Terzo ed ultimo punto del sistema educativo di Don Bosco, l'amorevolezza è il concetto che racchiude in sé il per avvicinare i ragazzi e crescere nella reciproca stima: “i giovani non siano solo amati, ma che essi conoscano di essere amati”.
del 27 maggio 2008
 
 
Per chi, come la maggior parte di noi, respira aria salesiana nei propri ambienti di formazione, la parola amorevolezza rappresenta un mondo intero, uno stile inconfondibile di educazione. Ma per coloro i quali il sistema preventivo di Don Bosco non è così scontato, questa parola potrebbe risultare non molto chiara, potrebbe essere considerata un sinonimo della più comune parola amore.
 
Per curiosità ho cercato nel dizionario dei sinonimi e contrari il termine “amorevolezza”. Ecco cosa ne è risultato:
Amorevolezza: sost. Sinonimi: affezione, amicizia, dolcezza, umanità, affetto, amore, carezza, cura || Vedi anche: affettività, bene, simpatia, tenerezza, benevolenza, benignità, fratellanza. Contrari: malanimo || V. anche animosità, antipatia, astio, avversione, inimicizia, malevolenza, ostilità.
Inevitabilmente ho pensato “quante parole tutte simili, eppure nessuna che davvero riesca a identificare l’amorevolezza come la intendeva Don Bosco!”. Eh sì, perché quel che per il nostro santo intendeva con questo termine non si può esprimere con una sola parola.
 
Nella quotidianità
Si tratta di un atteggiamento quotidiano, che non si può identificare con il semplice amore umano. Esprime una realtà complessa ed implica disponibilità, coerenza nello stile di vita e comportamenti adeguati. L'amorevolezza, che insieme alla ragione e alla religione è uno dei punti fermi del Sistema Preventivo di Don Bosco, si traduce nell'impegno dell'educatore visto come persona totalmente dedita al bene dei ragazzi che gli vengono affidati, presente in mezzo a loro, pronta ad affrontare sacrifici e fatiche nell'adempiere la sua missione. Tutto ciò richiede una vera disponibilità per i giovani e un vero desiderio di stare in mezzo a loro, di parlare con loro e di conoscerli veramente. È tipica e quanto mai illuminante l'espressione: 'Qui con voi mi trovo bene: è proprio la mia vita stare con voi'.
Per capire fino in fondo quel che vuole dire col termine amorevolezza, Don Bosco utilizza una frase semplice, per alcuni versi intuitiva, che difficilmente qualcuno potrebbe definire con la stessa semplicità: egli dice che 'i giovani non siano solo amati, ma che essi conoscano di essere amati'. Poche parole, che fanno la differenza!
I giovani devono sentire nel loro cuore che i loro educatori, i loro animatori, le loro guide e le persone che si prendono cura di loro, li amano. E non solo a parole, non solo nel loro cuore, ma anche e soprattutto coi fatti, dimostrando il loro affetto e il loro interesse.
Il vero educatore partecipa alla vita dei giovani, si interessa ai loro problemi, cerca di rendersi conto di come i ragazzi vedono le cose (cercando di immedesimarsi nelle situazioni che il ragazzo sta vivendo, ad esempio), prende parte alle loro attività sportive e culturali, alle loro conversazioni.,… L’educatore deve cercare di porsi nei loro confronti come amico maturo e responsabile, prospettando loro itinerari e mete di bene, deve dimostrarsi sempre pronto a intervenire per chiarire problemi, per indicare criteri, per correggere con prudenza e amorevole fermezza.  In questo clima di 'presenza pedagogica' l'educatore non è considerato un 'superiore', ma un 'padre, fratello e amico'.In questa prospettiva si punta anzitutto a coltivare e curare le relazioni personali. Don Bosco ama usare il termine 'familiarità' per definire il rapporto corretto tra educatori e giovani. La lunga esperienza lo aveva infatti convinto che senza familiarità non si può dimostrare l'amore, e senza tale dimostrazione non può nascere quella confidenza, che è condizione indispensabile per la riuscita dell'azione educativa. Il quadro delle finalità da raggiungere, il programma, gli orientamenti metodologici che sono l’obiettivo a cui deve aspirare ogni educatore acquistano concretezza ed efficacia se vissuti in ambienti sereni, gioiosi, stimolanti, in cui il giovane si sente a suo agio.
 
Il ‘’cortile’’
Ma quali sono i tempi e gli spazi migliori per riuscire a instaurare questo clima di confidenza e di familiarità? Don Bosco era convinto che il momento ideale fosse quello definito “del cortile”, ossia il momento ricreativo, quello dedicato allo sport, alla musica o, come più consono ai nostri tempi, il momento di chiacchiere sul muretto dell’oratorio! È  lì, nella spontaneità ed allegria dei rapporti, che l'educatore deve saper cogliere modi di intervento, tanto lievi nelle espressioni, quanto efficaci per la continuità e il clima di amicizia in cui si realizzano. L'incontro, per essere educativo, richiede un continuo ed approfondito interesse che porti a conoscere i singoli personalmente ed insieme le componenti di quella condizione culturale che è loro comune. Non da ultimo, l’educatore deve saper guardare ogni ragazzo con un occhio speciale, deve trovare il canale giusto con cui giungere al suo cuore per riuscire a parlargli e fargli percepire che lo ama.
 
Verso relazioni mature
Ciò che deve muovere l’educatore deve essere il desiderio di aiutare i giovani a formarsi come uomini e come donne onesti e rispettosi dei valori e della cultura, persone che conoscono e riconoscono l’importanza della famiglia, dell’amicizia, dei rapporti interpersonali, il tutto in un’ottica di rispetto delle regole che la società detta. In poche parole, l’obiettivo dell’educatore che opera con amorevolezza è quello di aiutare i giovani nella loro formazione di “buoni cristiani e onesti cittadini”, pronti a operare a loro volta con amorevolezza nei confronti di chi gli sta accanto, prendendo coscienza del fatto che la loro vita e il momento che stanno vivendo (la giovinezza) non è solo un momento di transito tra l’infanzia e l’età adulta, ma un tempo vivo e fecondo per la costruzione della personalità e per la formazione della persona che si aspira di diventare.
Don Bosco, d’altra parte, altro non ha fatto se non comprendere a pieno ciò che Dio continuamente ci manifesta: il Suo progetto d’amore non è solo teorico, non pretende da noi che ci fidiamo di Lui a prescindere, ma ci insegna e ci dimostra quotidianamente che ci ama, ci permettere di mettere le dita nel suo costato perché il Suo amore per noi l’ha vissuto fino in fondo, fino alla morte.
L’attualità del concetto di amorevolezza si rinnova di generazione in generazione e, anche se deve tener conto dei cambiamenti sociali e culturali in atto nella nostra realtà, dalla più precoce ‘emancipazione’ dei ragazzi al multiculturalismo, è sicuramente uno dei testamenti più significativi che Don Bosco ci ha lasciato, adatto ad ogni situazione e ad ogni ragazzo. E proprio perché si fonda sulla conoscenza personale dell’educatore nei confronti di ogni giovane, deve essere la base del nostro quotidiano stare in mezzo ai ragazzi.
 
Fonti: Giovanni Paolo II, Lettera Juvenum Patris, 12
Mery Momesso
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