava portare le mucche al pascolo: badare che non sbandassero nei prati degli altri, che non mangiassero erba troppo bagnata, che non si scornassero.

Seduto all'ombra degli alberi, mentre gli animali brucavano l'erba intorno, Giovanni trovò un po' di tempo per i suoi libri. Luigi Moglia non si lamentava, ma scuoteva la testa:

- Perché leggi tanto?
- Voglio diventare prete.
- E non sai che per studiare, oggi, ci vogliono nove-diecimila lire? Dove le trovi? - Se Dio vuole, qualcuno ci penserà.

Nei prati, a giocare, a volte viene anche Anna, la prima figlia dei Moglia. Ha 8 anni. Vede Giovanni che legge il libro, invece di guardare i suoi giochi, e s'indispettisce:

- Piantala di leggere, Giovanni.
- Ma io diventerò prete, e dovrò predicare e confessare.
- Sì, prete - lo canzona la bimba -. Tu diventerai un vaccaro.

Giovanni un giorno le risponde:
- Tu Anna adesso mi prendi in giro, ma un giorno verrai a confessarti da me.
(La signora Anna si sposò e abitò a lungo a Moriondo. Raccontò molte volte questo episodio ai propri figli. Quattro o cinque volte all'anno si recava a Valdocco, a confessarsi da don Bosco. E lui l'accoglieva con gioia, come una sorella).

Quando tornò l'inverno, i padroni gli permisero di andare qualche volta a scuola da don Cottino. Ma furono poche lezioni, e così distanti l'una dall'altra che si dimostrarono inconcludenti.

L'amicizia del parroco, invece, gli facilitò l'amicizia con i ragazzi di Moncucco. La sala d'ingresso della canonica, che nei giorni feriali funzionava da scuola, alla domenica si trasformava in un piccolo oratorio. Giovanni Bosco faceva i giochi di prestigio, leggeva le pagine più avventurose della Storia Sacra, faceva pregare i suoi piccoli amici.

Quando il tempo era brutto e non si poteva andare fino a Moncucco, alcuni delle cascine lo raggiungevano nella casa dei Moglia. Giovanni li portava sul fienile, li faceva divertire, spiegava loro il catechismo.

Alla cascina Moglia, Giovanni trascorse tre anni quasi completi: dal febbraio 1827 al novembre 1829. Anni perduti per i suoi studi. Furono anche inutili per la missione a cui Dio lo chiamava?

Pietro Stella ricorda un episodio a prima vista insignificante: “La signora Dorotea e il cognato Giovanni, un giorno lo trovarono inginocchiato che teneva un libro fra le mani, gli occhi chiusi, la faccia rivolta al cielo, e dovettero scuoterlo, tanto era assorto nella sua riflessione”. E argomenta: “Furono dunque anni non inutili, nei quali si radicò più profondo in Giovanni il senso di Dio e della contemplazione. Potè introdursi nel colloquio con Dio durante il lavoro dei campi. Anni che si possono definire di attesa assorta e supplichevole, da Dio e dagli uomini”.

Nel 1827, a Milano, Alessandro Manzoni pubblicò la prima edizione dei Promessi Sposi. Nel 1828, a Recanati, Giacomo Leopardi iniziò a comporre i grandi Idilli. Nel 1829, a Parigi, Gioacchino Rossini mise in scena il suo capolavoro, Guglielmo Teli. In questi tre anni, Giovanni Bosco strigliò le mucche in una sperduta cascina del Monferrato. Ma cominciò a parlare con Dio.

 

Zio Michele

La permanenza di Giovanni alla cascina dei Moglia era una spina nel cuore di mamma Margherita. Si sfogò probabilmente con suo fratello Michele, che verso lo scadere dei contratti rurali (11 novembre) andò a parlare con il nipote. Lo trovò che faceva uscire le mucche dalla stalla.

- Allora, Giovanni, sei contento di stare qui o no?

- No. Mi trattano bene, ma io voglio studiare. Gli anni passano, ne ho già compiuti quattordici, e sono sempre allo stesso punto.

- Allora riporta le bestie nella stalla e torna ai Becchi. Io parlo con i tuoi padroni, poi devo andare al mercato di Chieri. Ma questa sera passo a casa tua e aggiustiamo tutto.

Giovanni rifece il suo fagotto, salutò la signora Dorotea, il signor Stefano, barba Giuseppe, Teresa, Anna. Erano diventati amici, lo sarebbero stati per tutta la vita.

Riprese la strada dei Becchi. Quando arrivò, mamma Margherita lo vide da lontano e gli andò frettolosamente incontro:

- In casa c'è Antonio. Abbi pazienza, nasconditi finché non arriva lo zio Michele. Se Antonio ti vede, sospetta un complotto, e Dio sa cosa potrebbe succedere.

Giovanni scantonò dietro una siepe e andò a sedersi vicino a un fosso. Dunque non era ancora finita. Bisognava prepararsi a combattere ancora.

Lo zio arrivò a notte fatta, raccolse il nipote intirizzito e lo condusse in casa. Ci fu tensione, ma non guerra. Antonio aveva compiuto 21 anni e si preparava a mettere su famiglia. Ricevute garanzie che il mantenimento e gli studi di Giovanni non sarebbero gravati su di lui, non ebbe obiezioni.

Michele si mise in contatto con i parroci di Castelnuovo e di Buttigliera, per vedere di collocare presso di loro il nipote studente, ma trovò grosse difficoltà. La soluzione arrivò del tutto impensata.

 

Quattro soldi per una predica

Nel settembre di quel 1829, a Morialdo era venuto a stabilirsi come cappellano don Giovanni Melchiorre Calosso, sacerdote sui 70 anni, che per la salute malferma aveva rinunciato anni prima alla parrocchia di Bruino. Era un prete venerando, carico di anni e di esperienza pastorale.

In novembre ci fu una “missione predicata” nel paese di Buttigliera. Ci andò anche Giovanni, e anche don Calosso. Tornando a casa, il vecchio prete notò tra la gente quel ragazzotto quattordicenne, che camminava tutto solo.

- Di dove sei, figlio mio?
- Dei Becchi. Sono stato alla predica dei missionari.
- Chissà cos'hai capito con tutte quelle citazioni in latino - e scosse la testa bianca sorridendo -. Forse tua mamma ti avrebbe potuto fare una predica più opportuna.
- È vero, mia madre mi fa sovente delle buone prediche. Ma mi pare di aver capito anche i missionari.
- Su, se mi dici quattro parole della predica di oggi, ti do quattro soldi.

Giovanni attaccò tranquillo e recitò al cappellano l'intera predica, come se leggesse un libro.

Don Calosso non lasciò trasparire l'emozione, e domandò:
- Come ti chiami?
- Giovanni Bosco. Mio padre è morto quando ero ancora bambino.
- Che scuola hai fatto?
- Ho imparato a leggere e a scrivere da don Lacqua, a Capriglio. Mi piacerebbe studiare ancora, ma il mio fratello più grande non ne vuole sapere, e i parroci di Castelnuovo e di Buttigliera non hanno tempo per aiutarmi.

- E perché vorresti studiare?
- Per diventare prete.
- Di' a tua mamma che venga a trovarmi a Morialdo. Forse potrò darti una mano io, anche se sono vecchio.
Margherita, seduta davanti al tavolo di don Calosso, si sentì dire: - Vostro figlio è un prodigio di memoria. Bisogna che si metta a studiare subito, senza perdere altro tempo. Io sono vecchio, ma tutto quello che potrò ancora fare lo farò.

Si misero d'accordo che Giovanni avrebbe studiato presso il cappellano, non distante dai Becchi. A casa sarebbe andato solo a dormire. Nei momenti di punta del lavoro agricolo, tuttavia, avrebbe aiutato i suoi.

Giovanni raggiunse di colpo ciò che gli era mancato per tanto tempo: confidenza paterna, senso di sicurezza, fiducia.
“Mi misi subito nelle mani di don Calosso - scrisse -. Gli feci conoscere tutto me stesso, gli manifestai ogni parola, ogni pensiero. Conobbi allora che voglia dire avere una guida stabile, un amico fedele dell'anima, di cui fino a quel tempo ero stato privo. Fra le altre cose, mi proibì una penitenza che ero solito fare, non adatta alla mia età. Mi incoraggiò a frequentare la confessione e la comunione, e mi insegnò a fare ogni giorno una breve meditazione, o meglio un po' di lettura spirituale”.

 

“Con lui moriva ogni speranza”

Intorno al settembre 1830 (forse per annullare ogni residua tensione con Antonio) andò a stabilirsi presso don Calosso anche per la notte. Tornava solo una volta alla settimana per il cambio di biancheria.

Gli studi progredivano rapidamente e bene. Don Bosco ricordava questi giorni con parole di entusiasmo: “Nessuno può immaginare la mia contentezza. Amavo don Calosso come un padre, lo servivo volentieri in tutte le cose. Quell'uomo di Dio mi portava tanto affetto che più volte mi disse: " Non darti pena per l'avvenire. Finché vivrò, non ti lascerò mancare niente. E se muoio, provvedere a te ugualmente ". Ero pienamente felice, quando un disastro troncò il corso di tutte le mie speranze”.

Una mattina del novembre 1830, mentre Giovanni è a casa a cambiare il fagotto della biancheria, arriva una persona ad avvertirlo che don Calosso si è sentito male.

“Non corsi, ma volai”, ricorda don Bosco. Era stato colpito da infarto. Riconobbe Giovanni, ma non riuscì a parlargli. Gli in dico la chiave di un cassetto, facendo segno di non consegnarla a nessuno.
E fu tutto. Al ragazzo non rimase che piangere disperatamente sul cadavere del suo secondo padre. “Con lui moriva ogni mia speranza”.
Dai tetti in giù, di speranze ce n'era ancora una: la chiave. Nel cassetto c'erano seimila lire. Dai cenni di don Calosso risultava evidente che erano per lui, per il suo avvenire. Glielo confermavano alcuni che avevano assistito il morente. Qualche altro sosteneva, invece, che i gesti di un moribondo non vogliono dire niente: solo un regolare testamento dà o toglie diritti.

I nipoti di don Calosso, quando giunsero, si comportarono da persone oneste. Si informarono, poi dissero a Giovanni:

- Pare che lo zio volesse lasciare a te questo denaro. Prendi tutto quello che vuoi. Giovanni ci pensò un poco sopra, poi concluse:
- Non voglio niente.
Nelle sue Memorie, don Bosco riassume queste vicende con una frase sola: “Vennero gli eredi di don Calosso, e loro consegnai la chiave e ogni altra cosa”. È un gesto sbrigativo che tronca ogni calcolo. Da prete, prenderà come sua parola d'ordine una frase della Bibbia ugualmente sbrigativa: “Da mihi animas, coetera tolle”. “Dammi le anime, il resto non mi interessa”.

Ora Giovanni era di nuovo solo. Aveva 15 anni, e si trovava senza maestro, senza denaro, senza disegni per il futuro. “Piangevo inconsolabile”, scrive.

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