Alberto Marvelli: l'amore non è mai a riposo

Ha realizzato così la propria santità nello studio, nel lavoro, in ogni situazione in cui si veniva a trovare...

del 05 ottobre 2016

 


Nella domenica 5 settembre 2004, a Loreto, Giovanni Paolo II ha regalato alla Chiesa tre nuovi Beati. Grande festa per la Chiesa e, particolarmente, per l’Azione Cattolica: i tre nuovi “arrivati” infatti erano stati suoi testimoni e cioè Don Pedro Tarrès, sacerdote spagnolo assistente di AC, la ragazza siciliana Pina Suriano ed infine l’Ing. Alberto Marvelli.

Grande gioia anche per la Famiglia Salesiana: l’ultimo infatti ha frequentato per molti anni l’Oratorio Salesiano di Rimini. Il primo ex allievo salesiano dichiarato beato dalla Chiesa. Un grande onore e incoraggiamento. In una pubblicazione del “Centro Studi Alberto Marvelli” si affermava infatti: “All’azione formatrice della famiglia si aggiunge quella dell’Oratorio Salesiano nella Parrocchia di Santa Maria Ausiliatrice che avrà grande importanza sulla sua vita spirituale e apostolica.

Significativo l’influsso esercitato su di lui dalla vita di San Domenico Savio. Alberto prega con raccoglimento, fa catechismo con convinzione. Manifesta zelo, carità, serenità, purezza. Emerge fra i giovani dell’Oratorio per le sue virtù non comuni e per l’apparente facilità e naturalezza con cui fa le cose più difficili”. Soddisfazione e gioia anche da parte del Rettor Maggiore dei Salesiani, Don Pascual Chávez V.:

“La sua beatificazione è un appello a trovare la strada della santità in famiglia, nella professione, nella politica: ma è anche un riconoscimento dell’educazione salesiana, capace di formare santi”.  

Alberto Marvelli nel costruire la sua santità ha avuto un forte impulso all’interno della sua famiglia, nell’ambiente salesiano dell’Oratorio dove era sempre vivo il ricordo di Don Bosco e del suo giovane allievo San Domenico Savio (il cui motto “la morte ma non peccati” lo impressionò moltissimo), nell’AC e nella Fuci (Federazione Universitari Cattolici, di cui uno dei responsabili era Mons. Montini, futuro Paolo VI).

Alberto è morto a 28 anni, e si è fatto santo non all’ombra delle quattro mura di un convento o dentro gli schemi e orari di un ordine religioso (il che è già difficile), ma come si dice “nel mondo”, nella propria vita familiare, nella professione di ingegnere, di assessore comunale (quindi nella politica con l’incipiente Democrazia Cristiana) nel proprio lavoro quotidiano.

Alberto Marvelli è un laico ed è un santo. Un binomio molto significativo e importante specialmente oggi. Penso quindi che molti laici avranno tratto incoraggiamento e gioia dalla sua beatificazione. Lui ha fatto quello che Giovanni Paolo II ha detto nel discorso della beatificazione:

“A voi laici spetta di testimoniare la fede mediante le virtù che vi sono specifiche: la fedeltà e la tenerezza in famiglia, la competenza nel lavoro, la tenacia nel servire il bene comune, la solidarietà nelle relazioni sociali, la creatività nell’intraprendere opere utili all’evangelizzazione e alla promozione umana. A voi spetta pure di mostrare – in stretta comunione con i Pastori – che il Vangelo è attuale e che la fede non sottrae il credente alla storia, ma lo immerge più profondamente in essa”.

Alberto, prima ancora del richiamo del Vaticano II ai laici e al loro impegno nella società, ha riaffermato la sua vocazione di laico impegnato nel mondo, considerato questo non come qualcosa di negativo ma come la vigna del Signore nella quale lavorare con competenza e con amore, secondo i criteri di Dio espressi nel Vangelo.

Ha realizzato così la propria santità nello studio, nel lavoro, in ogni situazione in cui si veniva a trovare, per scelta o portato dagli avvenimenti. Alberto è un santo del quotidiano e della vita ordinaria, della normalità. Ha vissuto dentro la storia del mondo collaborando con coraggio e con amore per farla diventare una storia di salvezza per tutti.

 

“L’ha detto Alberto”

Alberto è nato a Ferrara nel 1918 da genitori cristiani convinti e praticanti. Il padre Luigi (direttore di banca) e la madre Maria Mayr (di origine bavarese) creeranno una numerosa famiglia (sei figli) da Alberto, il primo, fino a Geltrude. Tutti voluti, amati ed educati cristianamente.

Di suo padre Alberto scriverà:

“Fu cristiano nel senso completo della parola, senza mezze misure, senza rispetto umano, senza ostentazioni. Sincero, sorridente, sempre in grazia, sereno, ecco la sua vita”.

Splendido anche l’elogio della madre Maria:

“Con quale bontà ci rimprovera i ritardi e le mancanze, con quanta affettuosa severità sorveglia la nostra vita spirituale e materiale. Sull’esempio di Cristo ella è tutto a tutti: e con i familiari e con gli estranei e con i poveri. Non uno che ha bussato alla nostra porta è stato rimandato a mani vuote”.

La signora Maria, nonostante gli impegni domestici (prima e dopo la morte del marito, avvenuta nel 1933) insegnò catechismo in parrocchia, benvoluta dai tanti ragazzi dell’Oratorio (era considerataun po’ la mamma di tutti), fu presidente delle Donne di Azione Cattolica, e lavorò molto nell’associazione per la protezione della giovane e tra le Dame di Carità.

Il 1933 fu molto importante per Alberto. In quell’anno infatti la famiglia Marvelli si trasferì a Rimini, vicino alla Parrocchia S. Maria Ausiliatrice retta dai Salesiani, con un annesso Oratoriofrequentatissimo dai ragazzi. Alberto, ormai quindicenne, in quello stesso anno pianse pure la morte del papà. Diventava così il capofamiglia, il sicuro punto di riferimento per i suoi fratelli più piccoli e per l’ultima arrivata, Geltrude. Sarà proprio lei a testimoniare:

“Noi fratelli più piccoli a sera eravamo in attesa del suo ritorno. Lui entrava in casa, salutava la mamma e s’interessava di noi. Non era molto espansivo, ma sapevamo che ci voleva bene. Era sua abitudine aprire la Bibbia e leggere un brano adatto a noi piccoli. Dopo la morte del babbo era lui che aiutava la mamma nell’affrontare i problemi di casa”.

Alberto fu sempre non solo un assiduo frequentatore dell’Oratorio Salesiano (il Circolo Don Bosco) ma ne fu anche animatore indefesso, giocatore formidabile in vari sport, formatore equilibrato e sicuro esempio di vita umana e cristiana per tanti ragazzi (i suoi “aspiranti”). Quando sorgeva qualche questione o diverbio tra di loro veniva interpellato lui come giudice di pace. Ed il suo giudizio arrivava, accettato come giusto e definitivo. Dicevano infatti: “L’ha detto Alberto”, fine della discussione.

Alcuni mesi fa, a Rimini, ho avuto la vera fortuna di incontrare e di parlare a lungo con una grintosa ed entusiasta signora 92enne, Angela Bertozzi, Cooperatrice salesiana ancora attiva, vera e preziosa “memoria storica” della Parrocchia S. Maria Ausiliatrice. Essendo Alberto un coetaneo dei suoi fratelli. Angela ebbe l’occasione e la fortuna di conoscere non solo lui ma tutta la famiglia. Conserva ancora oggi un ottimo ricordo della madre di Alberto, la signora Maria, animatrice molto impegnata nelle attività parrocchiali. Di Alberto mi disse:

“L’ho visto tante volte pregare in chiesa: mi faceva sempre molta impressione e trascinava tutti col suo esempio. Noi lo dicevamo già allora che Alberto era un santo. È sempre stato un grande animatore dell’Oratorio, molto umile e disponibile ad aiutare tutti”.

La sua formazione umana e cristiana e la sua spiritualità ricevette in quegli anni una sicura impronta salesiana attraverso l’atmosfera gioiosa e serena, fatta di preghiera e di sport, di carità e solidarietà, di teatro e di scampagnate. Imparò l’amore all’Eucarestia e la devozione alla Madonna Ausiliatrice e Immacolata. Ma furono due gli avvenimenti che ebbero grande risonanza e che suscitarono grande entusiasmo, gioia e propositi di santità in tutti gli ambienti salesiani del tempo e quindi anche a Rimini e in Alberto. Il primo fu proprio nel 1933 (il 9 luglio) la Beatificazione di Domenico Savio, il ragazzo santo cresciuto alla scuola di Don Bosco a Torino-Valdocco.

Ed il secondo riguardava proprio lui, il santo dei giovani, il vero idolo dei ragazzi della marina di Rimini: il primo aprile 1934 diventava San Giovanni Bosco. Fu infatti nell’8 dicembre, sull’esempio di Domenico Savio, che Alberto consacrò alla Madonna Immacolata il proprio cuore “perché lo mantenga sempre puro ed immacolato come il Suo, perché mi aiuti ad essere buono, compiacente, paziente, caritatevole...”. Aveva 16 anni. La sua invocazione preferita alla Madonna sarà sempre: “Madre mia, fiducia mia”.

 

A Bologna, a Cinisello Balsamo e a Torino

Nel 1936 Alberto conseguì la licenza liceale (tra i suoi compagni c’era Federico Fellini), e non essendo stato accettato all’Accademia Navale, si iscrisse ad Ingegneria a Bologna. Nell’ambiente universitario frequentò la Fuci, sempre circondato di stima e rispetto. Lavorò inoltre nel Centro diocesano di Azione Cattolica e nella Conferenza di San Vincenzo. Anche a Bologna non trascuròmai i propri doveri cristiani.

Intanto dopo l’entrata in guerra dell’Italia (1940) Alberto andò a Cinisello Balsamo (Milano) a lavorare in fonderia. Anche nel nuovo ambiente, per molti versi più difficile, secondo la testimonianza del responsabile, Alberto fu sempre in buona armonia con tutti i dipendenti, specialmente i più giovani e i più poveri. Si interessava dei loro problemi e si adoperava per aiutarli, visitando gli ammalati e incitando gli apprendisti a frequentare le scuole serali.

Laureato nel 1941 e ottenuto il congedo da militare, il 22 dicembre prese servizio come impiegato presso l’Ufficio Tecnico della Fiat a Torino, vivendo in casa del fratello, allievo dell’Accademia Militare. Anche qui frequentò l’Azione Cattolica e le conferenze di San Vincenzo (aveva una grande ammirazione del giovane torinese Pier Giorgio Frassati (è Beato), morto da poco e di cui aveva letto la biografia.

Dopo quasi un anno a Torino tornò a Rimini avendo ottenuto di insegnare Meccanica nell’Istituto Tecnico. Accettò insieme anche l’incarico di vicepresidente diocesano di Azione Cattolica. Intanto all’inizio del 1943 fu richiamato alle armi e mandato a Treviso (mentre il 20 gennaio moriva sul fronte russo il fratello Lello).

Tornato a Rimini dopo l’armistizio dell’8 settembre, Alberto, per sfuggire ai bombardamenti (Rimini fu una delle città italiane più bombardate in assoluto) trasferì la famiglia a Vergiano, e si dedicò con energia ad aiutare gli sfollati e i sinistrati dalla guerra. In questa sua opera ebbe da fare anche con i Tedeschi occupanti: questi si fidavano di lui anche perché ne conosceva la lingua. E così lo lasciarono fare.

 

Non siamo qui per aiutare?

Quando nel 1944 arrivarono a Rimini gli alleati, Alberto tornò in città e aderì alla Democrazia Cristiana cominciando così il proprio impegno politico, come assessore agli “Alloggi e alla Ricostruzione”. Poi nel 1945 fu nominato assessore comunale, con il compito di alleviare i disagi dei tanti senza tetto.

Scrisse allora nel suo Diario: “Servire è meglio del farsi servire. Gesù serve”. Il suo ufficio era un continuo andirivieni di gente in cerca di aiuto. Per tutti Alberto aveva una risposta gentile, rassicurante e una promessa di aiuto che dava sempre. Non mandava mai via nessuno (anche fuori orario di lavoro!). Soleva dire: “Non siamo qui per aiutare?”. E aiutava tutti.

Il lavoro di Alberto come assessore è documentato negli Archivi comunali, attraverso le lettere, le statistiche e le relazioni che lui inviava periodicamente agli organi preposti. Le cifre della ricostruzione documentano ancora oggi la serietà e la professionalità dell’Ing. Marvelli. Nel 50° anniversario della sua morte la Giunta comunale di Rimini, in una lapide affissa nel Municipio, è scritto: “Portò nella vita pubblica l’integrità della sua vita privata, la profonda fede religiosa e democratica, l’elevata professionalità, l’onestà intellettuale e morale, l’inesauribile operosità, l’amore per gli umili e per i diseredati”. Un elogio altissimo e ben meritato. In quello stesso anno a Firenze partecipò alla “Settimana Sociale dei Cattolici”.

Alberto Marvelli è annoverato tra i fondatori delle ACLI ed entrò nella Democrazia Cristiana su invito di Benigno Zaccagnini. Intanto nella primavera del 1946 Alberto, dopo aver lasciato la carica di assessore comunale, partecipò attivamente alla propaganda elettorale per l’elezione dei deputati all’Assemblea Costituente. Durante questo impegno politico mentre si recava per un comizio fuori Rimini, fu travolto lui e la sua immancabile bici da un camion militare alleato che andava a folle velocità. Era il 5 ottobre 1946.

 

Ecco la testimonianza di Mons. Fausto Lanfranchi, vice postulatore della causa di Beatificazione, e che lo conobbe personalmente:

“Alberto era infaticabile, trascinatore carismatico, in politica e in Azione Cattolica. Era eccezionale da tutti i punti di vista, la sua spiritualità era profondissima, il suo impegno per i poveri senza sosta; ecco, soprattutto dal punto di vista umano non aveva simili. Era un santo del quotidiano”.

Un esempio per tutti ma specialmente per tanti giovani apatici, annoiati, senza ideali e valori, centrati solo su se stessi e sui propri interessi effimeri. Insomma un vero santo moderno per il III Millennio. 

 

di Mario Scudu sdb

 


Testo tratto da donbosco-torino.it

Immagine tratta da chiesa.rimini.it

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