Una domanda all'Arcivescovo
Nel 1840, l'anno seguente alla morte di Luigi Comollo, ricevetti la tonsura e i quattro ordini minori. Era il mio terzo anno di studi teologici.
Subito dopo cominciai a pensare che potevo guadagnare un anno di studio durante le vacanze. Il permesso, in quei tempi, si concedeva molto raramente. Senza farne parola con nessuno, mi presentai da solo all'Arcivescovo mons. Fransoni. Gli chiesi di studiare le materie del quarto anno durante l'estate, così da concludere il quinquennio teologico nell'anno scolastico 1840-41. La ragione che portai era la mia età: avevo già compiuto 24 anni.
L'Arcivescovo mi accolse con bontà. Esaminò i risultati degli esami sostenuti finallora. Mi concesse il favore a patto che prima di novembre avessi dato tutti gli esami prescritti per il quarto anno. Il teologo Cinzano, parroco di Castelnuovo, fu designato come esaminatore.
In due mesi di studi intensi preparai e sostenni gli esami prescritti e fui ammesso a ricevere l'ordine del suddiaconato.
Un pensiero che fa tremare
Se ripenso a quel passo decisivo della mia vita, sono convinto che non ero abbastanza preparato, perché non avevo tutte le qualità positive necessarie. Tuttavia, non avendo nessuno che si curasse direttamente della mia vocazione, mi consigliai con don Cafasso. Egli mi disse di andare avanti senza paura, di stare alla sua parola.
Per dieci giorni mi chiusi nel silenzio degli Esercizi Spirituali nella Casa della Missione in Torino. Feci la confessione generale, cioè il riesame totale della mia vita, per domandare al confessore se gli sembravo in grado di impegnarmi per sempre. Desideravo andare avanti, ma tremavo al pensiero di legarmi per tutta la vita. Per questo non volli prendere la decisione di procedere sulla strada del sacerdozio prima di aver avuto il parere pienamente positivo del confessore.
Da quel momento ho messo il massimo impegno nell'osservare il consiglio di don Borel: «Frequentare la Comunione e sapersi raccogliere in silenzio davanti a Dio, conservano la vocazione e formano il vero prete».
Rientrai in seminario e fui iscritto al quinto anno. Fui anche nominato assistente, la « carica massima » che può capitare addosso a un povero chierico.
Il 19 marzo 1841 ricevetti l'ordine del diaconato. Il 5 giugno sarei stato ordinato prete.
Fu un giorno di tristezza quello in cui dovetti lasciare definitivamente il seminario. I superiori mi volevano bene, e me lo manifestavano in ogni occasione. I compagni mi erano molto amici. Si può dire che io vivevo per loro, e loro vivevano per me. Chi aveva da farsi radere la barba, ricorreva a me. Chi aveva bisogno di una berretta da prete, di cucire o rattoppare un vestito, cercava me.
La separazione da questa casa dove avevo vissuto sei anni della mia vita, dove avevo ricevuto educazione, cultura e spirito sacerdotale, insieme a segni di bontà e di affetto, mi costò moltissimo.
La prima Messa
Fui ordinato sacerdote il 5 giugno 1841, vigilia della festa della SS. Trinità. La mia prima Messa l'ho celebrata nella chiesa di san Francesco di Assisi, assistito da don Cafasso. Mi aspettavano ansiosamente al mio paese, dove da molti anni non si era avuta una prima Messa. Ma ho preferito celebrarla a Torino senza rumore. Quello posso chiamarlo il più bel giorno della mia vita. Nel momento in cui si ricordano le persone care, ho ricordato a Dio i miei professori e tutti quelli che mi avevano fatto del bene. Ho ricordato specialmente il caro don Calosso, che ho sempre considerato grande e insigne benefattore.
Lunedì andai a celebrare la mia seconda Messa nel Santuario della Madonna Consolata. Ringraziai la Vergine Maria dei tanti favori che mi aveva ottenuto dal suo Figlio Gesù.
Martedì mi recai a Chieri e celebrai la Messa nella chiesa di san Domenico. Viveva ancora il mio professore don Giusiana. Mi abbracciò con affetto. Durante quella Messa pianse a lungo per la commozione. Ho passato con lui tutto quel giorno: una giornata di Paradiso.
Giovedì era la festa del Corpus Domini (allora festa di precetto). Cantai la santa Messa al mio paese, circondato dai miei cari. Siccome si svolgeva anche la solenne processione, portai il SS. Sacramento per le strade di Castelnuovo. Il parroco volle invitare a pranzo i miei parenti, i sacerdoti e le autorità del paese. Mi volevano tutti bene, e ognuno era contento insieme con me.
La sera di quel giorno tornai alla mia casa.
Quando fui vicino ai luoghi dove avevo vissuto da ragazzo, e rividi il posto dove avevo avuto il sogno dei nove anni, non potei frenare la commozione. Dissi:
- Quanto sono meravigliose le strade della Provvidenza! Dio ha veramente sollevato da terra un povero fanciullo, per collocarlo tra i suoi prediletti.
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